Lettura ed oltre de l’Odissea di Nikos Kazantzakis

di Anna Rita Merico

 

Un taglio preciso e netto la recitazione algida ed essenziale di Tommaso Ragno nel film “Nostalgia” di Mario Martone. Di Tommaso Ragno resta indimenticabile la lettura recitata e il personale commento dell’Ulisse di Kazantzakis durante le fasi finali del lungo lavoro di traduzione di Nicola Crocetti (Nikos Kazantzakis, “Poeta della Visione”[1]).

Kazantzakis, cretese di Iraklio, visionario oltre ogni dire, scavatore degli abissi dell’animo umano, finissimo conoscitore della cultura europea, cultore superbo della lingua greca e delle sue radici ultramillenarie. Colto ma sprofondato nella parola popolare, quella che più conserva la connessione con l’antico del significato. Archeologo attento del suono e del ritmo. Kazantzakis ha la visione di un’umanità che deve poter raggiungere un superamento della realizzazione spirituale in cui si trova per accedere ad una altra pienezza evolutiva. “Ulisse” di Kazantzakis è, nei fatti, un poderoso manifesto della visione dell’uomo che il Poeta forgia rigo dopo rigo dall’interno di poderosi personaggi cui dà cuore, pelle, pensiero altro rispetto a ciò che la letteratura e la visione occidentale ha conosciuto. Quella di Kazantzakis è un’immensa opera di sguantamento della cultura occidentale, è una tensione continua vero il limite dell’indagabile. È poesia, ma è filosofia, è apprendimento nuovo della scrittura, ma è elaborazione di una nuova antropologia legata ad una cosmologia altra. La Sua è una visione che tratteggia e forgia attraverso tutti i suoi personaggi letterari. Sono personaggi che conosciamo anche attraverso indimenticabili trasposizioni cinematografiche: Il grande Antony Quinn che interpreta uno Zorba tutto inno alla libertà, alla vita, al viaggio del regista Giorgis Kakojanis e la musica di Mikis Theodorakis; Cristo de l’Ultima tentazione di Martin Scorsese con un sublime Peter Gabriel che ne musica potenti scene. Filigranato e rivolto, invece, proprio a Kazantzakis il lavoro di ricerca del regista Yiannis Smaragdis che ri-cuce passaggi di vita, viaggi, pensieri del Grande.

Poeta e Pensatore. Pungolatore di profondi mutamenti che esige, attraversino l’essere uomo, punta su un superamento alto, un’evoluzione in grado di portare ad un abbattimento del limite e delle maschere che hanno tenuto l’Umanità nel corso del suo andare. Da ciò il Suo affondo all’interno della spiritualità, il Suo nuovo interrogare le fonde mistiche di figure quali Francesco e Cristo dopo una crisi nata anche in seguito all’esperienza avuta sul Monte Athos. Interrogazioni che svelano aspetti carnali, umani, dolenti. La dimensione della lotta, in Kazantzakis, si sposta dal campo iliota per trasformarsi in lotta combattuta nel dentro di una ricerca di ri-fondazione dell’Umanità. La spiritualità di Kazantzakis non è porta facile da attraversare.

Ilio non è più fuori, le sue mura invadono il cuore umano chiedendo di espugnarlo per rifondarlo, ancora.

Molto della questione riguardante le sue posizioni intorno al credere, contribuiranno alla mancata assegnazione del Nobel (1957) che sarà, invece, assegnato a Camus. Lo stesso Camus, ricevuto il riconoscimento, sentirà Kazantzakis riconoscendo il lavoro del Maestro.

Kazantzakis, per la stesura della Sua Odissea, realizza anni e anni di ricerca intorno e dentro i termini dell’idioma greco al fine di distillarne parola atavica. Ricerca tra i pescatori, i pastori, le riparatrici di reti, gli umili, gli anziani termini che, poi, pesa, soppesa, annota, conserva, trascrive nelle sue carte impilate e infinite, pervase da smisuratezza d’amore per il demotico. L’Odissea di Kazantzakis è opera monumentale. Ventiquattro canti, un proemio ed un epilogo. Canti costruiti intorno a impalcature precise: la terzina dantesca, lo schema triadico del sistema hegeliano, l’alfabeto greco e una metrica in disuso tutta legata al ritmo del sentire; immane lavoro di stesura durato più di tredici anni (dal 1925 al 1938).

Torna l’incipit con la narrazione delle imprese. Stavolta la narrazione non avviene più nella Reggia di Alcinoo ma di notte, dopo il ritorno, presenti e fermi come in una cornice che tiene: Penelope colei che si fa e si disfa, Laerte ormai fetale nella sua prossimità al trapasso, Telemaco che attende la narrazione accoccolato nel chiuso di una tensione di nodi che chiedono di sciogliersi.

