LA FIABA, LINGUAGGIO UNIVERSALE – PARTE II (ed ultima)

di Angelo Nobile

(Università di Parma)

 

Fiaba e struttura psichica infantile

Ma quali le ragioni della sopravvivenza di queste antiche narrazioni e del loro costante gradimento presso l’infanzia, pur in mutati contesti sociali e culturali? In effetti, nella fiaba ritroviamo – in termini di linguaggio e di contenuti – una singolare rispondenza alla struttura psichica infantile, ai suoi bisogni emotivi profondi e ai suoi processi di comprensione. Passiamo brevemente in rassegna questi motivi:

a) la ristretta cerchia dei personaggi, fortemente tipizzati, con netta contrapposizione di qualità contrapposte: bontà-cattiveria,

astuzia-stupidità, ecc.;

b) la motivazione delle azioni, mosse da sentimenti primordiali come la bontà, la curiosità, l’invidia, e spesso dettate dalla necessità di obbedire a un ordine;

c) la trama estremamente semplificata, priva di digressioni e di aperture di storie parallele;

d) lo stesso andamento narrativo, intessuto di meraviglioso, di extraquotidiano e di eventi straordinari, che non procede gradualmente, ma per improvvisi mutamenti e radicali cambiamenti di status (dalla più squallida indigenza ai fasti di una rutilante ricchezza), caratteristiche che ben si adattano a un pensiero, come quello infantile, che ignora le sfumature, i contemperamenti di qualità, l’esistenza di verità relative;

e) l’andamento ripetitivo e cadenzato, nel quale si dispiegano le molte funzioni proppiane (danneggiamento, rottura dell’equilibrio iniziale, ecc.);

f) le forme onomatopeiche, tanto gradite all’infanzia;

g) il ritmo binario e ternario e il motivo triadico (tre i fratelli, tre le prove da superare…);

h) la contrapposizione, priva di sfumature psicologiche, tra bontà e cattiveria, che ben risponde all’intransigente giudizio morale infantile (il realismo morale descritto da Piaget), fortemente manicheo;

i) la feroce punizione inflitta al malvagio;

l) la contrapposizione piccolezza-enormità (il bambino, il gigante, motivo presente anche nell’episodio biblico di Davide e Golia), con l’inattesa gratificazione per il piccolo, l’umile il non considerato, nel quale il piccolo si riconosce;

m) l’assenza di esseri compositi, propri invece della mitologia, e di situazioni simultanee e complesse (non il “mentre” ma il “dopo”;

n) la sfera di atemporalità nel quale si muove la narrazione;

o) i motivi magici e animistici presenti nel racconto, che ben rispondono alle caratteristiche del pensiero infantile in un determinato stadio dell’età evolutiva, connotato da artificialismo e animismo;

p) un linguaggio semplice ed essenziale, illuminato a tratti da lampi di scintillante arguzia (così ad es. nelle fiabe perraultiane);

q) l’immancabile festa del lieto fine, con la punizione esemplare inflitta al malvagio e il ripristino della linearità della morale, che soddisfa l’intransigente giudizio morale infantile, ma anche il bisogno del bambino di rassicurazioni e di certezze.

Sotto questo profilo, costituendo una narrazione semplificata, rapida ed essenziale, ma al tempo stesso ricca di fascino, la fiaba si presta particolarmente, anche sotto il profilo della comprensione linguistica e concettuale, ad essere proposta ad un alunno affetto da ritardo mentale. Al tempo stesso, in virtù della sua ricchezza di significati simbolici e delle molte funzioni psicologiche che assolve, sollecita la sua proposizione a tutti i disabili o diversamente abili, in quanto schiude il cuore alla speranza e incoraggia a maggiori imprese. Spesso è l’ultimo nato, detto il Grullo, spregiato e irriso dai fratelli, oggetto di aspettative negative in ambito familiare, a trionfare di difficoltà e ostacoli, grazie al suo buon cuore e con l’aiuto di forze benigne, riuscendo a superare le prove nelle quali i suoi fratelli hanno fallito. Anche se riserve di ordine pedagogico e psicologico sollecita la correlazione, ricorrente nella fiaba, tra bruttezza e cattiveria, minorazione fisica e malvagità.

