Una voce fondativa: Emily Dickinson

di Barbara Gortan

 

Io sono Nessuno! Tu chi sei?
Sei Nessuno anche tu?
Allora siamo in due!
Non dirlo! Potrebbero spargere la voce!

Che grande peso essere Qualcuno!
Così volgare — come una rana
che gracida il tuo nome — tutto giugno —
ad un pantano in estasi di lei!

 

È ovvio che Emily Dickinson sa benissimo di essere un genio, però preferisce essere nessuno. Lei sa che il suo messaggio arriverà quando deve arrivare e infatti arrivò un secolo dopo.

 

Se non fossi viva

Quando verranno i Pettirossi,

Date a quello con la Cravatta Rossa,

Una briciola in Memoria.

Se non potessi ringraziarvi,

Essendo profondamente addormentata,

Sappiate che proverò

Con le mie labbra di Granito!

 

Emily Dickinson non è la più grande poetessa d’America, è la più grande poetessa di tutti i tempi.

Le sue millesettecentosettancique poesie furono pubblicate dopo la sua morte dalla sorella Lavinia, che raccolse tutti i testi accuratamente rilegati, conservati nei suoi cassetti.

 

Portami il tramonto in una tazza

le anfore contate del mattino

le gocce di rugiada.

Ditemi quanto lontano balzi il mattino

quando il tessitore dorma che adorna 

d’azzurro gli spazi!

E scrivetemi  quante son le note

nell’estasi del nuovo pettirosso

fra i rami stupefatti e quante gite

fa la tartaruga

e quante coppe di rugiada beve

l’ape ebbra!

Chi gettò i ponti dell’arcobaleno, e

chi le docili sfere conduce

con vincastri di morbido azzurro

E quali dita congiungono le stalattiti,

chi i grani del rosario della notte conta e si accerta

che non uno manchi

 

Chi costruì questa casetta bianca

e chiuse così bene le finestre

che non riesce il mio spirito a vedere

Chi mi farà col necessario uscire

in un giorno di gala

per volar via oltremodo fastosa

 

Non ebbe subito successo, non l’hanno capita, era in anticipo come linguaggio, ha anticipato nel 1850 la poesia novecentesca, l’ermetismo, il simbolismo, il surrealismo, fu al di fuori del tempo, un fenomeno inspiegabile. Si è consegnata totalmente alla poesia, ha vissuto in totale solitudine, in un villaggio del New England nel Massachusetts. Si rinchiuse in camera sua a 32 anni e vestì da quel giorno sempre di bianco, usciva solo in giardino o andava nei boschi, d’altronde con chi avrebbe potuto socializzare nel suo villaggio? La dama bianca con chi avrebbe potuto parlare dell’infinito?

 

Poiché io non potevo fermarmi per la Morte

lei gentilmente si fermò per me.

La carrozza bastava a contenere

noi due soltanto – e l’Immortalità.

Piano andavamo – non aveva fretta

ed io avevo tralasciato

il mio lavoro ed anche il mio riposo

per la Sua cortesia –

Passammo oltre la scuola, dove bimbi

giocavano in cortile, a ricreazione –

passammo i campi di occhieggiante grano

e passammo oltre il sole che moriva –

O piuttosto, fu lui ad oltrepassarci –

Le rugiade tremavano di freddo,

di sola garza era la mia gonna –

la bavera, di tulle –

E ci fermammo davanti a una casa

che somigliava a un’onda della terra –

il tetto si scorgeva a malapena –

la sua cornice era dentro la terra –

Da allora sono secoli, ma sembrano

più brevi dell’istante in cui m’accorsi

-in un attimo – che all’Eternità

le teste dei cavalli eran protese.

 

Il viaggio con il cocchio finisce apparentemente al cimitero dove ha lasciato il corpo, continua in realtà verso l’alto, le teste dei cavalli sono protese verso l’eternità.

In un attimo passa dalla dimensione del tempo, quello che definiamo cronologico a quello eterno.

Ha sempre un pensiero fisso verso l’aldilá, possiamo definirla una mistica, sembra che qualcuno, qualcosa le avessero comunicato delle verità che altri non sanno.

Ogni minima esperienza è un tramite di un contatto con qualcos’altro, con l’altrove, perché ha una visione della realtà non materialistica, ma trascendalistica.

I testi di Emily Dickinson sono prodigiosi perché sono profondi e semplici.

 

 

Se tu venissi in autunno,

Io scaccerei lestate,

Un po’ con un sorriso ed un pocon dispetto,

Come scaccia una mosca la massaia.

Se fra un anno potessi rivederti,

Farei dei mesi altrettanti gomitoli,

Da riporre in cassetti separati,

Per timore che i numeri si fondano.

Fosse lattesa soltanto di secoli,

Li conterei sulla mano,

Sottraendo fin quando le dita mi cadessero

Nella Terra di Van Diemen.

Fossi certa che dopo questa vita

La tua e la mia venissero,

Io questa getterei come una buccia

E prenderei leternità.

Ora ignoro lampiezza

Del tempo che intercorre a separarci,

E mi tortura come unape fantasma

Che non vuole mostrare il pungiglione.

Lascia un commento