Sabbia danese

di Alberto Dati

 

Nel 1859 Hans Christian Andersen scrisse una lunga fiaba, En Historie fra Klitterne, “Una Storia dalle Dune”. Si trattava del resoconto fiabesco della sfortunata vita del giovane Jürgen, approdato a causa di un naufragio ancora bambino sulle coste dello Jutland, dove è ambientata l’intera azione dei personaggi. Ai nostri giorni, l’aeroporto di Billund nello Jutland meridionale garantisce le comunicazioni con il resto d’Europa. Ma all’epoca dei fatti le cose erano ben diverse: lo Jylland era una regione povera, esposta alle intemperie e alle forze devastanti della natura e ben lontana dal progresso industriale. Il mare è una presenza costante nel testo: esso rappresenta un’opportunità di fuga (“L’Oceano è la strada maestra tra le nazioni”, ammonisce l’Autore nelle prime pagine) o una delle principali fonti di approvvigionamento di cibo; grazie ad esso si intrecciano i destini degli uomini, ma il mare è anche un nemico dalla forza insuperabile, che semina morte tra i naviganti. Ancora oggi, nelle chiese danesi, numerosi ex-voto a forma di nave pendono dalle volte sulle teste dei fedeli; il naufragio è un evento frequente e per così dire abituale sulle coste del nord della Danimarca, a tal punto che gli antichi pescatori chiamavano il mare “la foresta occidentale”, tale era la quantità di legname che riuscivano a recuperare dai relitti che arrivavano sulle coste. Ma la sabbia è la vera protagonista, non solo della fiaba ma anche dello Jutland, questa penisola incerta e ventosa che si allunga tra il Mare del Nord e il Baltico. I due mari si incontrano, senza mescolarsi, sulle spiagge del comune di Skagen, all’apice di una penisola tutta fatta di enormi dune di sabbia, che è anche il luogo dove si conclude tragicamente la vicenda di Jürgen. Sempre a Skagen, negli anni in cui Andersen scriveva la sua opera, si sviluppava una scuola di pittura di artisti danesi fuggiti dalla metropoli e rifugiatisi tutti su queste spiagge, per dipingere esclusivamente paesaggi marini cupi e ritratti di personaggi locali dai nasi arrossati dal sole.

Per essere precisi, la storia di Andersen si chiude a Tilsandede Kirke (letteralmente, chiesa insabbiata): si tratta di una chiesa dedicata a San Lorenzo, costruita nel XIV secolo e progressivamente invasa dalla sabbia, fino a quando nel 1795 si decise di abbandonarla. Oggi non rimane che l’antico campanile bianchissimo, molto visitato dai turisti perché dalla sua sommità si gode un’ottima vista sulle vaste dune sabbiose coperte di rada vegetazione.

È questo campanile che Clara, l’eroina della fiaba anderseniana, vede dal ponte della nave poco prima del naufragio: a pochi chilometri sorge il nero faro di Skagen, e nella mente di Clara i due edifici si trasformano in un cigno e un airone che si fronteggiano sulle dune. Il viaggio della ragazza come detto si muterà in tragedia, Jürgen non riuscirà a salvarla dall’annegamento e in seguito a ciò perderà completamente la ragione: morirà solo e pazzo proprio ai piedi della Chiesa di San Lorenzo, circondato da una processione di anime di defunti emerse dalle tombe per chiamarlo tra loro. La mano di Dio porrà fine alle sofferenze del ragazzo facendo crollare sul suo capo durante una tempesta una quantità tale di detriti che nessuno saprà mai che proprio quel campanile sotto il quale giace è la più grande lapide che uomo abbia mai avuto.

Non credo che i turisti distratti che si affannano oggi sulle antiche scale in legno della torre per scattare una foto ricordo sappiano che nella fantasia di Andersen quel campanile si era tramutato nella lapide del suo tragico eroe, che Dio in persona aveva fatto crollare l’intera chiesa per offrire a Jürgen una sepoltura degna del suo dolore. O forse sì: io sulla sua sommità ho incontrato solo una attempata tedesca scarmigliata, che sembrava aver bisogno di aiuto per scendere. Le ho offerto il mio soccorso, ma la signora non parlava inglese e con un cenno di diniego ha continuato a bofonchiare affannata nella sua lingua, aggrappandosi disperatamente con entrambe le mani alla corda che aiutava il visitatore a salire e scendere nell’angusto campanile. L’ho incontrata dopo, ai piedi dell’edificio e poi allo shop nei pressi dei bagni pubblici: il suo vestito rosa spiccava per contrasto sulla distesa gialla di sabbia, e così compare in molte mie fotografie del luogo.

