Intervistiamo: Maria Pia Latorre e Paola Santini

di Giuseppe Capozza

 

Intervistiamo Maria Pia Latorre e Paola Santini che hanno licenziano “Olè che tele!”, un romanzo per ragazzi per i tipi Gelsorosso.

  1. Perché nel racconto sono inserite molte opere contemporanee e poche opere antiche?
Ci siamo sforzate di inserire opere figurative che risultassero di gradimento per i bambini, a partire dalle famose composizioni di Arcimboldo, d’epoca cinquecentesca, passando per il Romanticismo, l’impressionismo e per le principali correnti pittoriche europee.  Lo scopo quello di avvicinare i piccoli lettori all’arte e ai principali luoghi preposti alla sua fruizione, in primis  musei e pinacoteche.

 

  1. Rivolgo ad entrambe le seguenti domande: Qual è stato il primo museo che hai visitato? E la prima pinacoteca? Che ricordi ne hai? Hai portato i tuoi alunni in visita ad un museo? Cosa avete visto? Qual è stata la loro reazione?
Ricordo con nettezza la forte emozione che provai nella immersione totale nel mondo romano quando, dodicenne, visitai gli scavi di Pompei, un museo a cielo aperto, avvolgente, unico e in 3D antelitteram… Un rapimento, una specie di “sindrome di Stendhal” che ha rafforzato in me la passione per l’Arte e per la Storia. Poi, ventenne, mi innamorai dell’Impressionismo tra le sale del Museo D’Orsay. La Storia dell’Arte  mi ha regalato lo studio degli esami più appaganti degli anni universitari e, se non avessi deciso per motivi di concretezza lavorativa, di diventare docente di Lettere, avrei continuato i miei studi nel settore del restauro,  che dovrebbe secondo me essere il volano dell’economia italiana, con enorme possibilità di lavoro per i giovani, considerato l’immenso patrimonio artistico che il nostro paese ha il privilegio e il dovere di custodire. Come docente di ragazzi più che adolescenti, ho osservato spesso il loro stupore nello scoprire dal vivo dettagli di opere la cui potenza era amplificata anche dalla continuità e contiguità con altre organizzate dai curatori in una precisa sequenza logica e/o cronologica. Ma la capacità attentiva dei giovani è sempre più fragile, pertanto bisogna formare guide museali capaci di catturare e mantenere viva la curiosità dei fruitori con ogni mezzo. Come ogni docente di scuola sa e fa ogni giorno (Paola).

Anche io ho un vissuto pressappoco simile a quello di Paola. Nel mio caso la folgorazione è avvenuta agli Uffizi di Firenze. Accompagnare i bambini a visitare musei e mostre è un’esperienza tridimensionale, per me. Nel senso che diventa vita reale, o meglio, arte che entra nella vita, oggi si dice “compito di realtà” (Maria Pia).

 

  1. Nel racconto sono presenti gli artisti di strada: cosa pensate dei “madonnari” che disegnano sui marciapiedi?
Gli artisti di strada attirano spesso la nostra attenzione! Profumano di genuina ed eroica bellezza, come  fiori nel cemento! Ammiriamo infatti la loro capacità di creare contesti di creazione-esibizione nonostante il disturbo metropolitano. È interessante, durante gli happening, soffermarsi anche sui volti del pubblico: misurare il grado di attenzione e coinvolgimento con cui i passanti smettono di essere tali per fermarsi in un virtuale spazio d’Arte. L’artista di strada offre la propria opera in condizioni di scomodità e senza garanzie di guadagno… quanti lo farebbero in nome di una passione a cui si vota la propria vita?

 

  1. Tra i diversi personaggi e protagonisti di “Olè che tele!” c’è la bambina Mara: vi riconoscete in lei?
Uno scrittore si immedesima nei propri personaggi per farli vivere più incisivamente nel racconto. Si sforza di pensare, di ragionare seguendo i tratti psicologici del personaggio cui sta dando vita e tanto più entra in relazione col personaggio, tanto migliore sarà la resa. Lo stesso è accaduto con la piccola Mara.

 