Ma la fiaba ha carattere di universalità anche per i sentimenti e le emozioni che suscita nel giovane ascoltatore e lettore di ogni parte del globo: gioia, dolore, angoscia, speranza…, tanto da giustificare la sua presenza all’interno di percorsi di educazione emotiva e affettiva. Così come carattere di universalità hanno le sue valenze educative e ricreative.

 

Valenze educative

Universale patrimonio dell’umanità fanciulla, la fiaba, nelle sue molte forme e trasmigrazioni, occupa a tutt’oggi un posto non marginale nella vita dell’infanzia, segnatamente in età prescolastica, la cui capitale importanza per il successivo sviluppo emotivo-affettivo, intellettivo e linguistico è ormai unanimemente riconosciuto, sulla scia delle geniali scoperte freudiane.

Specchio della vita e delle difficoltà dell’esistenza, così come delle perenni aspirazioni umane, la fiaba nutre la fantasia, libera il pensiero divergente, dilata il limitato mondo dell’esperienza infantile, arricchisce lingua e vocabolario, soddisfa bisogni profondi di natura affettiva, affina il senso estetico, è iniziazione al culto del buono, del bello e del vero.

È il luogo di tutte le ipotesi, la chiave per entrare nella realtà per strade nuove e conoscere il mondo.

Nell’offrire un ricco repertorio di caratteri e di destini, presenta in forma semplificata e concettualmente accessibile una visione articolata dell’esistenza, pone l’infanzia di fronte ai principali problemi umani, propizia e favorisce la presa di contatto del bambino con il mondo, quello della realtà oggettiva e quello della sua realtà soggettiva, dei contenuti psichici interiori, rappresentando di fatto, con la sua ricchezza di verità simbolica, un’autentica introduzione alla vita.

Sotto il profilo morale, procura un incontro in chiave non concettuale con i problemi etici fondamentali, favorisce l’acquisizione di un primo, embrionale codice morale e avvia a una iniziale definizione dei concetti di bene e di male. Tra queste due forze, assicura, per simpatia, una partecipazione empatica per la prima, in attesa di una loro più ampia e approfondita problematizzazione critica, in chiave non più rigidamente manichea. In una prospettiva psicoanalitica, consente al giovanissimo fruitore, a differenza dei media, un impatto non traumatico, in quanto simbolicamente mediato, con la realtà esistenziale e quindi anche col male, in un contesto psicologico rassicurante (illuminanti in materia gli studi di Bettelheim).

Costituisce ancora, nei suoi contenuti consueti, un’inesauribile fonte di preziosi insegnamenti vicari, non didascalicamente esplicitati, ma scaturenti immediatamente dalla vicenda stessa, risolvendosi generalmente in un’alta lezione di comportamento e di civiltà; addita e rinforza, con la ricompensa finale e attraverso l’identificazione col protagonista-eroe, virtù come il coraggio, l’onestà, la lealtà, l’umanità e la cortesia, il rispetto per gli anziani, lo spirito di iniziativa, il dominio sulle proprie passioni e pulsioni, il freno alla curiosità, il ripudio di villania e avidità, così come di inerzia e pusillanimità, è esaltazione dell’intelligenza e dell’ingegno

Sul piano più strettamente emotivo-affettivo, lenisce le frustrazioni e alimenta la speranza, lasciando intravvedere un mondo migliore.

Per tutte queste ragioni, l’Ottocento e poi il nostro secolo ha valorizzato queste narrazioni, in chiave educativa.

La fiaba assolve infine per la personalità infantile a una preziosa funzione catartica, compensatoria e simbolico-conoscitiva, ampiamente illustrata dagli studiosi di indirizzo psicoanalitico, aiutando il bambino a scaricare ansietà e aggressività e a liquidare tensioni e paure, anche attraverso la realizzazione di opportune attività in un momento immediatamente successivo all’ascolto, quali il colloquio con l’adulto, le spontanee raffigurazioni grafiche e pittoriche, la drammatizzazione, la discussione in comune nell’ambito della classe o della sezione, ecc. Né va trascurato che le fiabe, e specialmente i racconti a carattere drammatico-conflittuale, possono assolvere ad una funzione proiettiva, fungendo da test rivelatore di situazioni affettive.

