Le Parigi di Drieu di Marco Spada, Bietti editore, 2025
di Sandro Marano
È noto che lo scrittore Pierre Drieu La Rochelle amava fare lunghe passeggiate a piedi per le strade di Parigi.
«La sosta ristoratrice al Louvre gli consente di proseguire sino al piccolo Parc de Bagatelle nel celebre Bois de Boulogne, ancora vergine delle grandi sfide tennistiche su terra rossa. Sono distanze che oggi sembrano incolmabili senza l’utilizzo dei mezzi pubblici, ma l’arte del camminare contraddistinguerà Pierre per tutta la sua vita».
Così scrive in Le Parigi di Drieu (Bietti editore) Marco Spada, giovane e brillante storico, saggista e traduttore, nonché dottorando presso l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi.
Drieu, osserva l’autore nella sua nota introduttiva, «è un tema scottante, una patata bollente, non vi è nulla a Parigi che lo ricordi. Né una targa – fortunatamente, poiché l’onorificenza coincide spesso con l’oltraggio – né un graffito né eventi, mostre o presentazioni di libri».
Drieu, insomma, non cessa di suscitare scandalo. Dunque, non resta che immaginarlo nelle sue peregrinazioni, magari mettere i piedi dove lui li ha messi, con l’avvertenza che non c’è una sola Parigi da scoprire, ma tante Parigi secondo le trasformazioni storico-politiche ed esistenziali che lo scrittore francese ha vissute. Del resto, «ognuno di noi – avvertiva in Che cos’è la filosofia? il filosofo spagnolo Ortega y Gasset che di Drieu fu amico – è per metà ciò che egli è e per metà ciò che è l’ambiente in cui vive».
La Parigi dell’infanzia e dell’adolescenza di Drieu in cui «diventa oggetto della cupidigia e della rivalsa dei genitori, sentimenti che lo accompagneranno funestamente per tutto l’arco della vita, sfociando negli scritti al vetriolo di Stato civile e nel romanzo Piccoli borghesi», ha poco da spartire con la Parigi frivola e frizzante del primo dopoguerra, attraversata da profondi moti sociali e vivi fermenti culturali, così mirabilmente descritta nel suo capolavoro Gilles. Ed ancor meno con la Parigi sotto l’occupazione nazista quando Drieu assume la direzione della “Nouvelle Revue Française” e conduce la sua strenua battaglia in nome della collaborazione franco-tedesca.
Per Drieu, scrive l’autore a questo proposito, «la Parigi degli eccessi perpetrati negli anni Trenta rappresenta la Francia appena morta con l’arrivo delle forze armate tedesche. Occorre, dunque, che sia profondamente ristrutturata secondo i canoni di un ambientalismo profondo capace di renderla l’avanguardia di un nuovo corso sociale e politico per l’Europa intera».
Con una scrittura coinvolgente, attingendo in particolare alla corrispondenza dello scrittore francese e ai suoi testi dichiaratamente autobiografici come Stato civile e il Diario, Spada ha il merito e l’originalità di ripercorrere a grandi linee la biografia dello scrittore francese con un occhio attento al peculiare rapporto di amore/odio per la città che lo ha visto nascere e morire.
Nel corso della lettura, sotto i nostri occhi, scorrono le immagini del quartiere di Saint-Germain-des-Prés, celebre per i bar frequentati da personalità della cultura mondiale; il caffé Cyrano dove Drieu stringe amicizia con Aragon e i surrealisti fino alla rottura del 1925; l’avenue de la 66 Bourdonnais, a pochi passi dallo Champ de Mars, dove Victoria Ocampo, raffinata scrittrice argentina, incontra Drieu, e la casa sull’Île Saint-Louis dove Victoria «ritaglia uno spazio per le vanità di entrambi»; i tumulti di place de la Concorde il 6 febbraio 1934 che riveleranno a Drieu il suo essere fascista; i bordelli al 39 di rue Pasquier o al celebre Sphinx di Montparnasse; la casa in cui durante una cena conosce Christiane Renault, «la donna più ricca e bella di Parigi», di cui presto diventa l’amante e alla quale dedica il suo splendido romanzo Belukia dove Parigi assume il volto di Baghdad e «dove al potere industriale costituito da Louis Renault» fa da contraltare «la segretezza degli incontri con Christiane, moglie del magnate automobilistico»; e infine l’ultima dimora, demolita nel secondo dopoguerra, sita al 23 di rue Saint-Ferdinand, in cui lo scrittore riaffermando, al di là d’una fuggevole tentazione comunista, la sua fede fascista, porta a termine, nella notte del 14 marzo 1945, il suo tragico gesto.
Da segnalare è anche la postfazione al volumetto di Livia Di Vona che indaga brevemente sul rapporto dello scrittore francese con le donne, dal matrimonio, «tentativo di esistenza ordinata andato a vuoto due volte – la prima con Colette, la seconda con Olesia», allo stuolo di amanti, «tra cui l’unica capace di stare intellettivamente al suo passo e perciò guardata con un certo iniziale timore, Victoria Ocampo».
Il fatto era, nota la Di Vona, che «sposare Drieu significava sempre sposare il terzo incomodo, la sua tiranna solitudine». Lo sapevano probabilmente «le sempre fedeli ex mogli» e le amanti che gli resero omaggio al funerale insieme a Mauriac e Paulhan, che pur erano politicamente distanti da lui. Sarà invece assente Christiane Renault, che però tempo dopo, presso il cimitero di Neully dove lo scrittore è sepolto, farà erigere una semplice lapide con incise le iniziali B.à H. a ricordo dei protagonisti del romanzo di Drieu Belukia.
Anche Marco Spada, al pari di Stenio Solinas, che firma la prefazione di questo piccolo e delizioso volume, si è recato in pellegrinaggio alla tomba di Drieu, che si trova a Neully nei paraggi di Parigi, portando con sé cinque rose. Perché proprio cinque? Lasciamo al lettore il piacere di scoprilo.
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