Il fatto è che la sabbia nella storia dello Jutland ha avuto un ruolo fondamentale. Abbiamo visitato nel 2022 un luogo unico, Lindholm Høje, in provincia di Aalborg. Si tratta di un grande cimitero vichingo che sorgeva nei pressi di un villaggio: entrambi furono completamente ricoperti dalla sabbia che arrivava dalla costa occidentale a causa dei disboscamenti del VI-XI secolo dopo Cristo, e grazie a ciò sono arrivati fino a noi: una Pompei vichinga, verrebbe da dire. In tutta Europa in quei secoli si assiste ai primi disboscamenti massicci, che cambieranno per sempre il volto del Continente: il legname serviva per riscaldare, per costruire navi, case e mezzi di locomozione: le prime campagne di rimboschimento risalgono già all’epoca merovingia, quando per la prima volta in Europa si sentì il bisogno di nuovo materiale da taglio, che cominciava a scarseggiare. E così, la collina di Lindholm, il villaggio vichingo e l’antico cimitero vennero completamente ricoperti probabilmente poco dopo l’anno 1000. Otto secoli più tardi qualcuno cominciò a scavare la collina basandosi sui racconti dei contadini locali. Quindi, a partire dal 1952, furono condotte campagne di scavi che riportarono alla luce un cimitero con circa 700 sepolture a forma di nave, dove si inumavano i corpi o si cremavano all’interno dei circoli di pietre. L’area era enorme, la scoperta sensazionale: si trovò persino il calco di un campo coltivato attraversato dalle impronte di un contadino probabilmente sorpreso da una tempesta di sabbia e fuggito precipitosamente abbandonando il suo carro in mezzo al seminato, quasi dieci secoli prima.

Studi recenti hanno dimostrato che in più occasioni, tra il 1050 e il 1200, e poi dal 1550 sino alla metà dell’Ottocento, i cicloni estivi che passano vicino alle coste dello Jutland sono riusciti a penetrare sempre più all’interno della regione a causa della continua rimozione della vegetazione. Questi venti portarono con sé le sabbie eoliche, che da allora diventarono caratteristiche dell’intera area. L’essere umano ha cominciato a modificare la natura molto prima dell’avvento dell’ultima Rivoluzione Industriale, e lo Jutland alto-medievale ne è un esempio. Camminiamo tra le imponenti sepolture vichinghe e le rare tracce del villaggio con un certo stupore, sotto una leggera pioggia tipicamente danese: c’è pochissima gente, giusto una famigliola di educati turisti nordeuropei che fa meno rumore delle numerose pecore che pascolano ignare tra le tombe degli antichi padroni vichinghi, ricoprendole del loro sterco. Mille anni fa questa comunità fu scacciata dalla collina dove viveva, dove forse allevava qualche ovino e dove noi oggi camminiamo di nuovo: le enormi dune qui hanno inghiottito tutto, le case dei vivi e quelle dei morti.

Nel comune di Hjørring, sulla costa ovest affacciata sul Mare del Nord, il faro di Rubjerg Knude ha avuto una sorte simile. Acceso per la prima volta nel 1900, fu dismesso 68 anni dopo per il movimento dell’enorme duna sul quale era stato eretto, e che ne metteva in pericolo la stabilità. I danesi hanno discusso a lungo se demolire o conservare il faro (così come tanti altri edifici storici a rischio), finché nel 2019 si decise di spostarlo di 70 metri, con un’operazione di alta ingegneria facilmente rintracciabile su YouTube. Oggi è lì nella sua nuova sede, tra enormi dune a strapiombo sul mare, e gli ingegneri promettono che rimarrà dov’è per un’altra settantina d’anni, quando si renderà necessario spostarlo di nuovo. Le dune non si fermano mai, nonostante l’attento lavoro di rimboschimento e protezione della flora, che dagli anni ’70 la Danimarca ha messo in opera in tutta la penisola per evitare simili eventi.

