Fiabe dell’alto SalentoTra contaminazione e fantasia di Cosimo Rodia, Edizioni Pugliesi

di Giuseppe Capozza

 

La fiaba trae le sue fonti di ispirazione sia dal rito che dal mito; essa nasce con la scomparsa dell’ordinamento sociale rituale, sostituito da quello mitologico.

I segreti iniziatici, pur non potendo essere divulgati, sono arrivati a noi sia in forma mitica che fiabesca; nel primo caso si tratta di una interpretazione religiosa dell’antico rito iniziatico, nel secondo, invece, di una sua interpretazione artistica e laica.

Conservando contemporaneamente il patrimonio rituale e quello mitologico, la fiaba ha tramandato la cultura delle epoche passate, seppur filtrata dalla sua anima artistico-popolare; in questo modo, anche se costruita su strati sociostorici diversi, la fiaba rivela ciò che un tempo era proibito: se non ci fosse stata la fiaba, il mito avrebbe distrutto ogni traccia della società rituale.

La fiaba ha raccolto gli aspetti culturali caratterizzanti le diverse epoche, rielaborandoli in forma d’arte popolare: arte, perché frutto di originale sforzo creativo, popolare perché propria delle classi subalterne e contrapposta alla cultura classica, ufficiale e borghese.

L’operazione di registrazione e recupero è stata effettuata dalle donne.

È innegabile che alle donne vada il merito di aver salvato un enorme patrimonio culturale che altrimenti sarebbe scomparso; e di averlo fatto in forma d’arte.

Furono giovani e vecchie contadine a narrare fiabe a Grimm, Perrault, Andersen, Afanasjev, Calvino e, come nel nostro caso, anche a Cosimo Rodia.

La raccolta presentata al Lettore ha come riferimento geografico l’area salentina della regione pugliese; un territorio dalle caratteristiche culturali originali, le cui tracce più antiche si sviluppano dal periodo delle civiltà pagano-italiche, fino ad arrivare all’incontro-scontro con la civiltà turco-islamica, passando per il crocevia cristiano-romano. Un percorso che sullo sfondo vede il rapporto tra Oriente ed Occidente, mentre in primo piano sono trattati in modo ricorrente alcuni temi tipici della Tradizione contadina meridionale: il lavoro come fatica, l’amore sofferto, l’unità del nucleo familiare, la morte come evento ineluttabile, ecc…

La fiaba salentina offre un contributo non da poco nel rivelare, a suo modo, l’esistenza di un immaginario salentino, fondato sugli elementi accennati; la rilevazione di tale traccia si effettua indagando la presenza di motivi fiabistici ricorrenti nelle narrazioni anonime e popolari, la cui incidenza è tale da assumere non solo una “forma” narrativa definita ma anche una precisa “sostanza” culturale; questi motivi, dunque, assumono il carattere di veri e propri “archetipi”, segni secolari di ispirazione dell’arte salentina.

Gli archetipi si concretizzano in personaggi (persone, animali, oggetti) le cui variabili narrative sono presenti in miti, leggende e fiabe del folklore internazionale.

Gli archetipi posseggono una duplice valenza: a) etnologica b) psicoanalitica.

Etnologica perchè, come già detto, gli archetipi sono patrimonio culturale di civiltà diverse e lontane tra loro; il drago, ad esempio, compare nei miti greci ma anche in quelli cinesi.

Psicoanalitica perchè, secondo la teoria dell’inconscio collettivo proposta da Jung, essi non sarebbero altro che proiezioni attuali di bisogni, paure e desideri universali, propri dell’uomo di ogni tempo; la realizzazione della propria personalità è, ad esempio, uno dei temi archetipici più diffusi.

Gli archetipi, quindi, sono dei simboli e vanno adeguatamente interpretati: l’acqua, ad esempio, può voler dire sia vita (nutrimento) che morte (diluvio).