 

La critica al meraviglioso fiabesco

Tuttavia, il meraviglioso fiabesco non è stato indenne da critiche e riserve, da parte di acerbi detrattori. Una delle più antiche obiezioni investe le esasperazioni fantastiche di cui la fiaba è intessuta e che sono sempre state viste con sospetto dai razionalisti di tutti i tempi, da Platone ai nostri giorni. Tra essi la Montessori, ostile alla fantasia (la “matta di casa”) e in particolare alla narrativa che si caratterizza come leggenda, con la motivazione che allontana i bambini dalla realtà, favorendo la fuga nevrotica nel sogno, mentre compito dell’educazione – sostiene – è esattamente l’opposto, vale a dire preparare il bambino a vivere nel suo mondo.

Analoga critica muovevano il Dewey e altri esponenti della corrente strumentalistica.

In merito, possiamo osservare che la fiaba accende onestamente col bambino quel patto finzionale di qui parla Eco, producendo una sorta di “sospensione dell’incredulità”, per cui il piccolo è perfettamente consapevole che la zucca non può trasformarsi in carrozza e che la nonna e Cappuccetto Rosso non possono venire divorate in un sol boccone e poi estratte intere dalla pancia del lupo, ma finge di crederlo, quasi ammiccando, con complice intesa. Più problematico il discorso a proposito della leggenda, che a ragione del suo carattere di verosimiglianza, può indurre a una confusione tra piano della fantasia e quello della realtà. In ogni caso, un’equilibrata mistura di racconti fantastici e di storie realistiche nella vita del bambino scongiurerà il pericolo di un possibile effetto disadattante alla realtà. Tanto più se, nelle proposte narrative, si adotterà un criterio di individualizzazione, in rapporto alle caratteristiche di personalità del bambino e della sua appartenenza a questo o a quel tipo psicologico. Secondo questo criterio, al bambino introvertito, carenziato socialmente (oggi, per un insieme di fattori,più raro di un tempo), si proporranno prevalentemente racconti realistici, in funzione riequilibratrice della sua tendenza a sognare a occhi aperti; viceversa, al soggetto estravertito, tutto rivolto all’esplorazione del modo circostante, precocemente aderente ai fatti della vita quotidiana, si addirrà una prevalenza di racconti fantastici, che lo trasportino in un mondo meno prosaico di fantasia e di sogno.

Altra critica investe le molte situazioni non eticamente accettabili di cui la fiaba è intessuta: genitori snaturati che abbandonano i figli nel bosco (come in Pollicino e in Hansel e Gretel); il buon soldato de L’acciarino magico di Andersen, che non si fa scrupolo di uccidere senza motivo la vecchia strega, solo perché  “ributtante”; Pollicino che causa la strage delle orchessine, mal ricambiando la generosità dell’orchessa che lo ha protetto e salvato. Il disturbante motivo dell’ingratitudine ritorna ne Il Gatto con gli stivali, che dopo aver indotto con l’astuzia l’orco che lo ha cortesemente accolto nel suo castello, non esita a divorarlo. Il medesimo personaggio fiabesco raggiunge i suoi scopi mentendo sfrontatamente; il suo padrone, il sedicente marchese di Carabas, si arricchisce senza merito alcuno. E l’elenco potrebbe proseguire. Il problema si fa delicato quando le azioni eticamente riprovevoli sono compiute dal personaggio positivo della vicenda, solitamente il protagonista-eroe, oggetto di ammirazione da parte del bambino che per il noto meccanismo simpatia-approvazione tende ad giustificarne incondizionatamente l’agire. Un tempestivo colloquio con l’adulto aiuterà il piccolo a meglio definire i concetti di bene e di male e di giusto e di ingiusto e a discriminare tra azioni buone e cattive, a prescindere da chi le compie.

