Menù a’ la carte di Loredana Lorusso, Tabula fati, 2022

di Cosimo Rodia

 

Menù a’ la carte è l’opera prima di Loredana Lorusso, introdotta dal maestro Daniele Giancane; contiene poesie d’amore e altro ancora, con una sovrabbondanza tematica di eros, sia quello concreto, sia quello immaginato; un eros spontaneo, atteso e a volte frustrato, e altre volte rappresentato nella sua forza smemorante.

Il corpo umano con i suoi bisogni e desideri, diventa centrale nei testi dell’autrice barese, in cui, dopo essere stato culturalmente relegato nell’angolo del privato (o sovente, mortificato), gli si riconosce dignità, come si legge in “Dentro”, “Fusione”, “Strip-tease”, “Liquido”, “Entra”.

Nei versi filastroccati, la trepidazione, la gioia provocata dall’eros, la sensualità, la passione concreta, il miracolo dell’incontro profondo e misterioso, infrenabile e irrazionale dei corpi, trovano una plastica rappresentazione.

In Menù a’ la carte, l’attesa, l’animosità (o la bestialità) dell’atto sessuale, la preparazione ad esso, sono presentate nella loro concretezza e astrattezza, superando il dualismo di anima e corpo; a parlare nel volume della Lorusso è la persona integrale, nella dimensione, appunto, di assoluta unicità poliedrica (in quanto carne e in quanto spirito).

È una poesia fisica, oggettiva, tangibile col suo carico trascendente nella misura in cui il corpo e le sensazioni si smaterializzano nelle e con le parole; e le parole diventano carne; e la carne si fa parola, rendendo, nell’evanescenza dei lemmi, le sfaccettature umane.

Vedrei, in questi versi coraggiosi, la volontà di riscatto dell’uomo, fedele sia alla vita concreta e delle convenzioni, sia alla dimensione delle forze misteriose che alimentano la vita, e che proprio nell’eros si svelano in maniera inequivocabile: nel mistero dell’eros la materialità viene superata e averlo scritto è un evidente merito intellettuale.

Un’opera prima, che dal punto di vista del vestito, è in linea con il neometricismo, per gli incastri rimari e per l’abbondanza di rime baciate, attraverso cui si disegnano le movenze del cuore o le sofferenze d’amore, a volte con una dose straniante, per via di filastrocche leggere, tanto da creare nel lettore un disorientamento accattivante; nei testi più riusciti non manca un buon ritmo, per l’uso di iperbati e di settenari da rendere l’incedere incalzante: “Carta sarò da pacco/un foglio di quaderno/profumo di tabacco/…”.

Il neometricismo è stato già sperimentato da Gabriele Frasca o dalla più nota Patrizia Valduga; e proprio con la poetessa veneta, Lorusso condivide il tema e alcuni passaggi dal ritmo martellante, la giustapposizione dei verbi e fiumi di predicati; in “Orgasmo”, mentre si racconta un amplesso, mosso da forze animali e da azioni irriflesse, quando giunge l’acme, parte l’elenco di stampo valdughiano: “Sbriciolarti/liquefarti/sfarinarti/strofinarti/succhiarti il fiato[…]”. Stessa tecnica si trova in “Prendimi”.

Cosa domina nella silloge? Il piacere dell’eros, il senso dell’abbandono e la nostalgia dell’attesa, in cui le esperienze sono ricordate per la loro corporeità, per la gioia che la fisicità riesce a generare e di cui se ne vagheggia la bellezza o se ne agogna la reiterazione.

Direi che nel volume si percepisce, anche, un percorso di formazione o di uscita dalla minorità, ovvero dalla subordinazione agli stereotipi culturali che guidano il dover essere. In “Io sono” vi è l’analisi sul peso del dover essere acquisito nel processo educativo, sicchè per essere libera, l’autrice conclude, bisogna essere vera, autentica, funambolica, libera proprio di quel vestito troppo stretto; e così “”Chi sono?”, “La mia infanzia”, per concludere con l’“Epitaffio” che chiude idealmente il processo verso l’autonomia, dopo essersi liberata dalle catene delle convenzioni e finalmente essere padrona di sé: “Lei non è più/adesso è altrove/Fedele a ciò che è stata/cerca amore”, ovvero, senza più il fardello sovrastrutturale che le imponeva come, dove e quando essere.

Per concludere, Menù a’ la carte è una buona prova, svolta con coraggio, anche se sarebbe stato opportuno che le centoventotto poesie fossero divise almeno in tre sezioni: quella con le liriche esistenziali, quella dedicata al rammemoramento e ai desideri e, infine, quella con poesie più strettamente erotiche, per evitare di leggerle senza un preavviso, e sobbalzare.

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