Dietro le onde dei calanchi

di Barbara Gortan

 

Dietro le onde dei calanchi, un uomo siede al suo scrittoio di legno e i suoi versi sulle cupole più alte e sui solchi longitudinali, ricoprono di vegetazione la sommità, cantando sulle acque di ruscellamento, svolano verso valle. Dorsi d’elefante di granelli di oro e latte macchiato. Un sole sta nell’azzurro per riscaldare la voce. L’eco sono piccole esplosioni di acqua, pioggia che scivola sulle curve, secondo l’antica formula della poesia. Sono attese. Brillano sulle pareti dei fogli scritti a mano, le immagini soavi e impetuose, potrebbero essere degli occhi che osservano microscopici, grati ai sensi per la loro sottile delicatezza, non siamo coscienti e ci denudiamo del tempo. Ogni suono dice: sono pietra di un museo a cielo aperto. Quante poesie abbiamo per vivere? 28 e due poemetti. “Credo di essermi amato in un pozzo di inchiostro pece” dice il poeta, Alfonso Guida. Fin da piccolo ripercorrere la mastodontica impronta nera gettata nell’aria e sprofondare completamente assorbito, collegare racconti bugiardi, dare la mano al gigante del buio. Novembre. San Mauro è una nave senza carichi, attraccata al tramonto. Un minuto è più lungo di un giorno. Gli alberi e le case si nascondono nel silenzio, sale il fumo bianco dai comignoli, spezza la notte. Un puzzle di parole chiare e scure. Le tessere, poi, diventano cubetti di marmo, vetro, conchiglie, con oro e pietre preziose, vengono impiegate per creare un pavimento, ricoprire e proteggere le pareti della mente. Le strade confluiscono in un’alba con sponde abitate da prodigi e abissi accessibili a chi udirà l’ansito, nel rito poetico rifrangono battiti. Il poeta è più grande della sua ombra.

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