Il pensiero sognante. La poesia di Ada de Judicibus Lisena di Marina Caracciolo, Bastogi, 2022

di Vito Davoli

 

È un testo particolarmente sentito e partecipato quello che Marina Caracciolo affida ai tipi di Bastogi col titolo Il Pensiero Sognante. La poesia di Ada de Judicibus Lisena, appena edito. Un ulteriore, profondo contributo analitico e critico che si aggiunge alla già ragguardevole produzione critica a proposito dell’opera della poetessa molfettese che passa attraverso gli importanti contributi monografici di Vincenzo La Forgia e di Marco Ignazio de Santis, senza trascurare un percorso che negli anni ha visto cimentarsi nella lettura della de Judicibus nomi quali Giorgio Barberi Squarotti, Mario Dentone, Domenico Cara, Daniele Giancane, Elena Bono, Vincenzo Cardarelli, Vittoriano Esposito, Anna Santoliquido, Giovanni de Gennaro e altri, tutti inseriti in un opportuno indice dei nomi che offre la possibilità di affrontare percorsi critici secondo prospettive diverse e variegate.

Particolarmente presenti nel testo i sentieri aperti negli anni da Marco I. de Santis e Gianni Antonio Palumbo nel solco dei quali la Caracciolo intraprende il suo cammino critico arricchendolo questa volta con nuovi spunti di riflessione a proposito anche dell’ultima parte della produzione lirica di Ada de Judicibus, quella milanese, fin qui rimasta per lo più inedita come corpus unico se si eccettua qualche singola pubblicazione sulla prestigiosa rivista letteraria barese La Vallisa e sul magazine L’Altra Molfetta e su Interzona News.

È la stessa autrice a spiegare il perché di quel titolo: «Il pensiero sognante è nel suo poetare una proiezione soggettiva e pittorica della realtà, una rifrazione prismatica colma di fantasia, di sentimento e anche di inquietudine, di ciò che di volta in volta ella osserva, considera o ricorda con vivo coinvolgimento». Lo stesso coinvolgimento che ci pare di notare nella prosa di Marina Caracciolo rispetto alla produzione lirica analizzata: che è prosa ricca e rigorosa da un punto di vista scientifico e che non rinuncia al gusto di un andamento quasi narrativo nel quale l’autrice “tradisce” qua e là il piacere di entrare in quei versi e di abbandonarsi «al planare da misteriose alture con la levità di una piuma» accompagnandosi in toto allo stesso percorso suggerito dalla poetica analizzata.

Ed è una sorta di “effetto speciale” particolarmente affascinante per un testo critico, che stabilisce una particolare sintonia, evidente ed efficace, fra la studiosa e la poetessa a tutto vantaggio di una fruizione a cui è ancora concesso qualche margine polisemico che non esaurisce né pretende di esaurire tutto in un unico discorso critico che, diversamente, risulterebbe quasi invasivo ed è invece, per questo, meditato e profondo.

Così come delicato e rispettoso è l’approccio di questo testo alla lirica di Ada, quasi a voler riflettere quella «costante discrezione, quella vellutata dolcezza, quasi un pudico timore» per lasciarle intatte e inalterate a tutto beneficio di una lettura che ben si preoccupa di mantenere intatta la verità dei versi analizzati senza mai piegarli a quelle forzature talvolta cervellotiche, talaltra edonistiche e altre ancora perfino narcisistiche in cui spesso inciampa tanta parte della critica letteraria contemporanea.

Nel lungo percorso sapientemente orchestrato dalla Caracciolo, la studiosa viaggia insieme alla poetessa attraverso le sue sillogi monografiche partendo da La Cortina dei Cedri fino ad arrivare a Omaggio a Molfetta, «il dono più bello che potesse fare alla sua citta doleceamara», come scrisse Giovanni de Gennaro nella presentazione alla prima edizione del 2002, e procede evidenziando puntualmente i tratti distintivi che lei identifica come caratterizzanti la poetica di Ada de Judicibus: dallo sguardo lungo a Saffo, a Livia, ai mosaici pompeiani e più in generale dall’amore per la cultura classica alla policromia “pittorica” che sembra «uscire dai dipinti fiabeschi del Beato Angelico o dalle fantasie surreali di Chagall» (p.15); dalla natura protagonista metatemporale nel suo stesso trascorrere di stagioni, ai ricordi d’infanzia, memorie riflesse in uno specchio che fa del tempo il suo stesso gioco a fermarlo.

