Presentiamo i testi poetici che sono stati letti alla Notte Bianca della Poesia a Molfetta (Ba), sabato 3 settembre 2022, manifestazione organizzata dall’Accademia delle Culture e dei Pensieri del Mediterraneo, guidata da Nicola De Matteo, con la direzione artistica di Gianni Antonio Palumbo.

Ecco, in rappresentanza di INTERZONA NEWS, nell’ordine gli scrittori: Daniela FONTANA, Barbara GORTAN, Francesca PELLEGRINO, Cosimo RODIA.

di Cosimo Rodia

 

Daniela FONTANA

nasce a Taranto dove tutt’ora vive. La sua prima silloge poetica pubblicata è del 2013: “Il colore dei papaveri” (Aljon Editrice); poi, nel 2018: “Presagi di salvezza” (Edit@ Casa Editrice & Libraria);

nel 2020: “A picco sul mare” (Edit@ Casa Editrice & Libraria).

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(Da: “A picco sul mare”, Edit@ 2020)

Una sola luce per i naviganti, ma il mare rimescola

sempre le carte, non è mai uguale. Cambia colore, fondale,

le onde si frastagliano in mille punte di diamante,

lanciano la corda al naufrago, l’annegano, poi si disperdono

ed è la schiuma il segreto, la chiave per arrivare al corallo.

Amo prendermene cura, dal granello all’infinita partita,

il dissolversi fra le dita è solo pretesto, incipit per arrivare all’intesa.

Quel sottilissimo filo che unisce il pensiero all’azione,

il foglio alla parola scritta e non c’è una ragione, solo passione.

Un filo di perle a legare le caviglie, a imprigionare

in una gabbia dorata e rendere liberi.

Perché libertà è poter dire e fare, assecondare la notte,

essere segugi di se stessi e amarsi fino all’ombra più scura,

quella più nascosta, quella che fa più paura.

 

È un parlare ad alta voce, per scandagliarsi e individuare una via da percorrere.

Per navigare i giorni non si hanno che poche guide, e l’esistenza, lo stare Qui, senza abiure, significa accettare che tutto scorra velocemente “il mare rimescola sempre le sue carte”; quindi, non rimane che dare cittadinanza alla passione tout court, perché un sottilissimo il filo unisce il pensiero all’azione, la potenza all’atto; così avanti tutta, da Diogene, affrontando senza scoramenti l’esistenza, amandosi anche nei lati più nascosti.

 

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Dell’universo (da: “Presagi di salvezza”, Edit@ 2018)

Se parlassi a te come ad un ramo

tu saresti foglia, radice della mia

radice, clorofilla e linfa – in osmosi

io e te. Figlio, figlia… un cuore

strappato ha più sangue di una

guerra persa e nella terra concima

lascia semi sparsi, spersi nell’attesa.

Saremo bosco noi, e fauna, albero

e corteccia. Verdeggeremo e selvatici

lasceremo il nostro istinto libero.

 

Noi siamo foresta,

inestricabile giungla d’amore.

 

La passione si trasforma in slancio o intreccio con l’altro da sé. La convinzione, condivisibile, della poetessa è che il male individuale eguaglia e supera il male di una intera guerra.

Sicchè, dannunzianamente, il percorso esistenziale, la strada possibile da imboccare, pur con la consapevolezza di cadere, è quella di stringere un tandem, in cui l’io e il tu diventino albero e corteccia e foresta. La salvezza risiede evidentemente nel Noi.

Sia nella prima lirica che nella seconda l’incedere è volto al parlato con una musicalità ammaliante: la rima finale nella prima poesia è accattivante; nella seconda si aggiungono consonanze (sparsi-spersi) e rimalmezzo (verdeggeremo-lasceremo), che mostrano come ci sia un’attenta cura della parola scritta.

 

Barbara Gortan

è nata a Livorno e vive a Taranto. Scrive per Interzona.news. Cura la Collana di Poesia Calliróe per Edit@ Casa Editrice & Libraia. Ha partecipato a varie antologie con scritti di prosa e di poesia.

1

Un’onda lungo un palmo

di vento, il sole

già calmo.

Il mare era grande.

Bambina, benedetta

tra le onde,

anche tu riapparivi.

La luce aveva la gravità

dell’eco

come se a guardare il passato

qualcosa tornasse.

 

L’autrice compie una grande personificazione: la Bambina, col carico di innocenza e bellezza, è la città di Taranto, benedetta tra le onde del mare (o meglio, dei due mari).

I fulgori del passato, giungono come un’eco dalla conchiglia, mostrando l’incanto simile a quello contenuto nell’immagine di una bimba; un modo per valorizzare un luogo, guardando il futuro con speranza, proprio per la pregnanza di quel passato.

 

2

All’ingresso di un dolore,

in un paesaggio silenzioso,

una lama lunga quanto

l’orizzonte

traversare lenta e muta,

su solitudini incurvate

stesa su una stoffa di

vento

nell’onda dell’aria.

Gli uccelli in volo

sono croci che ci afferrano

dai capelli

spalanchi gli occhi

dalle orbite cadono nidi di luce.

 

Gortan ci presenta un paesaggio di dolore, sottolinea la speranza di ricominciare ma cadono nidi di luce.

