Cento poesie d’amore di Adonis, Guanda, 2022

di Claudia Zuccarini 

 

Adonis, pseudonimo di ʿAlī Aḥmad Saiʿīd Esbir, è un poeta e saggista siriano, attivo e molto importante nel panorama letterario arabo, che ha creato dei nessi tra le influenze occidentali e la tradizione musulmana.

Sin dallo pseudonimo si evince l’esigenza di rinnovamento poiché la storia di Adonis, figura mitologica greca, allude alla tesi della rinascita. Propositore di una trasformazione in chiave moderna della cultura araba, Adonis si è espresso sul senso della scrittura e della poesia, contestualizzata nella particolare situazione medio-orientale: “Essere un poeta significa che ho già scritto ma che in realtà non ho scritto nulla. La poesia è un atto senza principio né fine. In realtà si tratta di una promessa di un inizio, un eterno inizio (da Preface 1992)”.

Le sue opere sono state trasposte in molte lingue, insignite di numerosi premi internazionali, nonché candidate al Premio Nobel per la letteratura.

Tradotto ed edito in Italia dagli anni Novanta, principalmente per merito della casa editrice Guanda (che presenta in catalogo diverse sue sillogi), l’autore sonda temi che si snodano lungo l’intera produzione, come il dolore dell’esilio e il potere della parola poetica. Il suo è un esilio interiore ma anche oggettivo, dovuto alla censura o all’allontanamento forzato dalla terra d’origine, per giungere in Libia e successivamente in Francia. La ricerca della parola si interseca proprio con il dolore dell’esilio, divenendone anche sostanza. A tal riguardo Adonis precisa: “Scrivo in una lingua che mi esilia”. Ed è una lingua sperimentale, tesa a rompere le catene del formalismo classico, più che a includere riferimenti sociali e politici.

La silloge “Cento poesie d’amore” si inserisce in questa programmatica esplorazione di un lirismo intimo, intenso, che attinge ad immagini mitologiche per dare corpo al sentimento nella sua parabola di ascesa e declino. Rintracciamo delle costanti che permeano la raccolta: lo scorrere del tempo e la percezione della vecchiaia, la passione fatta carne ed edulcorata, la dicotomia luce/tenebre, il male di vivere, la solitudine e il valore della versificazione. Tali nodi vengono rivestiti da una musicalità peculiare, costituita da unità metriche disuguali, brevi, troncate e dal ripetersi frequente di lemmi “conduttori”: polvere, vento, neve, sangue, ferite, apportando uno sfondo pacificamente tempestoso al sofferto percorso dell’amore.

I componimenti, senza titolo e numerati, sembrano legati l’uno all’altro da un flusso di percezioni, ciascuno con un ritmo compiuto. L’emotività trasmessa è vivida, distesa su coltri e letti che metonimicamente assurgono a rifugi, tormenti nostalgici e si trasfigurano in  spettatori di un conflitto privato, insieme al lettore, che con discrezione si affaccia nelle “stanze” di questo legame.

In chiusura una lirica esemplificativa e “pittorica”.

 

Apro la porta – entra aria che visita i dipinti 

appesi,

accarezza i muri. D’improvviso, sbadiglia,

va a spalle basse il nostro amore non era lì. 

I suoi fantasmi hanno portato via tutto ciò che ho

dipinto

sul letto e sui cuscini,

sulla maniglia della porta sulla sua serratura e 

sono scomparsi.

Sto immaginando? ma tutto ciò che è confermato da

una nube – 

una nube ora di passaggio- scomparsa. Non c’è 

aria

né chi dica a quei dipinti 

come narrare le nostre leggende,

come scrivere la storia di queste nubi.

 

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