Antonio Rizzo: la grande cultura a Taranto. Quarant’anni dopo.

di Aldo Perrone

 

Avevamo tanto operato – Antonio Rizzo ed io -, in una sinergia ormai provata da anni di collaborazione, per far sì che la manifestazione “Omaggio di Taranto a Cesare Brandi” riuscisse al meglio e la città intera si interessasse del grande intellettuale senese. Anche a riflettere sul Brandi che tredici anni prima (1969) aveva contribuito con un magistrale intervento (con Argan e Bassani) a salvare Città vecchia dalle ruspe in una magica serata che consentì al comitato cittadino (condotto proprio da Antonio Rizzo) di ribaltare l’intenzione del Comune: niente ruspe per Taranto vecchia ma il restauro conservativo e sociale indicato dal piano di restauro (Piano Blandino).

La giornata – organizzata dal Gruppo Taranto nel Salone della Provincia – fu un successone: due convegni, mattina e sera, mille persone di pubblico nei due incontri. Gli ospiti, da Brandi a Leone Piccioni, a Maurizio Calvesi a Vittorio Rubiu, relatori nella mattinata, felicissimi. Il coordinatore della manifestazione, che scrive questa nota, orgoglioso e felice. Quando nella serata il convegno si spostò sull’esame dello stato del restauro del nostro centro storico si scoprì nel pubblico tutta la Taranto impegnata su quel fronte. Gli interventi di Brandi e di Calvesi (pubblicati in seguito, con le mie conclusioni), esemplari. La città intera coinvolta in una emozione collettiva. Noi del Gruppo Taranto – ma anche Brandi e gli ospiti – eravamo felici epperò prigionieri di un dolore. Tre giorni prima Rizzo era stato ricoverato in ospedale. Il 24 febbraio 1982 chiuse definitivamente  gli occhi. Non poté vedere una delle più belle pagine tarantine. In un paginone del quotidiano cittadino Giacinto Spagnoletti ed io lo ricordammo. Una definizione sola, per entrambi: è scomparso il maggior intellettuale della nostra città, una figura di altissima qualità che ha onorato la regione, che ha insegnato qualcosa anche all’Italia, come Giustino Fortunato ed un Gaetano Salvemini (che venerava).

Antonio Rizzo (Totò per gli intimi) era stato allievo di Levi-Civita e del Nobel Enrico Fermi ma dovette fare i conti con quei nostri mali  che ancora scontiamo e conosciamo: la sottocultura d’un certo mondo, il provincialismo e la grafomania, la cronica inadeguatezza della nostra “classe politica. Fu una vita difficile e breve (quando scomparve chiunque pensava ad un ottantenne, ma di anni ne aveva circa sessantacinque). Secondogenito di Giuseppe, giornalista, e di Elisabetta Valentini, insegnante elementare, era nato (3 aprile 1917) quando l’Isola, cioè Città vecchia, era “la” città. Dove apprese, con il latte materno, l’inchiostro di stampa, perché al centro c’era “il giornale di famiglia”, il settimanale la Voce del Popolo. Alunno vivacissimo del liceo classico Archita, e tuttavia in assoluto primo del suo corso. Fisica e matematica, le sue passioni, con la letteratura e la poesia  coltivata sui poeti contemporanei, gli Ungaretti, i Saba, i Palazzeschi, i Quasimodo, i Montale.

È giunta la guerra. Il padre gli ordina di andarci da volontario. Ammesso a Livorno diventa guardiamarina, s’imbarca sui sommergibili. In pieno inverno il  Uarsciek (costruito a Taranto dai Cantieri Tosi) è speronato dall’incrociatore inglese Petard. Una carneficina. Il giovane guardiamarina è raccolto nudo in mare (dagli inglesi che pensavano fosse uno di loro perché nell’urto qualche marinaio inglese era caduto in mare). Dato per morto e prigioniero in Palestina, da dove tornerà dopo più di due anni, liberato e direttamente a Taranto.

La pace, il dopoguerra, la ricostruzione. La Voce del Popolo, già perseguitata dal fascismo ora lo è dai nuovi vincitori. Il fratello Dino – che dirigeva la “Voce”; di dieci anni maggiore di Antonio – viene denunziato e ingiustamente inviato al confino. Non c’era altro da fare per salvare il “loro” giornale, doveva restare a Taranto. Qui erano i sentimenti, c’era il suo grande amore. Per il giornale – e per Taranto – nasce una grande stagione. Attorno alla Voce del Popolo, nell’entusiasmo del primo dopoguerra, ecco sorgere un’associazione culturale, con ambiziosi intenti, il “Circolo di Cultura”. Con il determinante apporto di Antonio Rizzo si realizzerà la straordinaria avventura che fu il Premio Taranto, che in quattro anni contribuì al rinnovamento della pittura e della letteratura contemporanea italiana.

Nel 2001 la Mostra della Civica galleria d’arte di Gallarate (“Il 1950. Premi ed esposizioni nell’Italia del dopoguerra”), confermò il ruolo del Premio Taranto, pari a quello della Biennale di Venezia e della Quadriennale Romana di quegli anni. Ma lo affermavano già ai tempi tutti i maggiori quotidiani italiani dell’epoca, con giornalisti che si chiamavano Attilio Bertolucci, Marise Ferro, Giorgio Zampa, Fabrizio Dentice, Silvio Branzi. “La Biennale del Sud”, ebbe profluvie di servizi speciali, note ed articoli, filmati della celebre “Settimana Incom” (era la TV di allora, il cinegiornale).

