Novembre umbro e Galàxies interiors di Joanrà Llaòs

di Cosimo Rodia

 

Tradotte dal catalano da Leo Luceri, sono poesie tendenzialmente epigrammatiche dai temi esistenziali.

Joanrà Llaòs si sofferma sul sogno (o sulla realtà del sogno), considerato una dimensione della verità, del divenire e dell’eternità, perché non subisce il logorio del tempo misurabile; scrive: «Niente finisce quando è sogno»; in “Memoria del sogno” un verso recita: «Tutto più chiaro nel sogno».

Ciò che emerge dalla domanda di cosa resti del mio istante nell’eternità del tempo, la risposta è inequivocabile: «notte nella notte/ silenzio nel silenzio/ il desiderio di un grido».

A me pare che la poesia del poeta catalano contenga il tentativo di capire il senso della vita, sfociando inevitabilmente nello sgomento, inchiodando l’uomo alla sua fragilità.

In “Desiderio” gli istinti forse potrebbero contenere lo slancio umano capace di fronteggiano la nullificazione; il poeta scrive: «Come se la morte ci regalasse/ una vita intera di vantaggio». Ad ogni modo, l’Oltre, ovvero tutto ciò che sfugge alla nostra razionalità, è solo pensato, rispetto a cui non possiamo che abbassare le pretese di capire.

Ancora, da dove ha avuto origine la vita? Dal vuoto, dal grande silenzio, dove risiede il «Tutto e niente». E «L’invisibile»? «Lotta per farsi presente». E i sogni che non si ricordano? È una domanda drammatica, che potrebbe far pendant con la vita trascorsa di cui non si ha più memoria oppure delle vite che ci hanno preceduto e di cui noi siamo ignari; sicchè la domanda richiama un interrogativo ancora più profondo: chi siamo in questa vita sì breve, nel fluire continuo dell’eternità?

E il fatto che le nubi abbiano il linguaggio segreto rubato agli dèi, tramite il vento, configura una dimensione dell’oltre rispetto al quale l’uomo è spettatore passivo: «Un ermetico messaggio/ lascia il vento al suo passaggio/ diffondendo la notizia segreta/ che le nuvole han rubato agli dèi». Di fronte alla nullità del tempo e alla scintilla della propria realtà non ci rimane che inseguire le ombre con visioni ridotte a «lama di luce».

Già Pascal aveva analizzato lo sgomento dell’uomo, di fronte alla sua finitezza, per la brevità della sua vita rispetto all’eternità, per il presente che finisce ‘inabissato nell’infinita immensità’.

Ed anche Juanrà si misura con l’infinità o col nulla; l’idea dell’eternità lo spinge a porsi il problema della condizione umana, della sua piccolezza che sgomenta se confrontata a qualcosa di incomprensibile e sconfinato. Un sentimento che avvia la ricerca intellettuale a guardare o a presupporre i caratteri dell’oltre, ma qui si ferma, perché vi è la consapevolezza della propria limitatezza che porta a sperdersi nel nulla degli immensi spazi; e la poesia può poco se non portare «ermetici messaggi».

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