L’inattesa di Sonia Vivona, Vintura edizioni, 2025

di Cosimo Rodia

 

L’inattesa è una silloge di quaranta liriche, dall’andamento epigrammatico, divisibile almeno in due grandi insiemi tematici; il primo cristallizza un pessimismo che porta ad irretire l’anima e a credere che esista solo il dolore; alcuni versi recitano: «Se solo potessi/ora/guardare il mondo/con occhi incantati/lo farei»; ancora: «Di ombra e luce/i sentieri impervi/di equilibri precari./E non c’è più spazio/non c’è più tempo/per vivere e morire”; infine: «E se tutto questo eccezionale/svilisse il quotidiano vivere?/E se il giorno per giorno/fosse il vero coraggio?»; insomma sono versi di chi vive in una condizione di stallo, dopo presumibili frustrazioni; riflessioni di chi non vede la fine del tunnel e dubita che ci possa essere un oltre.

Il secondo insieme contiene liriche in cui la nebulosa si sgrana e l’autrice guarda l’orizzonte con maggiore speranza, un possibile e rassicurante oltre, carica di desiderio di vita, di poesia (cfr. “Poesia”), di fiducia, grazie al sentimento d’amore, forse ‘inatteso’. Alcuni versi recitano: «Amore amore/mi urli dentro/parole senza cuore!/E scruto tra le rughe/del tuo viso/quel sogno che mi riporta/in Paradiso»; l’amore offre una nuova possibilità, nel possibile della vita; ancora: «Forse per amore/o per necessità/[…]/mi osservi, m’insegui/ mi precedi/mi accarezzi/mi sfidi, m’interroghi/[…]/ insinuandoti/oscura presenza/tra me e te»; l’amore s’insinua nella vita per cambiarle i connotati; ancora: «Ci siamo incontrati/ più per caso/[…]/e poi/col tempo/esplorati/annusati/ desiderati cercati/[…]E poi/ profondamente amati». Insomma, l’amore è la nuova possibilità di riscrivere la propria esistenza. Naturalmente esiste un modus per intrecciare relazioni umane produttive e durature ed è la delicatezza; la sensibilità diventa l’antidoto alle relazioni tossiche; i versi finali sono esemplari: «Oggi vorrei lavare l’anima/ma si potrebbe/ restringere/scolorire/strappare/ perché/anche senza centrifuga/i delicati/soffrono».

Vivona è smarrita davanti alla esplorazione e trascrizione della frammentaria esperienza della propria vita (rapporti con la madre, disastro di Cutro, lo sfruttamento delle terre vergini, i disamori…); e le sue poesie sono, nella loro secchezza assertoria, una manifestazione di certezza che il viaggio terreno è accompagnato dal disamore, ragion per cui il cammino è spesso da “clandestina”.

Il secondo insieme tematico è caratterizzato da un cambio di tono, originato dall’insorgere dell’amore, capace di rifertilizzare terreni prima considerati aridi. Quindi troviamo frammenti di esperienze, impressioni fuggevoli e trascrizioni di stati d’animo, e Vivona dà prova di esplorare e saggiare il destino esistenziale, che è il suo ma che diventa allo stesso tempo dell’uomo tout court.

Nel complesso le quaranta liriche danno un’immagine di forza dell’autrice, delle sue capacità di affrontare l’impasse grazie alla seconda possibilità che la vita riserva, di un sentimento naturale ed ineludibile nell’esperienza umana che ci libera dalla solitudine, dalle frustrazioni, dalla caducità e ci proietta con gioia verso il futuro.

Nel volume s’intreccino esperienze autobiografiche, spunti paesaggistici (“All’ulivo”, “”Nel frinire assordante”), fatti di cronaca, originando un tono ora nostalgico ora lieve di fiducia verso la vita, trasformando l’esperienza autobiografica emblematicamente in significazione dell’esistenza.

Troviamo allora sia un angoscioso smarrimento che porta quasi all’inazione, per via del destino di dolore, sia la forza di un sentimento motivante, di un sogno. Addirittura mi verrebbe da pensare, senza sapere quanto forzi la mano interpretativa, che la condizione di dolore personale, resa intelligibile con la scrittura, sia stata la possibilità di comprendere la vita; ovverossia, l’esperienza di dolore ha dato la possibilità di comprendere la condizione umana fatta di sali e scendi, di frustrazioni, di sconfitte, di addii, cogliendo, contestualmente, l’unica possibilità che si ha per ritornare a vivere, a sperare, a guardare al futuro, grazie a quel sentimento che tutto ‘move’.

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