Tonino Guerra e la forza delle piccole cose

di Sandro Marano

 

«Adesso sto sempre in casa
e sposto carte o guardo
oltre i vetri della finestra
le mandorle secche attaccate ai rami
che arrivano fino quassù
e sembrano pendagli alle orecchie
di gente che non c’è più.
O sto seduto su una sedia
vicino al camino
e si fa notte presto
con la luce che cade dietro le montagne
e io vado a letto con la voglia di sognare
i giorni che nevicava a Mosca,
e io ero innamorato

 

Sceneggiatore di oltre un centinaio di film tra cui alcuni che sono da considerarsi pietre miliari nella storia del cinema come L’avventura (1960), Deserto rosso (1964), Al di là delle nuvole (1995) di Michelangelo Antonioni e Amarcord (1973) di Federico Fellini, Tonino Guerra (1920-2012), è stato soprattutto il poeta d’una civiltà ferita dal consumismo e dall’industrialismo, in particolare di quella contadina e artigiana dei piccoli borghi della Valmarecchia, da lui non a caso eletta a luogo dell’anima.

In Una foglia contro i fulmini, un magnifico testo del 2006 che mescola impercettibilmente narrativa, poesia e autobiografia, Guerra così scriveva: «Ormai ho una convinzione definitiva: ho bisogno di strade non asfaltate, terreni incolti di crosta secca dove una nuvola d’acqua fa crescere i fiori sotto i tuoi occhi, che subito appassiscono».

E in un intervento tenuto a Pennabilli nell’ottobre 2009 ebbe a dichiarare: «Amare la terra e portare i giovani ad amarla è un nostro compito. In questi anni abbiamo fatto un inferno. Dove è andata la devozione alla grande madre? Quella dei contadini d’un tempo. Un parco regala silenzio. Nella nostra memoria i ricordi affiorano se ci sono posti selvaggi che ci riportano all’infanzia. Non solo alla nostra infanzia, all’infanzia del mondo».

Ricercare l’infanzia del mondo, come fa il poeta romagnolo, è in fin dei conti ricercare il sacro, che nella civiltà contadina era ben vivo e dava luogo a un continuo, appassionato – benché a volte difficile e travagliato – dialogo tra l’uomo e la natura. «La qualità fondamentale di questa poesia – scrive non a torto Franco Loi – è la ricerca del sacro tra le piccole cose e le persone dimenticate» (Quel silenzio che combatte i fulmini, in Il sole 24 ore, 25 giugno 2006).

Di Guerra ho un ricordo personale. Ero a Pennabilli a fine aprile del 2009 per una breve vacanza e assaporavo il silenzio, l’incanto di quei vicoli, la suggestione delle meridiane dipinte sulle facciate delle case e di quei luoghi dell’anima creati dal genio poetico di Tonino, come l’orto dei frutti dimenticati o il rifugio delle Madonne abbandonate. Mentre andavo a zonzo lo incontrai proprio nei pressi della sua casa (si era ormai ritirato a Pennabilli dal 1989). Lo salutai manifestandogli la mia stima e non mancai di chiedergli perché avesse prestato la sua immagine ad un noto spot pubblicitario (“L’ottimismo è il profumo della vita”). Guerra non si scompose e come facendo uno sforzo per ricordare disse: «Ah, sì, il pensiero sull’ottimismo!».

Semplicità e forza espressiva sono la cifra della sua opera. Riconoscere e non farsi strappare da falsi miraggi l’infanzia propria e del mondo. Ma qual è la forza segreta che muove ogni ricerca filosofica, poetica, esistenziale?

In una delle pagine più intense di Che cos’è la filosofia? Ortega y Gasset scriveva: «Avete mai riflettuto sulla sorprendente struttura del ricercatore? Colui che ricerca non possiede, non conosce ancora ciò che cerca e, d’altra parte, cercare significa possedere in anticipo e presumere quello che si cerca. Ricercare […] perciò ci arricchisce facendoci vedere ciò che fino a quel momento non vedevamo». E concludeva: «L’amore ricerca ciò che l’intelletto incontra.»

In questa amorevole ricerca dell’infanzia del mondo, in questo cantare una civiltà

ferita dall’industrializzazione, la poesia di Guerra può ben dirsi ecologista. Eccone un esempio tratto da “I bu” (I buoi), il suo testo poetico più noto:

 

«Andate a dire ai buoi che vadano via

che il loro lavoro non ci serve più

che oggi si fa prima ad arare col trattore.

E poi commoviamoci pure a pensare

alla fatica che hanno fatto per migliaia d’anni

mentre eccoli lì che se ne vanno a testa bassa

dietro la corda lunga del macello».

 

Nella poesia citata in apertura, che si intitola Si fa notte presto e fa parte d’una raccolta della maturità Il miele (1981), di fronte all’avvicinarsi della notte (che è anche metafora dell’oscurità, della cecità che pervade il nostro mondo) fa appello alla memoria: essa sola può custodire il sogno d’amore. Guerra ha potuto a Pennabilli e nella Valmarecchia dare in qualche modo concretezza al suo sogno poetico.

C’è, malgrado tutto, una nota di ottimismo nella notte.

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