Anche i nazisti sono stati tratti in errore dalla sabbia. Attorno alla penisola dello Jutland si è combattuta la terribile e omonima battaglia navale durante la Prima Guerra, e durante la Seconda le coste sono state riempite di fortini, bunker e postazioni di artiglieria dell’esercito tedesco. Il problema è che queste casematte di cemento erano conficcate nella sabbia, e nel corso dei decenni sono crollate sulle spiagge sottostanti le dune: sono oggi dei monumenti lugubri e tristi, all’ombra dei quali i danesi fanno il bagno e si rilassano. I loro ombrelloni colorati e gli asciugamani spazzati dal vento contrastano col cemento grigio di questi edifici come il vestitino rosa della turista tedesca spiccava nella sabbia di Tilsandede Kirke. Alcuni bagnanti sfidano le onde gelide del Mare del Nord, in fondo è agosto: le loro risate giungono fino a riva, a noi che passeggiamo tra i bunker caduti e il bagnasciuga del piccolo paesino di Lønstrup, oggi sede di una moltitudine di atelier di artisti. Qui il cemento armato ha stolidamente resistito, la sabbia invece ha mutato forma e lo ha morbidamente espulso dal suo corpo: anche questo, i nazisti non l’avevano previsto. Una dei tratti più caratteristici dello Jutland è proprio questa eterna mutevolezza, tipica dei litorali e dei deserti. Oggi l’erosione causa la perdita dai due agli undici metri di costa all’anno, cosa che rende problematica la conservazione degli edifici storici in Danimarca. Lo Jutland dei nostri giorni è un enorme esperimento di terraforming, non meno della Frisia o di Dubai, solo più discreto.

È il problema di una nazione che viene rosicchiata di un chilometro ogni secolo. Andersen paragona spesso quest’angolo di Danimarca al deserto proprio per l’estrema mobilità delle dune e per l’aridità della terra: per millenni l’uomo ha combattuto con l’eterno movimento delle dune del quale è in parte responsabile, e come la sabbia anche l’uomo ha imparato a mutare forma, a spostarsi, ad aggrapparsi ai lembi di terra ancora liberi per continuare a vivere. L’unico che non riesce a seguire questo flusso continuo, e al quale il dolore per la perdita di Clara toglie perfino il dono della parola, è proprio il povero Jürgen. La fiaba si conclude con la sua morte silenziosa, con la sabbia e le macerie della chiesa che soffocano il suo dolore e coprono per sempre la sua sepoltura, la sua storia e persino la sua memoria. Rimarrà solo la muta testimonianza del campanile, eterna lapide che sormonta la sua tomba: nessuno saprà più niente di lui, e Andersen afferma in conclusione che è “la tempesta tra le dune” ad avergli cantato questa storia. Con questo vento sferzante, il mare schiumante e la sabbia in eterno movimento che ingoia tutto e cancella i ricordi, l’oscura vicenda si chiude: nel Nordjylland come nella vita, chi non riesce ad adattarsi al flusso incessante degli eventi è destinato ad esserne travolto.

 

 

Per approfondire:

Hans Christian Andersen En Historie fra Klitterne – 1895. Traduzione inglese di Jean Hersholt, A Story from the Sand Dunes, Copenhagen 2020

Jari Hinsch Mikkelsen, Roger Langohr, Richard I.Soilscape and Land-Use Evolution Related to Drift Sand Movements Since the Bronze Age in Eastern Jutland, Denmark – 2007

Karen AnthonsenEvolution of a dune from crescentic to parabolic form in response to shortterm climatic changes: Råbjerg Mile, Skagen Odde, Denmark – 1996

Jan Heinemeier The evolution of Holocene coastal dunefields, Jutland, Denmark: A record of climate change over the past 5000 years – 2009

Nikolaos Karydis Conservation of historic buildings along the eroding coastline of Northern Jutland – Danish Journal of Archaeology – 2014

 

(Foto del prof. Alberto Dati)

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