Un dolore esistenziale, collegato probabilmente con la realtà effettuale, di una città martoriata da un ambiente svenduto!

 

Francesca PELLEGRINO

È nata a Taranto, dove tuttora vive; scrive e sogna e fintanto che sogna alcune cose accadono: Luca, LucaDeiMieiOcchi, un sogno vivo di figlio che si fa uomo, libri per costruire muri e paratie, un mutuo e un lavoro per sbarcare lune e altre galassie. Ha pubblicato una mezza dozzina di libri di poesie e altrettanti attendono nel cassetto la luce giusta per venire al mondo. Per tutto il resto, c’è mastercard.

1

Dunque le api […]

Certi fiori stanno sul lato che dormono

come se niente fosse.

Chiudono gli occhi o anche sbadigliano

per tutto il resto del tempo.

Fastidioso.

Non riconosco la forma

che fa la mia ombra sul muro.

Mi metto a tre quarti faccio facce strane

ma lei resta tale e quale a prima.

Non pronuncia neanche le mie labbra.

Distinguo soltanto un puntino che si muove

nerissimo

e cerca il sangue di me.

Impassibile.

La mimetica di certi sorrisi è sorprendente

come soldati tornati a casa

e ancora la guerra negli occhi.

Urgente.

Avrei voluto dire di quando ho

costruito la casa nuova al mio bucato

ma non ce n’è stato modo.

Svuoto il cesto della biancheria

che è meglio.

Intanto mi porto avanti un po’ di lavoro

stringo in una mano un panno

e lo passo sopra i mobili.

Non mi si venga a dire che non sono efficiente.

Non mi si venga a dire.

Ecco, si è fatto tardi

ho un sacco di cose da dimenticare

e da girare il sugo sul fuoco.

Invece domani, anche.

Facciamo che io sono il fi ore

e tu spari.

 

Un realismo tragico, fatto di puntini neri che cercano di suggere il sangue (immagini da “West land”); uno sguardo sull’esistenza, la cui ratio è rimandata all’indomani per essere scoperta, tra le cose da dimenticare e il sugo da girare. Uno strascico di sperimentalismo appare negli ultimi versi, che in realtà formano un endecasillabo nascosto.

 

2

Un diamante è per sempre

Il primo è sempre un bacio sulle labbra

venuto benissimo.

Quello dopo, sembra addirittura meglio e

poi le mani che non scollano più i visi.

Intanto, non diciamocelo nemmeno

che lo sai e che lo so

ci saranno certo cose rotte a metà

le foto come i figli.

E parleremo malissimo di noi

sputandoci addosso il paradiso

che ci aveva ubriacati.

Eppure, adesso, mi riempi il bicchiere

e me lo dici con i fiori

quasi quasi ci credo

che mai, che mai mi lascerai.

E che io mai, che mai ti lascerò.

 

Un titolo con una forma idiomatica banale, ma che nasconde un dolore espresso tra ironia e realtà. Una rappresentazione plastica di un prima, un durante e una conclusione con naufragio; e chi lo subisce accetta le maschere pirandelliane sforzandosi di non crederci. Una poesia apparentemente semplice, con l’uso di un linguaggio comune e quotidiano, ma pregnante di umanità frustrata (alla Patrizia Cavalli).

 

Cosimo RODIA

è studioso di LG e cultore della disciplina presso l’Università del Salento; si interessa contestualmente della poesia e del romanzo del Novecento. Ha all’attivo diverse dozzine di pubblicazioni tra saggi, articoli scientifici, racconti e silloge poetiche. È redattore della storica rivista “Pagine Giovani”; ha fondato e dirige il portale di letteratura, arte, musica, costume e società: INTERZONA NEWS.

1

Appena

Appena sboccia la rosa

non si aspetti il sole ancora

imbrigliato tra le pieghe

dell’alba per perdersi nei petali

innamorati con l’odore che ancora

non cede all’afrore del giorno!

Così si gusta la vita

in momenti occasionali

come sulla balaustrata di San Giovanni

con lo sguardo tra cirri pellegrini

e col vociare di passanti sconosciuti:

ognuno forse con una rosa

che si schiude!

 

2

Sissi

Sissi è un gatto bianconero

con una goccia carbone

sul muso da renderla vezzosa.

 

Ricordo il neo finto

sulla guancia delle donne antiche!

 

Un vezzo con cui Sissi

ha giocato la Natura.

 

Le fusa sono concesse

e così sceglie da nobile

le mani e le carezze.

 

Poi appena la brezza agita l’aria

gioisce in silenzio per il pelo

lucido disordinato.

 

Aspetta sull’epistilio del cancello

come su un piedistallo

 

quando poi sente il suo nome

si allontana per la lisca.

 

A pomeriggio col tramonto

nell’aria sale sul tetto

della macchina e come

su un palcoscenico slancia

le zampe in movenze di odalisca.

 

Infine quando la notte oscura

le case lei impietrata

sul muro di cinta parla

con la luna e nasconde

nella lama degli occhi

il mistero che a noi non si dona!

 

(In foto da sx: Daniela Fontana, Francesca Pellegrino, Barbara Gortan, Cosimo Rodia)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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