“Nella sua mente si levano mari s’imporporano rive,

risuonano gioie, risa e pianti, fortezze in fiamme;

la gola robusta soffoca, non riesce più a parlare.

La botola azzurra della memoria marina si apre;

chi ricordare per primo, chi rigettare nell’oblio?”[2]

Non è più Odisseo che smuove identità (la sua, fondandola nel pianto). È un Odisseo pregno di sé, equilibrato, attento ai movimenti della sua memoria e del suo dire.

“… Giuro sul mare, abbiamo dentro mostri complicati,

il cuore è un polpo, lo sbatti, ma resta sempre duro!

… Il cuore dell’uomo è una bestia oscura, amici!”[3]

Capitan Conchiglia, l’Arciere, l’Omicida, il Solitario, il Bronzista, Roccioso, Granito, Centauro, il Vendemmiatore, il Giramondo, il Prode, l’infido Gabbamondo, il Tormentato… una galleria indimenticabile di epiteti segnano e disegnano Ulisse di Kazantzakis.

I cuori, attraversati dalle doglie, generano Dio. Il Canto XIV dipana la sua forza espressiva mostrando il nucleo della ricerca spirituale dello Scrittore, il Creato intero diviene complice dell’Umano che chiede libertà dalle stirpi, libertà dal corpo mentre, il Conoscicuori ride…

“…

Non dover dire: vado a destra o a sinistra, ma lasciare

Che i quattro venti soffino al crocevia del cervello.

E salendo, sentire tutt’intorno Dio che respira

E che ride accanto a te, cammina, rotola pietre;

A caccia di uccelli imprendibili, lasciarti indietro

La mente, la vita che scampana, la prostituta gioia

Tu hai appreso bene tutte le arti, Mente di volpe…”[4]

 

Un ritmo serrato, una passione per la trama degli accadimenti, un continuo filo tra animali, uomini e Creato tutto. L’ascesa al Monte riempie il cuore, il Viaggio è Viaggio di dentro. È Viaggio che genera nuova Terra e nuovo Cielo. Il Viaggio è meta. Nell’Opera si condensa l’intero Suo pensiero filosofico e poetico e tutte le tensioni che Kazantzakis coglie (non ultima la visione del Super Uomo nietzschiano) nel pensiero e nella ricerca del XX sec.

“Io lascio la mente libera di smaniare in segreto,

desiderare ciò che non ha o quello che ha perduto;

ma io le redini le tengo strette e salde in pugno,

e lascio che il cavallo pascoli e sogni senza paura.”[5]

È un Ulisse che, nella sua dirompente contemporaneità, dialoga a tu per tu con un Dio cui si sente pari, mentre combatte contro la Morte a fronte della quale oppone la Speranza. Un caleidoscopio da cui irrompono schegge di un sentire cosmico che richiama ad una Creazione altra. La ricerca di Kazantzakis mostra le sue pieghe profonde: più che verso la bellezza, essa è volta verso la verità, verso la tensione per un’utopia che non deve restare tale ma deve poter divenire storia.

Nella dotta introduzione, Nicola Crocetti rende conto del lavoro di tessitura di relazione con Kimon Friar uno dei primi traduttori (in lingua inglese) dell’Opera di Kazantzakis; di ciò Crocetti ha reso ampiamente conto in una introduzione da lectio magistralis tenuta nella Casa della Poesia di Milano, quando il lavoro di traduzione, durato sette anni, era stato ultimato ma non ancora uscito in stampa.

La bellezza del Canto XVI è un inno ad una pagana bellezza. Ulisse, è pronto a ripartire.

“Madre dalle grandi mammelle che pendono sull’abisso,

mi sono dissetato, non voglio più il tuo seno destro;

buono il tuo latte bianco, Madre, ma ora voglio il nero;

ed ecco, impugno con le mani il tuo seno sinistro!”[6]

Il Viaggio continua dopo che Odisseo ha scoperto le intenzioni delle donne itacesi cui s’era alleata anche Penelope ed il figlio Telemaco. Odisseo si dirige ancora verso le origini simbolizzate dalla ricerca delle sorgenti del Nilo, impresa esplorativa storicamente avvenuta nell’epoca di Kazantzakis. La costruzione di una città modello, un’utopia, perita in un incendio… l’incontro con Chisciotte, Capitan Uno e il perdersi nelle terre antartiche.