E il mare «che insorge – come splendidamente commenta la Caracciolo – dalla grandeur della poesia epica […] con le sue iridescenze gloriose»; e la casa, un fondamento poetico nella produzione di Ada – se si considera che è proprio lì è ubicata la cortina dei cedri – che «regna sopra tutto, un nido che è deposito di private memorie, vedette da cui affacciarsi per sognare».

Prosegue così la studiosa attraverso le successive raccolte Note ai margini di una pena e Quasi un diario evidenziandone i tratti distintivi rispetto alla precedente Cortina: il più intenso e delicato tono intimistico che affida all’andamento diaristico la “cronaca” emotiva e sentimentale di un’ansia umana e poetica tanto solitaria quanto nel rapporto con gli affetti più prossimi dove però restano ben saldi e, anzi, si delineano con maggiore profondità i pilastri della poetica di Ada: il verso leggero e discreto che non urla mai, la natura e la casa, lo scorrere delle stagioni accanto a un elemento nuovo che la Caracciolo sottolinea presentarsi per la prima volta in Quasi un diario; «un elemento quasi estraneo alla poesia di Ada: il sorriso divertito dell’ironia» che agisce su se stessa ma ci piace sottolineare, insieme alla studiosa, come sia «rivolto anche ai poeti sognatori i quali, persi magari nelle loro pur belle fantasticherie, finiscono per ignorare le cose concrete del mondo circostante».

L’architettura critica messa su dalla Caracciolo non trascura mai il puntuale riferimento ai versi stessi della poetessa: lo studio è ricco di citazioni non solo di singoli versi o gruppi di essi ma spesso di intere poesie (l’ultima parte dei Versi da Milano riporta solo poesie complete qui edite per la prima volta in un unico corpus) a riprova puntuale delle riflessioni sviluppate nel testo e tese ad evidenziare ciò che Giorgio Barberi Squarotti scriveva a proposito del potere trasfigurante della poesia di Ada: «[…] passare dal ritratto di un personaggio, da una situazione anche comune, da un ricordo […] alla meditazione, alla visione, alla rivelazione del senso della vita».

Così il cammino intrapreso dalla poetessa (e a fianco a lei – perché lì ci sembra si ponga – anche la studiosa) approda ad una fase nuova e diversa di un iter umano che non può tralasciare, nella sua propensione al ricco cromatismo, neppure le tinte meno splendide e calde che cominciano a espandersi prima con Il dolore, il sorriso, un’ambivalenza quasi ossimorica che non può trascurare i proverbiali “due lati della medaglia” dell’esistenza umana, poi con La pioggia imminente ad esordio della cui lettura sapientemente la Caracciolo pone lo sguardo di M. I. de Santis secondo il quale «Nel variegato colorismo delle prime raccolte si sono ormai insinuate le tonalità spente del grigio»; un inedito panorama nel quale la nuova luce non fa che arricchire i temi forti e onnipresenti della poesia di Ada, a partire dall’amore per i classici, resi qui veicoli sempre più ricchi e raffinati, appropriati ad una riflessione che va facendosi matura e compiuta.

Con gli aerei pensieri tipici di Segno d’aria probabilmente si apre quella stagione che porterà dritto ai Versi da Milano. Sottolinea Marina Caracciolo che «la prima delle tre parti di questa silloge [..] è quasi del tutto immersa, anzi, per così dire intrisa di aerei pensieri, di una segreta fiammante necessità» che ci pare essere l’embrione che nell’ultima fase della produzione milanese si espliciterà come inno ascensionale, come sospiro di verticalità e che, in verità, aveva già cosparso l’intero percorso affrontato dalla studiosa di semi e germi di ansia di spazio.

Si arriva così alla più recente stagione della produzione milanese, ancora una volta caratterizzata da una novità soprattutto sul piano stilistico, dove l’andamento dialogico e una più caratterizzata presenza di un ‘tu’ non necessariamente destinatario, si fanno veicoli di una «capacità, direi quasi istintiva, di trasfigurazione del reale» (p.69).

Non indugeremo sui Versi da Milano dei quali abbiamo abbondantemente dato nota ai nostri lettori in precedenti interventi, sia per non privare il lettore di una fruizione completa e gustosa dell’intero testo della Caracciolo, sia – ci sia consentito – per poter ringraziare con discrezione l’autrice che anche al sottoscritto rimanda e fa riferimento a proposito della più recente fase milanese della poesia di Ada de Judicibus.

 

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