Le tipologie archetipiche rilevabili dalle storie presenti in questa raccolta possiedono il limite “quantitativo” tipico dei campioni; l’importante, dal punto di vista scientifico, è che il campione sia rappresentativo. E questa raccolta è senz’altro rappresentativa dell’immaginario salentino. Infatti, è piuttosto agevole registrare, tra le diverse situazioni narrative, la presenza di sei motivi archetipi ricorrenti, di seguito così catalogati:

Il bambino rivelatore – I castello dei misteri – L’uomo che voleva badare a se stesso – La bambina da Prima Comunione – S. Teresa del Bambin Gesù

L’ingenuo vincitore – Il maschio porta i pantaloni quando la donna vuole – Giufà – Luigi e Nonno Orco – La fortuna ti viene a trovare

Educazione – S. Giuseppe Nicola e la capra prediletta – La cattiveria alla fine… – La moglie del massaro – Lettere tra fidanzati – La Pecora Zoppa – L’amore filiale – Ascolta tutti ma non lasciare il primo pensiero – La forza a volte non basta – Quando la fatica puzza

L’amore sofferto – L’isola della fanciulla – Il pescatore beneficiato – La formica – Il marito tradito

Paganesimo – La preghiera dei villani – La statua pagana – L’amico serpente – Il miracolo di S.Siminio – Il laùro

L’altro mondo – La messa dei morti – Il figlio del fattore – Una strana coincidenza – Il figlio morto – L’eco

Il primo motivo mette in relazione il mondo adulto con quello dei bambini. In antropologia, l’archetipo del Fanciullo ha una doppia valenza: creatura debole e indifesa bisognosa di aiuto, oppure essere magico dotato di doni straordinari.

Molto spesso, nelle fiabe il secondo motivo è presente con una variante, l’assenza di poteri magici compensata dalla fortuna-capacità di trarsi fuori dai guai grazie all’astuzia. Nelle fiabe, dunque, il bambino simboleggia l’essere che supera la debolezza fisica con l’intelligenza.

Il secondo motivo, quello dello Sciocco Fortunato, è diffuso in tutto il mondo; da noi ha una certa derivazione di origine orientale: Giufà (Jahfar), ad esempio, lo abbiamo importato dagli Arabi, padroni del Mediterraneo meridionale per molti secoli.

Il personaggio dell’ignorante che diventa ricco ha una notevole importanza “politica”, perché attraverso di esso la Tradizione Popolare ha voluto rappresentare la rivalsa del mondo contadino, povero e semplice, nei confronti delle classi sociali colte e ricche. In questo modo, la creazione fantastica cerca di porsi come “consolazione” e “recupero” di una dignità, quella umana, altrimenti compromessa da una realtà sociale emarginante.

Il terzo motivo illustra la funzione classica dei racconti popolari: l’Insegnamento etico e morale. La fiaba educativa è per la società contadina quello che l’istruzione scolastica è per le classi sociali elevate. Attraverso il racconto orale (non per nulla opposto allo studio scritto delle società aristocratica e borghese) il mondo contadino trasmette alle sue giovani generazioni interpretazioni originali sul significato della vita, dei rapporti umani, della relazione adulto-ragazzo, ma soprattutto dell’aspetto principale nel quale meglio si manifesta la dignità dell’essere umano: il lavoro. Il lavoro è “fatica” (in molti dialetti meridionali lo si traduce così…): creazione, guadagno, contributo al progresso, realizzazione di sé, felicità personale e sociale sono termini che forse possono valere per altri ambiti sociali: per la società contadina è sforzo fisico, il cui frutto spesse volte non è proporzionato ai sacrifici spesi, e comunque è sempre debilitante: non per nulla in molte fiabe i protagonisti furbi o fortunati riescono a… scansarlo con l’astuzia. Soluzione agognata, conquistata con la fantasia visto che nella realtà sarebbe impossibile!

In verità, più che infingardaggine, il desiderio-fantasia contadino di superamento del lavoro si propone come consapevolezza del suo carattere “serio”, degno di rispetto per un’attività a lungo snobbata dai “nobili” proprio perché ritenuta socialmente “degradante”!