La dissoluzione di Medea era stata verso Elio, Odisseo – come Frankenstein di Mary Shilley – si tramuta in Spirito e Luce sopraffatto da un iceberg nelle Terre Polari, le alterità del freddo e del caldo punteggiano le visionarietà letterarie nel corso del tempo e sottolineano il dono fatto all’Umanità: una nuova interrogazione sulla Spiritualità.

Il Canto VI è un altro doveroso attraversamento da nominare: Odisseo non scende nell’Ade ad offrire libagione per incontrare Ombre che hanno punteggiato la sua vicenda nel passato. In Katanzakis l’incontro è proprio con la Morte:

“La Morte viene a coricarsi al fianco di Ulisse;

ha vagato tutta la notte e ha le palpebre pesanti,

vuole stendersi in riva al fiume con il vecchio amico

e così avvinta la valorosa coppia si addormenta.

Dorme la Morte, e sogna che esistano uomini vivi,

che sulla terra s’innalzino case, palazzi e regni,

che sorgano giardini fioriti, e che alla loro ombra

passeggino donne nobili e cantino le schiave

Ha un solletico sulle labbra, formicolano le nari,

la Morte si scuote all’improvviso e svanisce il sogno.

Nel sonno fulmineo ha avuto un incubo: la vita.”[7]

L’intero Canto VI è un tripudio di immagini, di luoghi, di andirivieni di personaggi, un veloce acquarellismo che tocca il bucolico ed il satiresco sino a giungere all’incubo della Morte. La mente va a Sogni di Sogni di Antonio Tabucchi, il sogno di Pessoa: sette marzo del ’14, giunge da Caeiro… inizia a dare voce alla sua poesia unico mezzo che sa tenere in piedi i mille che lo abitano. Tanto, per dire che l’Odissea di Kazantzakis è testo che genera nelle mani del lettore, è testo che ri-chiama, è testo che produce movimento, nulla è fermo, tutto – nella lettura- si pone in congiunzione con quanto XX e XXI secolo hanno prodotto in campo letterario.

Esiste, allora, una meta-opera che chiude un’epoca divenendone matrice? La Divina Commedia per il Medioevo, certamente, il Chisciotte per l’epoca moderna, l’Odissea di Katanzakis per l’epoca contemporanea, sicuramente. Sono opere-contenitore che racchiudono l’intera sapienza cui il genere umano è giunto, opere in cui un Visionario rilancia il cammino dell’umanità alle soglie di un cambiamento profondo, opere in cui il dissolvimento finale ha a che fare con una rinascita spirituale afflato per tutti e per ognuno, opere in cui la Spiritualità viene reinterrogata come filo segreto che chiude e dipana l’essere ontologico che fonda l’uomo. L’umanità è nata (non biologicamente ma culturalmente) quando, posta a contatto con la Morte, l’ha riconosciuta e riverita imparando a seppellire i morti, rivestendo le tombe, costruendo architetture intorno e per essa.  In tutte e tre le Opere citate ruolo della Morte e del Viaggio sono centrali. Sono Opere che ci indicano il viatico attraverso un personaggio (Dante, Chisciotte, Odisseo) che è guscio di lumaca, guscio che tutte e tutti ci contiene.

Il testo prosegue sino a giungere al centro del suo spessore iniziatico: la comparsa, in Ulisse, del “terzo occhio”, quello della conoscenza. Ulisse lascia la vita, la sua morte è avvolta in una processione di ombre cui partecipano tutti. Il Sole, proemio ed epilogo, simbolo della dimensione di ricerca della spiritualità, guarda lo spirito dell’eroe svanire, in realtà, spirito che si congiunge al Cosmo continuando, imperituro, a creare. È Ulisse-Kazantzakis che esce dalle pagine dopo essersi fatto umanità, dopo aver attraversato ogni piega possibile dell’animo umano, dopo essere tornato, imperituro, a dirci.

“Sole, grande astro orientale, berretto d’oro della mente,

che amo portare di traverso, ho voglia di giocare,

perché gioiscano i cuori finchè siamo entrambi vivi.

È buona questa terra, ci piace, come l’uva riccia

Che pende nell’aria azzurra e oscilla nel piovasco

Dio, la beccano gli spiriti e gli uccelli del vento;

pilucchiamola anche noi, che ci rinfreschi la mente!”[8].

 

[1] Cfr. Nicola Crocetti, Introduzione, in Nikos Kazantzakis, Odissea, Crocetti Editore, 2020.

[2] Ivi, p. 34

[3] Ivi, p. 189

[4] Ivi, p. 423

[5] Ivi, p. 265

[6] Ivi, p. 523

[7] Ivi, p. 197

[8] Ivi, p. 1

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