L’alto livello della mostra, visitata da ottantamila persone, premiò Fausto Pirandello, Gino Meloni, Renato Birolli, Bruno Cassinari, Virgilio Guidi, Giulio Turcato (per la pittura). Raffaello Brignetti, Carlo Emilio Gadda, Pier Paolo Pasolini, Giorgio Caproni, Vittorio Sereni, Gaetano Arcangeli (ed altri) furono gli straordinari vincitori del Premio della letteratura di mare. Oltre duecento presenze contemporaneamente a Taranto, della grande cultura degli Ungaretti, Palazzeschi, Manzini, Bo, Savinio, Casorati (presidente della sezione pittura), Apollonio, ecc., durante i giorni del Premio.

La fermata del “Taranto” (per l’indecente mano de “la politica”) non fu una resa. Rizzo organizzerà per il Comune di Taranto (1955-’56), il maggior concorso di scultura mai fatto in Italia. Si voleva ricordare il musicista Giovanni Paisiello, tarantino di nascita. 110 grandi scultori; una giuria di qualità (Gardella, Brandi, Carrieri, Guzzi, Valsecchi, Fazzini, Zevi). Vincerà Nino Franchina con una gigantesca spirale in anticorodal – un capolavoro, dirà Lionello Venturi -; ma la vittoria è stroncata dai nemici dell’astrattismo che dalla Roma comunista gridarono allo scandalo contro l’arte… degenerata (l’astrattismo). Dopo essere stata assegnata dal sindaco, presidente del Premio, la vittoria verrà annullata dallo stesso sindaco la mattina seguente (telefonata notturna del min cul pop). Scandalo internazionale, denunzie, avvocati, magistrati. Della catastrofe tarantina parlò da Parigi Les Nouvelles Littéraires, sottolineando la grandezza di Rizzo. Il quotidiano locale invece era tsunami contro di lui. Ma le attività del Nostro (e del Circolo di Cultura) non si fermarono, anzi ripresero con rinnovato vigore negli anni Sessanta: una stupefacente mostra paisielliana (venne Giorgio Vigolo), il Ciclo di Conferenze sulla cultura moderna – durò alcuni anni, toccando varie discipline -, con Arrigo Benedetti, Pietro Bianchi, Carlo Bo, Cesare Brandi, Gillo Dorfles, Umberto Eco (che era quasi agli esordi), Guglielmo Righini, Edoardo Sanguineti, Marco Valsecchi, Bruno Zevi.

Ripropose quindi in veste moderna Tommaso Niccolò d’Aquino e le sue “Deliciae Tarantinae” (Ettore Paratore, il massimo latinista italiano). Creò  l’operazione del “Martina Franca” di Cesare Brandi, il più bel libro su una città del Sud – amato da Buzzati e da Argan -, due anni fa riproposto con il carteggio da La Nave di Teseo, con un saggio del sottoscritto e la prefazione di Vittorio Sgarbi (“il Martina Franca è un libro di vera poesia”); il ritorno nella sua patria di Leonida di Taranto, il poeta degli umili e della morte, con le traduzioni ed il saggio del Premio Nobel Salvatore Quasimodo (e l’Italia che parlò della folla fin sulle scale, per ascoltarlo). La “invenzione” del Museo Majorano, portando qui il lavoro splendido di Alberto Cirese (1971). La salvaguardia di Taranto vecchia, della quale abbiamo già detto; i barbari volevano (1969) farne la Manhattan del Sud! Le nuove generazioni, me compreso, e tutta la cultura italiana, lo seguirono fedelmente. Si aggiungano le tante battaglie ecologiche e di difesa ambientale, in anni ardui per queste cose. Con comitati, gruppi civici, associazioni varie da lui conquistate all’idea; e poi con Italia Nostra (per alcuni anni ne fu presidente), per salvare il fiume Galeso, e poi Santa Maria della Giustizia (ridotta a garage con galline), e quel che si poteva delle coste e dei boschi, e il fiume Tara, e l’integrità del territorio da quelle follie che volevano  l’ampliamento industriale unendo con una colmata la terraferma all’isola di San Pietro (!). Poi le cripte di Mottola salvate (con un sit in), e l’hinterland di Castellaneta, e le gravine; e i polmoni dei tarantini cacciando la mortifera megacentrale termoelettrica ad olio non desolforato; quindi la mega centrale carboelettrica poi “conquistata” da Brindisi, e infine la nucleare, regalo ad Avetrana. Lotte condotte fino al 1982 e leggibili oggi nei suoi ricordi, specie nel libro “Tastiere Tarantine” (edito nel 1992 dal Gruppo Taranto, nel quale operò), o in alcuni suoi scritti successivi, ancora inediti (1978-1981).

Cosa gli dava la forza? La sua autentica venerazione verso la civiltà, verso il dovere dell’uomo che va onorato a tutti i costi. Resta il mistero di come gli riuscisse con quel suo stile dolce e fermo, irrevocabilmente elegante, come ricordò il suo grande amico Gillo Dorfles, proprio a Taranto. Un campione di superiore civiltà e modernità, era questo Antonio Rizzo, che fece tutte queste cose senza tornaconto alcuno e senza chiedere mai per sé una lira, né il vitto nel Pritaneo. Di questa personalità, fra i maggiori intellettuali della nostra regione (ammirato dai suoi grandi amici che ho citato) c’è tanto da scoprire, da raccogliere, da raccontare. Un impegno ambizioso, anche per le giovani generazioni.

 

(in foto da sx: Salvatore Quasimodo e Antonio Rizzo al Museo M.AR.TA)

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