Il mondo contadino oppone a questa interpretazione “razzista” la dignità di una occupazione sì dolorosa ma al tempo stesso inevitabile come la morte, e come la morte necessaria perché connaturata alla vicenda umana.

Il quarto motivo non può trascurare il sentimento principe delle relazioni umane: l’Amore. Nei racconti salentini è presente con una forte caratterizzazione sofferta, come se la felicità le fosse estranea, difficilmente conseguibile e, soprattutto, durevole nel tempo. In definitiva, l’insegnamento che se ne può trarre è che le avversità della vita contadina sono eventi talmente ineluttabili, che il solo poter pensare di evitarli con l’amore è visto come pretesa superba e, dunque, punita con disgrazie personali. Molti canti popolari d’amore, del resto, sono tristi nella melodia e nel contenuto; non pochi di quelli allegri si basano su contrasti, rimbrotti e risposte offensive di rifiuto e presa in giro.

Il quinto motivo raccoglie una eredità culturale fortemente radicata nelle Tradizioni Popolari: la Religione Antica. Di essa restano alcune tracce nelle liturgie del folklore religioso tipico delle sagre di paese. Il Cristianesimo, religione vincente perché “imposta” da imperatori e papi in epoca medievale, ha sì sostituito gli antichi riti pagani, ma non è riuscito ad annullarne il ricordo; il popolo ha finito così col trasferire in ambito cristiano riti, personaggi e miti della propria tradizione religiosa: i santi divengono eroi, i loro miracoli divengono imprese soprannaturali, la liturgia cattolica riprende tempi (Inverno-Natale, Primavera-Pasqua, Estate-Santi Patroni) e azioni (processioni, feste, riti di espiazione) dagli antichi “sapori” precristiani; si vedano, in tal senso, i riti della Settimana Santa (regolati sulle antiche pratiche dei sacrifici stagionali) e quelli dedicati alla Madonna (spesso rifacentesi all’adorazione delle Dee Madri, protettrici delle messi).

Il santo è la versione cattolica del dio a volte pietoso ed amorevole nei riguardi dei poveri, altre volte satirico e castigatore di malandrini. Entrambi, il santo e il dio, legati all’affidamento ad esseri superiori affinché risolvino le misere condizioni di vita del popolo, vessato dall’inclemenza del tempo e dall’egoismo dei padroni. Con loro non si può “scherzare”, come ricorda un detto diffusissimo, perché questo significherebbe essenzialmente offendere il destino sacro di ogni essere umano.

Il sesto ed ultimo motivo si occupa esattamente delle realtà ultime: la Morte. Di per sé è un tema straordinario che, se esaminato in ottica comparativa, rivela interpretazioni culturali originalissime pur nella sua universalità. Da questo punto di vista, il racconto popolare salentino permette di gustare la presenza di una interpretazione, tipica del mondo contadino meridionale, basata non soltanto sulla sua ovvia ineluttabilità ma anche sull’ altrettanto doveroso rispetto verso la dignità dei Defunti (gli “sbagantuti”), visti non come creature ormai lontane dalla realtà mondana bensì come creature semplicemente separate da essa da una cortina invisibile. I Morti, se rispettati, proteggono, difendono e salvano consegnando doni che spesso aiutano materialmente i loro protetti a superare le aspre difficoltà della vita; il tema del morto riconoscente è fondamentale, in questo senso. Se l’accesso al loro mondo esclusivo è interdetto ai vivi, non è detto il contrario; la modalità archetipica di contatto, il Sogno, è utilizzata dai Defunti per colloquiare con i vivi, assicurare la loro protezione, dare una speranza di riscatto alle travagliate vicende personali. I Morti sono prima di tutto generosi…

La Morte, invece, non ha pietà nei confronti dei superbi, cioè di coloro che pensano di poterla gabbare (evitare); anche gli eroi più potenti (Ercole, Gilgamesh, Orfeo) hanno dovuto arrendersi a Lei! La forza dell’Uomo, allora, non si dimostra cercando di evitare la morte ma affrontandola con dignità e coraggio; se è ben vero che gli eventi luttuosi finiscono col coinvolgere più persone; infatti, molti dei racconti salentini (si vedano in particolare quelli d’amore, di coppia o di matrimonio) sviluppano una narrazione che, partendo da una prima vittima, finiscono per diffondersi all’intero nucleo familiare. Ed in effetti, nel mondo contadino, la scomparsa del capo famiglia procura conseguenze negative considerevoli sulla vedova e i figli, ai quali viene all’improvviso a mancare la fonte principale di sostentamento.

