Passeggiamo insieme fra gli “ISTANTI PURI” nel saggio di Marco I. de Santis sulla poesia di Ada de Judicibus Lisena

di Vito Davoli 

 

In questa monografia il critico e poeta Marco Ignazio de Santis (La poesia degli «Istanti Puri» di Ada de Judicibus Lisena, Solfanelli Editore) ricostruisce il percorso poetico di Ada de Judicibus Lisena dagli esordi di Versi e Fiori di campo (1983) fino al florilegio conclusivo della sua produzione con l’Omaggio a Molfetta (2017), percorso in cui emerge la poetica degli «istanti puri» della contemplazione, sempre accompagnata a una viva partecipazione morale e civile.

 

Un’abitudine culturale un po’ scolastica, un po’ meccanicistica ci porta spesso a fare sintesi di un artista, di un poeta, identificandolo con un aggettivo e cercando di inquadrarlo in uno schema che possa caratterizzarlo e quasi etichettarlo nel tentativo di comprendere meglio i punti salienti della sua poetica. Il poeta romantico, il poeta civile o quello satirico, si dice: tutto un po’ riduttivo e, appunto, un po’ troppo abitudinario. Molto diverso è invece il cammino che ci viene proposto nel nuovo saggio sulla poesia di Ada de Judicibus Lisena, edito da Solfanelli nella collana Micromegas.

 

Intanto ho trovato entusiasmante vedere associati in un unico testo due dei nomi più illustri del panorama culturale molfettese, meridionale e non solo: Marco Ignazio de Santis, critico, saggista, intellettuale e poeta egli stesso, ci accompagna lungo un percorso ricco e profondo attraverso la produzione poetica di Ada de Judicibus Lisena – la voce lirica contemporanea più alta della città di Molfetta e oltre – indicando, sottolineando e mettendo in evidenza gli «Istanti Puri»: una nuova e inedita chiave di lettura assolutamente indispensabile per chi ha amato e seguito l’iter artistico della poetessa molfettese. Una sfumatura che arricchisce consistentemente le già numerose letture che negli anni hanno tentato di affrontare la poetica di Ada dandone di volta in volta interpretazioni, suggerendone significati, tracciando linee di congiunzione.

 

Qui Marco Ignazio de Santis fa qualcosa di diverso e oserei dire sublime: vedi la sua mano che ad ogni passo indica questo o quel significante rimanendo egli stesso un passo indietro e , un po’ virgilianamente, lasciandoti di fronte un panorama di prospettive che associa e ricostruisce in architetture cronologiche, semantiche e contenutistiche tutte tese a dimostrare il tentativo della poetessa di fermare in un’istantanea precisa quei momenti di assoluto che sono l’essenza dell’arte e dell’artista che li osserva, li coglie e li ferma lì: gli «Istanti Puri», appunto. E cos’é l’arte se non proprio questo: isolare momenti di assoluto perché se ne colga il senso più profondo e una volta ottenuto, legarlo, insieme ad altri, in una tessitura che fa della scoperta lirica quell’insieme di valori costituenti la vita stessa, «meditazione sul segreto dell’esistenza, riflessione sul destino delle cose e degli uomini».

 

Pensate al Discobolo per la scultura o alla Chiamata di Matteo del Caravaggio per la pittura, giusto per citare alcune espressioni di forme artistiche diverse ma accomunate dalla più nobile finalità.  La poetessa stessa nella sua lunga produzione non ha mai risparmiato richiami e rimandi ad altre forme artistiche – la pittura così come la musica – utilizzandole esse stesse come significanti in un “gioco metartistico” nel quale ogni forma d’arte compartecipa all’arricchimento della parola poetica e del sentimento che l’ha generata. E l’indicazione del significante non è mai in questo testo rivelazione del significato: il saggista molfettese che pure è regista di questo percorso, discretamente lascia al lettore il piacere della scoperta del significato nella lirica della poetessa. È straordinario il modo in cui gli strumenti conoscitivi, mai lesinati né elemosinati ma, al contrario, generosamente e autorevolmente messi a disposizione del lettore stiano lì, offerti in modo secco ma mai arido, semplice ma mai semplicistico quasi a voler far eco alla poetica stessa di Ada. E questi strumenti sono anche inevitabilmente e correttamente quei dati tecnici, quel continuo “reimpastare” le parole, limarle, smussarle in una costante cronologica su cui Marco Ignazio de Santis mette giustamente l’accento definendolo in modo affascinante «un travaglio formale fatto di carezze».