Inoltre la fiaba riflette la mentalità e i pregiudizi della società o della cultura che l’ha espressa. Alcune fiabe grimmiane sono impregnate di virulento antisemitismo, a cominciare da L’ebreo nello spineto. Altre presentano il colore nero come spregiativo e inferiorizzante. Emblematica la fiaba grimmiana La sposa bianca e quella nera, in cui Dio, adirato con la matrigna e la sorellastra per la loro villanìa, “le maledì, che diventassero nere come il carbone”. Altre fiabe ancora associano la minorazione fisica a colpe del soggetto o dei suoi genitori o ascendenti, quasi si trattasse di una sorta di nemesi divina. Ricorrenti poi i motivi misogini, dall’irrefrenabile curiosità delle mogli di Barbablù al motivo della donna cupida e insaziabile, come nella fiaba Il pesciolino d’oro di Afanasjev (ma ne esistono molte altre varianti). Il motivo della donna insopportabile, persecutrice di mariti sottomessi e condiscendenti, compare in svariate fiabe di altre culture; analogamente quello della donna fedifraga e traditrice, presente in molte fiabe, specialmente orientali.

Anche in questi casi, un tempestivo colloquio tra l’adulto e il bambino eviterà l’instaurarsi di posizioni di pregiudizio. Anzi, il genitore come l’insegnante potrà prendere spunto da questi motivi narrativi per costruire una coscienza autenticamente democratica, scevra da chiusure e pregiudizi.

I molti motivi terrifici di cui la fiaba è intessuta hanno sollevato soprattutto in passato preoccupazioni sotto il profilo dell’igiene mentale del bambino. Si teme che possano essere causa o concausa di paure protratte, se non anche di incubi notturni, e di stati d’ansia non risolti, travalicando i canoni di una corretta disciplina delle emozioni. In materia, va osservato che probabilmente i possibili effetti negativi della fiaba sotto il profilo dello sviluppo emotivo sono da porre in relazione col substrato psicologico del soggetto, col suo vissuto, con la sua situazione personale e familiare, più che con la sua più o meno accentuata labilità emotiva. Certamente va tenuta presente l’imprevedibilità degli effetti dei contenuti narrativi sulla psiche individuale. Un bambino può assistere disinvoltamente a decine di omicidi che si alternano sul piccolo schermo, e rimanere sconvolto dall’abbandono di Pollicino nel bosco o dall’apparizione sulla scena narrativa della strega, specie se iconograficamente rappresentata, proprio per il significato simbolico che la fiaba, i suoi personaggi, le sue situazioni rivestono, considerata anche l’età, emotivamente fragile, in cui solitamente il bambino fruisce di queste narrazioni. Comunque, come già notava Gianni Rodari in uno storico articolo, dal titolo Pollicino è utile ancora, apparso nel 1968 su l giornale dei genitori”, il bambino ha bisogno del rassicurante schermo dell’adulto. Se è la mamma a raccontare, il piccolo non risentirà dell’impatto di certe crudezze narrative o di talune situazioni affettivamente deprivanti, tranne che in sporadici e forse patologici casi. Donde, ancora una volta, l’opportunità che la fiaba venga fruita con la mediazione dell’adulto, e quindi attraverso il racconto orale “faccia a faccia” o la lettura del genitore, dell’insegnante o di un fratello maggiore. O anche in un contesto un ascolto collettivo, ad es. in una sezione di scuola dell’infanzia, che consente una “socializzazione” e condivisione delle emozioni. Il narratore, tra l’altro, nel caso di racconto letto o esposto oralmente, ha, per così dire, il timone del linguaggio e quindi, osservando i piccoli ascoltatori e le loro reazioni emotive, ha la possibilità di accentuare o attenuare, in empatia, il tono ansiogeno della vicenda. D’altra parte  allorché il bambino è in grado di leggere autonomamente la fiaba, la sua emotività è relativamente consolidata ed è già ampiamente transitata attraverso le molte esperienze visive del piccolo schermo. Nell’insieme quindi le preoccupazioni per un possibile impatto della fiaba sulla sfera emotivo-affettiva del bambino vanno ridimensionate, anche se va tenuta presente la maggiore impressività dell’illustrazione rispetto al testo verbale.

