Zebù bambino di Davide Cortese, Terra d’ulivi edizioni 2021.

di Simone Principe

 

Poesia genuina, senza alcun affanno, dispensatrice di levità, dove mente e corpo si distendono su una bianca nuvola, carica di versi.

Il mistero dà la mano alle parole, le accompagna e loro ne custodiscono il segreto. Delle volte, sono (le parole) un accordo fiabesco, lasciando entrare il lettore, con la sola condizione di avanzare passi d’innocenza.

 

Accende mille fiammiferi nella notte

si brucia il ciuffo e le scarpe rotte.

Brucia un nome scritto su una nave.

Brucia la porta per far cadere la chiave.

 

Il poeta introduce un arcano attraverso la fede, con il piccolo Zebù che “tatua fiori di melo e serpenti sul seno di plastica di Maria.”

Fantasia quella dell’autore, che di “fantastico” ha ben poco, poiché dietro l’alone dell’enigma, la realtà è più “reale” che mai e si diverte a giocare assieme all’autore, con l’immaginazione altri. Quando chi legge, coglie aspetti “veri”, si trova su una barchetta, in un mare limpido, da poter pescare l’essenziale bellezza sul fondale.

 

Si finge marinaio nel cuore della tempesta

poi prode cavaliere con la lancia in testa.

 

È un cammino, un percorso di vita, da cui il lettore può tentare di carpire aspetti di sé, com’è e in particolare, com’era.

Davide Cortese ha affabulato la poesia, l’ha resa una nuova scoperta, tirando fuori la fanciullezza che spesso durante la crescita si smarrisce (capita anche ad alcuni artisti), facendo riscoprire a chi legge, la grandezza delle piccole cose, attraverso il percorso del piccolo Zebù.

Come fosse un’altra poesia, l’indice già ci narra aspetti della “fiaba”.

 

Diventerà un bel giovane

 il piccolo Zebù.

Presto farà breccia

nel cuore di Gesù.

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