Reporter con carta e matita

Sequenza di guerra in Veglia di Giuseppe Ungaretti

di Italo Spada

 

La filmografia sulla prima guerra mondiale è relativamente scarsa. Includendo opere anche poco riuscite, l’elenco si può ridurre ad una dozzina di titoli: La grande parata di King Vidor (1925), Westfront di Georg Wilhelm Pabst (1930), Addio alle armi di Frank Borzage (1932), Sobborghi di Boris Barnet (1933), La grande illusione di Jean Renoir (1937), Addio alle armi di Charles Vidor (1957), Orizzonti di gloria  di Stanley Kubrick (1957), La grande guerra di Mario Monicelli (1959),  Per il re e per la patria di Joseph Losey (1964), La caduta delle aquile di John Guillermin (1966), Uomini contro di Francesco Rosi (1970), Il barone rosso di Roger Corman (1971). Eppure, con il materiale a disposizione – scene di massa, truppe al fronte, cannonate, battaglie all’arma bianca, trincee… – si potrebbero creare centinaia di storie filmiche.

Il soldato semplice di fanteria Giuseppe Ungaretti utilizza la sua esperienza di vita in trincea nel fronte del Carso per scrivere un diario poetico di notevole spessore. Le immagini di guerra che emergono da alcune poesie raccolte ne Il porto sepolto, pubblicato per la prima volta nel 1917, e in Allegria di naufragi del 1919, hanno la stessa forza espressiva delle sequenze filmiche più classiche. Verrebbe da dire che se gli americani e gli inglesi inviarono al fronte operatori e registi con il compito di utilizzare la macchina da presa come mezzo per documentare gli avvenimenti storici, gli italiani si servirono del lapis e dei fogli di quaderno di un poeta. Nessun ingombro nello zaino e un’enorme quantità di materiale non solo su ciò che accadeva all’esterno, ma anche sulla tempesta di sensazioni procurate dalle atrocità della guerra.

Veglia, scritta a Cima Quattro il 23 dicembre del 1915, ha la stessa potenza espressiva di alcune sequenze de La grande guerra e di Uomini contro. Ogni parola è un’inquadratura.

L’intera nottata dell’incipit proietta la sua sinistra luce sul set. C’è stata battaglia e tutto ora tace. Una lenta panoramica scopre che, nell’immobilità generale, qualcosa si muove: ha più parvenza di cosa (si “butta” un oggetto ormai inservibile e senza valore) che di essere umano. Solo quando si zooma ci si rende conto che quell’impercettibile respiro rivela la presenza di un soldato che trema ancora per lo spavento. Non è solo; allargando l’obiettivo si nota che, al suo fianco, c’è un morto.  Immobile, sfigurato, massacrato; è un ragazzo della sua stessa età che non ride più, non scherza, non canta, non sogna. Prima di morire ha invocato pietà, ha chiamato la mamma, ha pregato. Non gli ha risposto nessuno, nemmeno il cielo. Egli ha guardato per l’ultima volta la luna piena – la stessa bella luna delle sue serate d’amore, l’insensibile luna che vede gli uomini scannarsi tra di loro, ha cercato un ultimo appiglio sulla terra, ha trovato la mano di un commilitone e ha sperato di vivere un altro giorno ancora.

 

Veglia

 

 

Un’intera nottata

buttato vicino

a un compagno

massacrato

con la sua bocca

digrignata

volta al plenilunio

con la congestione

delle sue mani

penetrata

nel mio silenzio

ho scritto

lettere piene d’amore

 

Non sono mai stato

tanto

attaccato alla vita

 

 
 

 

panoramica

zoom

 

P. P.

 

 

campo – controcampo

 

particolare

 

 

 

 

 

Voce F. C.

 

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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