Il motivo della conflittualità tra il bambino e altre figure della costellazione familiare, specialmente i fratelli, è un’altra costante o topos della fiaba, non soltanto europea o occidentale. La scarsa considerazione, se non l’aperta discriminazione, di cui l’ultimo nato è spesso oggetto nella finzione fiabesca, può insidiare il bisogno infantile di significazione e di sicurezza ed esporre il bambino a sentimenti di reiezione e di abbandono parentale, specie quando la sua situazione psicologica e familiare non sia delle più felici, o in presenza di famiglie allargate, con la forzata convivenza con coetanei frutto di precedenti relazioni o matrimoni, con i quali i rapporti possono anche non essere idilliaci. Purtroppo sono frequenti i casi di figli del divorzio e comunque di bambini che soffrono per la separazione, fisica o anche soltanto emotiva, dei genitori o che vivono rapporti non sereni né armonici con i fratelli. Andrà quindi valutata di volta in volta, con prudente discernimento, l’opportunità di sottoporre al bambino narrazioni che contengano i motivi segnalati.

In questo ordine di considerazioni si inserisce il motivo della presenza narrativo-fiabesca della figura della matrigna, carica di significati simbolici. Personaggio negativo, incarnazione demoniaca del male, dietro il quale è adombrabile la cattiva madre, oggetto di conflitti edipici, ma anche l’inconscia rivalità che spesso si accende tra madre e figlia quando questa raggiunge la maturità sessuale (emblematica in tal senso la fiaba Biancaneve, con la folle gelosia della regina per la protagonista). Questa figura non è espungibile dalla trama narrativa, se non a prezzo di stravolgere la stessa intelaiatura della fiaba, e d’altra parte su di essa si fondano alcune delle fiabe più belle.

Molte altre considerazioni si potrebbero sviluppare, ma sono precluse da esigenze di sintesi. Non resta che concludere con una osservazione. La fiaba rappresenta ancora oggi, pur nell’età dell’informatica, un momento essenziale per il processo di crescita e di maturazione del bambino. Non cessa di affascinare un’infanzia video e computer-dipendente, allettata e distratta da una miriade di opportunità di ricreazione e di svago. Al genitore come all’insegnante si impone una raccomandazione, che è anche un principio metodologico e operativo: il bambino non va lasciato solo con la fiaba, come non va abbandonato dinanzi alla TV. Il racconto orale faccia a faccia e la lettura dell’adulto (“per procura”, quando il bambino non è ancora capace di lettura autonoma) da parte di una figura significativa, più che la lettura individuale silenziosa, forniscono garanzia che il piccolo possa beneficiare delle illimitate potenzialità formativo-ricreative della fiaba, comprendendo nel novero anche quelle di altre etnie e culture. Senza risentire, grazie allo schermo protettivo e alla funzione pedagogico-didattica esercitabile dall’adulto, di alcuni possibili effetti negativi operabili da taluni contenuti fiabeschi, specialmente in riferimento alle fiabe a carattere drammatico-conflittuale. Ferma restando l’opportunità che le trame narrative che si narrano o si danno in lettura al bambino siano oculatamente trascelte in rapporto alla maturità complessiva, al vissuto e al profilo di personalità di ciascun destinatario, in un’ottica di individualizzazione.

Infine, un auspicio: che la fiaba, così come ci è stata consegnata dalla tradizione orale, possa continuare a intrattenere fascinosamente, per molto tempo ancora, i nostri bambini, compresi i disabili, continuando a raccontare destini, a parlare al loro inconscio e schiudere all’infanzia del nostro tempo mondi di fantasia e di sogno. Sotto questo profilo, la mai venuta meno pubblicazione di fiabe europee, cui da alcuni decenni si è aggiunta un’intensa traduzione di fiabe di altre etnie e culture, europee ed extraeuropee, molte delle quali raccolte dai missionari dalla viva voce delle popolazioni indigene, forniscono ampie garanzie e rassicurazioni.

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