Nel tema della Morte, dunque, finiscono per convogliare numerosi altri temi archetipi: l’amore, il lavoro, la religione…

Volendo ricercare e delineare un tratto comune a tutti i racconti, è possibile definire una sorta di interpretazione sofferta della vita; anche nelle vicende più umoristiche, come ad esempio quella del monaco seduttore, la narrazione non mostra segni di compiacimento, bensì sottile disapprovazione e rammarico per la violazione di un voto sacro da parte di un uomo che dovrebbe essere esempio di virtù.

La Sofferenza, sperimentata con durezza dai contadini e dai marinai nel lavoro dei campi e dei mari, nell’immaginario salentino non è trattato come evento inevitabile e mistero impenetrabile che bisogna accettare con rassegnazione, ma come occasione attraverso la quale l’essere umano dimostra, mediante l’assunzione di un comportamento saggio, tutta la pienezza della sua dignità di creatura dal destino divino.

Gli altri titoli rivelano la presenza di motivi archetipi che, seppure non rilevanti dal punto di vista numerico, sono pur sempre traccia di temi universali:

Titolo Motivo

Ciro e S. Francesco – Il protettore domestico

Il piede di maiale, Cinque centimetri, Sorella e sorellastra, Il rapitore di bambini – Fiabe classiche

Boffì Boffetta – Le fatiche dell’eroe

La lavandaia senza figli – L’automa

Il tesoro del brigante – Leggenda storica

Il monaco sprovveduto – Modi di dire

Il cappuccino intraprendente – La novella boccaccesca

Il morso della tarantola – Tradizioni arcaiche

Il primo racconto richiama le numerose e diffuse tradizioni popolari pugliesi legate alla protezione domestica affidata a figure immaginarie, quali gli auguri della casa. Nel nostro caso, al posto dello schiavo, viene murato un anello.

I quattro titoli successivi richiamano altrettante fiabe internazionali: Barbablù, Pollicino, Cenerentola, Il pifferaio di Hamelin. Le versioni salentine sono, chi più chi meno, vicine ai testi di diffusione internazionale. Boffì Boffetta sviluppa il tema mitico dell’eroe che riesce a superare dure prove con l’aiuto di aiutanti saggi.

Il racconto seguente tratta in modo originale l’archetipo del robot, della macchina-uomo, che tanto successo riscuote anche al giorno d’oggi, visto il grande interesse per il genere letterario della fantascienza.

Un esempio di lettura immaginaria di un evento storico è offerto dalle numerose leggende dedicate alla feroce epopea dei briganti; un tema diffusissimo in tutto il Meridione e rievocato ancor oggi attraverso diverse animazioni turistico-culturali.

Detti, proverbi, modi di dire tramandano la saggezza popolare contadina in forma semplice, leggera, spesso divertente: è il caso del terz’ultimo racconto elencato. Di sicura impronta umoristica è il racconto boccaccesco del quale si rende protagonista il giovane monaco del racconto, di certo ispirato a figure reali dal comportamento non propriamente consono alla dignità sacerdotale…

Infine, un racconto che sembra tratto da un saggio di Ernesto De Martino (con tanto di dvd allegato!) tanto la descrizione dei fatti è reale e magica al tempo stesso; personalmente, lo ritengo uno dei racconti più rappresentativi dell’intera raccolta e perfettamente adatto ad esprimere quell’immaginario salentino al quale questo breve intervento ha voluto rendere omaggio.

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