 

Va detto per onestà intellettuale, che non si tratta affatto di un testo “per tutti”: non è un “libro per famiglie”; non è una lettura da ombrellone in spiaggia; non è un ricettario per casalinghe disperate né tantomeno un vademecum del seduttore. È un percorso impegnativo sin dalla prefazione (Cf. supra) a cui ci si avvicina solo se si vuole davvero farlo. È necessaria quella passione che ci consente di non dare per scontata la luce ma di ammirarla e di stupirci ogni volta che la si prova a fermare e osservare.

 

Quella luce lirica nella poesia di Ada de Judicibus Lisena passa attraverso il cristallo intellettuale di Marco Ignazio de Santis e si offre in tutto il suo più ricco spettro di colori al lettore che può cogliere tanto la bellezza dell’intero arcobaleno quanto ogni singola sfumatura nel passaggio di ciascun colore: ecco come l’identificazione precisa di un momento, di un sentimento diventa l’assoluto “Istante Puro”, fermato – in un processo esattamente contrario a quello a cui siamo abituati quando ci accostiamo meccanicamente alla poesia – in un’istantanea precisa che altro non è che vita e percezione del suo valore assoluto.

 

Della poetica di Ada de Judicibus Lisena si è spesso parlato di misura, di discrezione, di tocco delicato: Marco Ignazio de Santis fa di più e va oltre, da un lato ridefinendo con maggior precisione e maestrìa tratti generici che si prestano un po’ a tutto e dall’altro sviscerando il senso di un atteggiamento di discrezione spesso non proprio affine ad alcune delle più alte e potenti espressioni della lirica di Ada. E così gli «Istanti Puri» diventano la tessitura di una storia che è intima e individuale ma anche “conoscibile” e condivisa; una storia lontana dal prosaico quotidiano e tendente ad “altro” e proprio per questo prepotentemente candidata a farsi essa stessa non certo Storia con la S maiuscola ma dimensione specifica di essa: quella dell’individuo profondamente calato nel suo tempo che, proprio per questo, può di quel tempo svelarne – anche criticamente – sfumature recondite ed inedite fino a domandarsi in che modo rapportarsi ad esse se non persino a dismetterle e allontanarsene. «Questo prendere le distanze dalla realtà prosaica e incolore, questo appartarsi in un microcosmo di vibratile sensibilità, la spinge, mentre il tempo “intorbida le cose”, a proiettarsi fuori della contingenza presente, in un non-tempo extrastorico dove “la ragione è ala bianca, serena”».

 

Un’osservazione personale, se mi è consentito: è chiaro che questo testo esula prepotentemente dai confini geografici e culturali della città di Molfetta. E’ ben altra cosa. Eppure non riesco a non riportare proprio a Molfetta le radici del fascino subìto dalla poesia di Ada da subito. Fu la poesia “Vicoli” a conquistarmi nell’assoluta sorpresa del constatare come fosse sorprendentemente condivisibile, soprattutto sul piano sentimentale, la percezione della mia città durante la mia infanzia. Qualcun altro aveva messo nero su bianco ciò che a me sembrava di conoscere perfettamente e che sentivo di aver perduto o lasciato nei ricordi di un tempo che non mi apparteneva più: qualcuno aveva salvato e in qualche modo reso eterno un sentimento che apparteneva evidentemente non solo a me e bloccandolo in un “Istante Puro” me lo aveva restituito quasi ricostruendomi attorno una dimensione contestuale che andava salvaguardata per me ma ormai non solo per me. Mi innamorai così della poesia di Ada, di quel «nutrito florilegio destinato a quanti l’hanno seguita con attenzione e magari a nuovi impreveduti lettori per un inesausto bisogno di dialogo».
Grazie a Marco Ignazio de Santis.  Grazie ad Ada.

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