Nel giardino: le pietre mi hanno sussurrato di Giuseppe Zilli, Milella edizioni, 2025

di Cosimo Rodia

 

Nel giardino: Le pietre mi hanno sussurrato di Giuseppe Zilli è una raccolta di ventitré testi poetici, con all’interno, come fosse un catalogo d’arte, quindici immagini a colori dello stesso autore che ritraggono, secondo una suggestiva visione personale, alcune scene della vita di San Francesco. Questo libro, a doppia fruizione, è in continuità con le ultime raccolte poetiche: Carezze di perdono e Se guardo curiosando, il mio cuore si rabbuia, con la particolarità che la ricerca ontologica, approda definitivamente nelle acque tranquille della Verità.

Con l’anniversario degli ottocento anni del Cantico delle Creature, l’autore di San Donato ripercorre la bellezza e la pregnanza dei versi del Santo di Assisi, per riconfermare quanto essi ci aiutino a giungere al mondo incorruttibile, ci sollevino dal mondo terreno e grazie alla forza taumaturgica della fede, staccare il biglietto per il Paradiso, fatto di luce, musica, movimento armonico. Il libro di Zilli, nella sua semplicità plurifacce, confortato dal Cantico delle Creature, diventa un modo per opporsi all’oscurità moderna, alla secolarizzazione inumana, ad una umanità carenzato di futuro.

Nel giardino: Le pietre mi hanno sussurrato è un pastiche costituito, dunque, da quindici immagini di edicole votive cromaticamente accese e sognanti, da versi del Santo di Assisi, integrati da commenti e visioni dell’autore, quasi sempre di ordine rafforzativo rispetto al pensiero del Santo; in questa maniera Zilli elabora la sua visione esistenziale, in una posizione di chi è già nella certezza della fede, di chi cammina lungo una strada sgombra di inciampi verso il Bene.

Già nei versi iniziali la certezza della fede regala la fiducia nel guardare al futuro: «Il cuore scuote le ragnatele che lo avvolgono,/la luce squarcia le ipocrisie […] un ascetismo dei cori suffraga il coraggio».

Prendendo spunto dal verso francescano «l’Altissimo onnipotente Buon Signore» Zilli, già soldato della Verità, afferma che con Dio si ha la possibilità di trascendere il «buio»; solo contemplando la sua bellezza si possono superare gli spilli che «percuotono la carne»; chi è in Dio avrà la possibilità di oltrepassare le terrene miserie, come l’avarizia, l’isolamento, l’indecisione. E in Dio ogni cosa si «addice», ogni cosa terrena trova la sua ratio: «La carne irradia il momento in un concerto/di melodie e… “li cuti” risplendono nella notte».

Partendo dal francescano «Laudato sii … insieme a tutte le creature», Zilli presenta la magnificenza degli attributi di Dio; quindi, l’aurora che è «una rosa [che] spazza il quotidiano»; i profumi, ovvero, «una sinfonia di miele e zagare [che] avvolge il creato»; la luce che «scavalca odissee». Infine, il sole che si alza come un sipario e mostra la bellezza del mondo, specchio dell’Altissimo.

E poi il richiamo ad altri simboli come l’acqua che lava i peccati e rende immacolati; San Francesco ne richiama la preziosità e la purezza, e Zilli riconferma che chi crede ne avrà in abbondanza.

Naturalmente chi viaggia su questo treno di certezze, comprende che aderendo alla Verità il dolore si disperde e da anima pura si dispone naturalmente al perdono; e integrando i versi di Francesco, l’autore salentino considera il perdono una magia che dissolve «cicatrici». Allora il perdono significa stare già in e con Dio, tanto che i pensieri terreni si scompongono per perdersi «tra spilli di luce».

Il santo di Assisi scrive «Beati quelli che sopporteranno… perché saranno incoronati», così il poeta pugliese commenta che se ci mettiamo in ascolto, si può sentire il soffio vitale e il gravame fisico del quotidiano si disperde; e la morte, da cui nessun uomo può scappare, sarà un sipario chiuso solo per il Narciso, non per lo spirito beato che sarà, di contro, «emissario» di luce.

Così l’autore, a fortiori, commenta che chi è in Dio, non può che amare e perdonare, così gli sarà concesso anche di notare che «le stelle del firmamento/saranno gocce di gioia e li ‘cuti’/vibreranno la loro bellezza/…/le trombe squilleranno perché/la festa è nell’arrivo».

Zilli, raggiunta la letizia, propone personali lodi al Signore, con la piena convinzione che tutto avviene per Dio, il cui mistero, dopo migliaia di anni, ci fa ancora sussultare, regalandoci la pace: «Ci fa sussultare/come l’appetito nei giorni di carestia./come la quiete,/…/che arriva dopo il tuono».

A me pare di cogliere nel testo una sorta di regressione dalla modernità all’antica verità cristiana, nella cui operazione l’autore cerca di rendere visibile le immagini e concreta l’emozione; si pensi, ad esempio, alla funzione simbolica della luce, della luna, del mattino. La parola comune si carica di contenuto metafisico, dunque, che traspare dagli attributi di Dio richiamati: la luminosità, l’armonia, la musica delle ‘remote orchestre’. L’autore cerca di tradurre il sentimento religioso in termini di sensazione fisica, per renderlo di nuovo efficace e pregnante. Direi che le immagini zilliane siano il correlativo oggettivo degli stati d’animo di chi ascende verso la Verità. Il percorso di Zilli è quello di un uomo che dopo aver cercato le ragioni del suo essereQui, approda alla certezza della fede che cancella le quotidiane ambasce.

Infine, a me pare, che Zilli scriva non tanto per un esercizio letterario, quanto per manifestare l’approdo personale della sua ricerca. Nelle ultime pubblicazioni, il suo bisogno di assoluto ha quasi anestetizzato i tormenti umani, e i suoi occhi sono diventati come quelli di chi è su altre rive, con il deserto già alle spalle; così, sotto sotto vedrei nell’autore un impegno di ordine etico, ovvero cristallizzare una via che porti alla totale unione mistica con Dio.

L’autore utilizza un ampio repertorio retorico come l’incedere prosastico, parole dialettali, applicazione arbitraria della punteggiatura e del non uso delle maiuscole, copiose anafore, metafore e similitudini visive, per dar conto di una tensione espressiva sicuramente collegata ad una urgenza etica.

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