Un’insopportabile donna morta di Stefania Coco Scalisi, Bibliotheka edizioni, 2025
Redazione
Un cadavere. Un condominio. Un Commissario annoiato. Una domenica di quasi primavera. Gli elementi del giallo ci sono tutti. E in effetti è così. L’unica, fondamentale differenza è che del cadavere non importa quasi nulla a nessuno. Non che la povera vittima meritasse quella fine (o forse sì?), ma in quel condominio borghese c’è poca voglia di piangere la scomparsa, ma tanto desiderio di raccontarsi. E il Commissario ascolta, osserva e, cercando la storia della vittima, apprende quella dei coinquilini, fatta di malizie, piccoli segreti, cattiverie, desideri infranti.Sono queste le vicende narrate nel libro di Stefania Coco Scalisi “Un’insopportabile donna morta”, un romanzo in cui ognuno dei residenti del condominio potrebbe essere l’assassino. Ognuno potrebbe avere avuto un buon motivo per uccidere. Forse perché la vittima non è una vera vittima. Eppure, quando il caso sembra chiuso, tutto è improvvisamente destinato a riaprirsi.
Incipit: «Il corpo era lì, a terra, scomposto. Una scarpa ancora al piede, l’altra sbalzata di qualche metro. Al collo, la volpe sembrava avesse cambiato espressione, triste per essere finita indosso a un cadavere. Attorno alla testa, una piccola aureola di sangue, i cui contorni a mala pena si percepivano tra il vinaccia del tailleur e il granata delle mattonelle. Gli occhi erano invece sbarrati, in un misto di disappunto e nausea che chi la conosceva, la vittima, giurava avesse sempre, anche prima dell’incresciosa situazione in cui si ritrovava. Sì, perché Adalgisa Calvi, nel palazzo nota come la vedova Calvi, era morta. Su questo non aveva avuto nessun dubbio Alberto, il portinaio, che sentendo un tonfo quella domenica mattina, mentre stava ancora a letto a godersi il primo sole d’autunno nel suo piccolissimo appartamento a piano terra, si era precipitato, o almeno ci aveva provato, a vedere di cosa si trattasse. Non percepiva alcun compenso, si badi bene, per il suo lavoro in guardiola o per quanto faceva perché i pacchi e le lettere arrivassero sempre a destinazione, ma a ottant’anni suonati, più di cinquanta dei quali passati in quel 10 condominio, l’affitto gratis in cambio di qualche piccolo lavoretto e la pensione minima gli andavano più che bene. Mai, quindi, si sarebbe sognato di assistere a una scena così raccapricciante, proprio la mattina del suo giorno libero. E soprattutto trovava irritante che una cosa tanto spiacevole fosse successa nel suo palazzo. Certo, c’erano stati alcuni tentativi di suicidio nel corso degli anni: barbiturici, overdose di Xanax, un superficiale taglio delle vene da parte della figlia quindicenne dei coniugi Aldobrandi (problemi di cuore, dicevano, causati da un amoretto estivo che non aveva mantenuto la promessa di amore eterno fatta in villeggiatura). Tutte cose abituali di un rispettabile condominio borghese, insomma. Ma niente di cruento e volgare. E soprattutto, niente di così definitivo, come un cadavere in bella mostra nell’androne».
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