Il neorealismo ante litteram di Belli ne L’avvocato Cola

di Italo Spada

 

Nell’introduzione ai Sonetti, Giuseppe Gioacchino Belli, avendo deliberato di “lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma”, scrive testualmente: “il popolo è questo; e questo io ricopio”. Se ci fosse stato il cinema e se Belli fosse stato un regista, probabilmente avrebbe detto: “il popolo è questo; e questo io filmo”. Ne sarebbe venuto fuori un cinema interpretato da attori non professionisti, parlato in dialetto, girato in esterni, con mezzi poveri, senza trucchi e manipolazioni.

L’avvocato Cola è la registrazione di una testimonianza fatta da un anonimo personaggio della strada a imprecisati ascoltatori. S’è formato un gruppo di persone che sta commentando la notizia del giorno: la morte dell’avvocato Cola. Belli ascolta quello che quest’uomo dice e riferisce, “ricopia” le sue parole, senza aggiungere nulla di personale. In una sua nota al sonetto si legge: “Così fu trovato l’avvocato Carlo Cola dopo alcuni giorni dacché non erasi più veduto”. È l’anticipazione del cinema verità di Dziga Vertov che teorizza il “Kino-Glaz” o “Cine-Occhio” sostituendo la macchina da presa all’occhio; è un cinema neorealista ante litteram, da accostare alle opere di Rossellini, De Sica, Visconti.

Già l’incipit – quel Ma eh? che, in sé, non dice nulla, ma che pronunciato con un dondolio del capo lascia intendere pietà e rassegnazione al destino – è da sceneggiatura. Non c’è nulla di poetico in un’esclamazione del genere. C’è, invece, molto cinema, un metalinguaggio che può significare molte cose ed essere tradotto in frasi popolari tipiche, come: “Ma tu guarda un po’ cos’è  la vita! E chi lo avrebbe mai detto? Purtroppo si nasce e si muore! Poveretto, che fine! Quanto mi dispiace!…”

La notizia della morte dell’avvocato Cola[2], provoca una sorta di commemorazione tra conoscenti che si trasforma in un drammatico collettivo ritratto dello scomparso. Il titolo di “avvocato” aggiunge tristezza  alle condizioni pietose nelle quali si era ridotto il professionista; condizioni pietose che vengono elencate con espressioni tanto colorite e popolari, quanto cariche di squallore e di miseria (s’era ridotto che ssì e nnò aveva la camicia sotto… jje toccava a ggastigà la golase maggnò, ddisgrazziato!, a ppoc’ a ppoco vestiario, bbiancheria, mobbili e lletto…).

Squallore e miseria che ritornano nei versi che seguono e che confluiscono  nell’inquadratura di un elemento plastico di grande effetto visivo: la sedia. Belli – come rileva Vigolo – “fa risaltare nelle cadenze di chiave del sonetto e della rima, quella ssedia sola su cui il poveretto si lasciò morire di fame: in modo che la fantasia resta colpita principalmente da quell’oggetto, da quel particolare essenziale nella sua semplicissima realtà, e tutta la situazione vi si concentra, come nella famosa sedia del quadro di Van Gogh”[3].

 

L’avvocato Cola

 

Ma eh? Cquer povero avvocato Cola!

Da quarche ttempo ggià ss’era ridotto

che ssì e nnò aveva la camicia sotto,

e jje toccava a ggastigà la gola.

 

Ma piuttosto che ddì cquella parola

de carità, piuttosto che ffà er fiotto,

se venné ttutto in zette mesi o otto,

for del l’onore e dd’una sedia sola.

 

Mò un scudo, mò un testone, mò un papetto,

se maggnò, ddisgrazziato!, a ppoc’ a ppoco

vestiario, bbiancheria, mobbili e lletto,

 

e ffinarmente poi, su cquella ssedia,

senza pane, senz’acqua e ssenza foco,

ce serrò ll’occhi e cce morì dd’inedia.

 
 

 

flash-back

 

 

 

 

 

 

particolare –

materiale plastico

 

 

 

 

primo piano
 

[2] Nel dialetto romanesco – e non solo –  l’aggettivo povero non viene usato solo per indicare la condizione di miseria nella quale un uomo vive,  ma è anche sinonimo di defunto.

 

[3] Cfr. Alberto Asor Rosa, Storia e antologia della letteratura italiana, Vol. 14, La Nuova Italia, Firenze 1975, p. 149

 

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