È salita in cielo Patrizia Cavalli, una poetessa, lieve, sofferta, trasparente, lineare.

 

«Io guardo il cielo, il cielo che tu guardi

ma io non vedo quello che tu vedi.

Le stelle se ne stanno dove sono,

per me luci confuse senza nome,

per te costellazioni nominate

prima che il sonno scioglierà il tuo ordine.

Ah, sognami senza ordine e dimentica

i tanti nomi, fammi stella unica:

non voglio un nome ma stellarti gli occhi,

esserti firmamento e vista chiusa,

oltre le palpebre, splenderti nel buio

tua meraviglia e mia, immaginata».

 

Una semplicità che contiene una complessità derivata dalla sua robusta memoria culturale: Elsa Morante, Sandro Penna, Umberto Saba…

 

Ne Il mio felice niente, che è titolo di una sezione di “Vita meravigliosa” scrive, con uno stupore insieme senile e bambino:

«E me ne devo andare via così?

Non che mi aspetti il disegno compiuto

ciò che si vede alla fine del ricamo

quando si rompe con i denti il filo

dopo averlo su se stesso ricucito

perché non possa più sfilarsi se tirato.

Ma quel che ho visto si è tutto cancellato.

E quasi non avevo cominciato».

 

Un semplice ricordo, dunque, di una voce autentica.

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