Teoria del restauro di Cesare Brandi
di Aldo Perrone
Ci sono libri le cui lezioni posseggono contenuti che travalicano le generazioni e della cui ripubblicazione si avverte il bisogno. È il caso di Teoria del Restauro di Cesare Brandi che torna in libreria per merito della milanese La Nave di Teseo, per la collana “i Fari” – in una veste prestigiosa. Torna con un corredo di qualità in una cornice che consente al lettore di incontrarsi con il grande scrittore e teorico senese con rinnovata attenzione. Infatti, propone approfondimenti che sono un libro nel libro. È il terzo capolavoro brandiano che La Nave di Teseo consegna in poco più di tre anni: dopo il Martina Franca (2019) e Spazio italiano ambiente fiammingo (2020).
Nella prefazione Vittorio Sgarbi segnala da subito come nel campo del restauro Brandi sia un crinale, una frontiera: “c’è un prima e dopo Brandi. Ricerca dell’autentico e responsabilità estetica”. Ed il restauro ha affidabilità solo attraverso una teoria che ne indichi contenuti, confini, peculiarità. Segue il saggio di Massimo Carboni Il ritorno di un classico. Carboni è fra i più accorsati e sensibili studiosi del Nostro, fin dal felice suo approfondimento (Cesare Brandi. Teoria e esperienza dell’arte, ‘92) e non ha mai fermato la sua attenzione verso il grande maestro. Oggi ci offre una riflessione che guarda agli anni trascorsi fino ad oggi, del capolavoro brandiano, che contempla anche la versatile cultura del Maestro, la sua figura di magistero europeo, la sua riconosciuta validità di moderno umanista, la capacità di guardare più campi insieme, ma in primo luogo alla bellezza e dignità dell’opera d’arte. Come dire, i suoi diritti d’essere se stessa: “se dal punto di vista del riconoscimento della coscienza ricettiva è soltanto il carattere di artisticità a cogliere l’opera d’arte, come tale preservandola dall’esistente comune, sotto l’aspetto dell’azione di tutela e conservazione, invece, la sua consistenza fisica acquista un’indispensabile preminenza, giacché a questa è affidata la recezione e la trasmissione al futuro di quella che, nella terminologia di conio brandiano, è la realtà pura o l’astanza dell’opera, il suo carattere autocentrato.” Un trattato che riuscì a sottrarre l’attività di conservazione e tutela, la dotò di uno statuto teorico-scientifico superando indicazioni empiriche e approssimative.
Cesare Brandi, che aveva contribuito con Giulio Carlo Argan a fondare l’Istituto Italiano del Restauro e ne era stato per oltre vent’anni direttore (1939-1960), sentì subito l’esigenza – ed il dovere – di fornire una base scientifica e una dignità concettuale che consentisse di progredire per studium e non per pratica. È la costanza della ragione, e le lezioni di quel lungo periodo non potevano non coagularsi in un lavoro definitivo. Che difatti apparve al termine della sua direzione. La sua fervida e solida presenza nell’Istituto tornò con questo studio in una maniera densa della quale non si poteva non tener conto. Oggi è ancora più evidente, se ricordiamo i numerosi eventi e le note situazioni del restauro in Italia.
Approfondire studio e diffusione della metodologia e suggerire l’atteggiamento adeguato alla tematica restauro è una legge della ragione. Cosicché “se il riconoscimento dell’opera viene artificiosamente quanto astrattamente limitato alla isolata contemplazione individuale, allora non si riesce a coglierla nella sua intrinseca storicità”, chiarisce Carboni. Ed aggiunge che sul piano interpretativo l’opera d’arte – ed è Brandi che insiste in ogni suo intervento – “non è mai un oggetto che si possiede esaustivamente ma una voce che ci interpella e in cui il passato risuona nell’imminenza del suo esser-presente.” Non farsi conquistare dalla colpevole smemoratezza del presente (pericolo sempre in agguato). Carboni precisa e definisce le “grandi” raccomandazioni brandiane, in primo luogo di non dimenticare l’assunto del rispetto del passaggio del tempo.
Un’emozione che chi qui scrive visse nella polemica per salvare la città vecchia di Taranto quando (nella Tavola rotonda con Argan e Bassani – 1969) nel suo intenso – anzi duro intervento – Brandi chiarì questo punto. E riguardava il restauro di un centro storico aggredito dalla speculazione edilizia. Incredibile ma vero, quei concetti ripetuti con forza fermarono gli insani propositi.
Il nuovo libro consegna – in postfazione – ancora due importanti contributi: di Antonio Paulucci (Il filosofo del buon restauro) e di Giuseppe Basile (Gli insegnamenti culturali della scuola del restauro). Una redazione così esaustiva si attendeva da tempo. La Teoria del Restauro di Cesare Brandi è esso stesso la più solida delle difese dei beni culturali; ed oggi appare come rinnovata, rafforzata.
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