  1. La ministra sembra antipatica ma poi già da pag. 72 si ravvede. È un buon segnale per la classe politica, di solito bistrattata (soprattutto in questi giorni!). Voi come vedete il rapporto tra Arte e Politica?
La ministra si chiama Grazia Mostra perché sempre più nel racconto mostrerà una grazia insperata, trainata dal progetto che i giovani artisti e tutti il personale del Ve.Ga. hanno elaborato per salvare il museo. Ciò dimostra che anche gli individui più cinici possono cambiare prospettiva, ravvedersi e collaborare al bene, soprattutto se inseriti in contesti,  comunità sane. La corruzione, il malaffare alimentano se stessi ed estirparli o comunque combatterli produrrebbe un benessere sociale e  morale contagioso. Nel nostro racconto inoltre l’opera di salvataggio e riqualificazione del bene culturale parte dal basso. Quindi non dobbiamo sempre e solo demandare alla politica, per poi scaricare su di essa le sue evidenti colpe. Certo speriamo di non dover più sentire ministri pronunciare frasi come “con la cultura non si mangia”… innanzitutto perché dovrebbe valere il principio dell’”ars gratia artis”, e poi perché in Italia semmai sarebbe vero l’esatto opposto: qui da noi la cura delle opere d’arte potrebbe essere una voce importante dell’economia, dando anche lavoro a tanti ragazzi, in virtù dell’immenso patrimonio di cui siamo destinatari, fruitori e custodi. E se la politica capisse e  promuovesse questo circuito virtuoso, essa stessa realizzerebbe, nel suo piccolo, un miracolo, un’”opera d’arte”!

 

  1. Arte e Tecnologia, secondo voi possono andare d’accordo? Cosa ne pensate delle app che ci fanno entrare dentro i musei e addirittura nei quadri?
La tecnologia è sempre stata alleata dell’Arte. Da quando con il fuoco iniziò la lavorazione dei metalli che vennero forgiati in preziosi monili, fino a quando, nel Cinquecento, la stampa di Gutenberg facilitò la diffusione dei testi, arrivando fino ad oggi in cui abbiamo la tecnologia in 3D, la realtà aumentata, i social. Non sono strumenti in sé dannosi ed hanno anzi enormi potenzialità di uso creativo e di divulgazione. Tutto sta nel saperli padroneggiare con competenza nel rispetto e per il bene dei fruitori delle opere e nel rispetto e per il bene dell’Arte. Ci aiuti in tal senso l’enorme contributo divulgativo che in TV ha offerto il giornalista Piero Angela, da sempre affascinato dalla scienza e dalla tecnologia e maestro nell’uso della comunicazione.

 

  1. Nel racconto non mancano aspetti problematici della società di oggi; mi riferisco in particolare al lavoro e alla disoccupazione, che preoccupano alcuni personaggi. Come presentare questi argomenti seri ai bambini?
I bambini purtroppo conoscono già questi argomenti perché spesso li vivono. Scrivere per loro, secondo noi dovrebbe essere l’occasione per trasmettere messaggi educativi, segnalando le disfunzioni della società, senza troppo pessimismo ma con lucidità e nettezza. Infine mostrando soluzioni e possibili rimedi. I piccoli hanno bisogno di capire la differenza tra bene e male con chiarezza. Dunque serve semplicità di linguaggio e personificazione del male in maschere enfatizzate, caricaturali, anche per provocare qualche risata e mettere alla berlina i nemici, gli antagonisti del racconto. Le soluzioni, come già detto, non devono mancare. Serve necessariamente un happy end. Spesso nei nostri libri abbiamo individuato nella “comunità” l’ancora di salvezza; a partire dalla formula “insieme si sta bene” contenuta nel nostro primo libro “ Raccontinascensore”.

Un’altra nostra pubblicazione, “Tutti con Ago”, suggeriva già dal titolo un invito alla coesione sociale, che in quella storia coinvolgeva gli abitanti di Borgogarbo, tanti artigiani che solo insieme riuscivano a difendersi dal drago, metafora della produzione industriale. Anche quello, a suo modo, era un libro “politico” che sfiorava i problemi sociali e del lavoro.

 

  1. Le pagine attive sono impegnative; può essere una buona occasione affinché adulti e bambini le risolvano insieme?
Tutti i nostri libri hanno un’appendice interattiva, perché l’obiettivo è rendere la lettura un gioco, sullo stesso piano e nello stesso spazio in cui si trovano sfide di enigmistica, linguistiche, di elaborazione creativa e personale. Ogni gioco, perché diverta, non deve essere banale, quindi anche nelle attività di questo “Olè che tele!” la mente viene messa a dura prova, tanto da richiedere, talvolta, l’apporto di un adulto. Sarà l’occasione di giocare insieme. Tutto ciò che è condiviso è sempre più stimolante e appagante. L’adulto  collaborante non ha limiti di età e può andare dal fratello/amico al genitore/docente/nonno.

 

  1. Il personaggio più simpatico è Pablo: siete d’accordo?
 Pablo certo, e noi diciamo: “Seguramente!”

 

  1. ‘Olè che tele!’ ha un’estensione che si apre con un Qrcode e che contiene, oltre a giochi e disegni, dei canti. Perché?
Il canto è un ulteriore linguaggio e stimolo che interviene da sempre nei nostri racconti: noi due abbiamo alle spalle esperienze di canto e profondo amore per la musica. La musica plasma i ricordi e resta, insieme agli odori, nella nostra memoria più lontana. Quindi ha un forte impatto emotivo su tutti noi. Le canzoni abbinate ai nostri libri servono a cementare l’affezione ad essi e ai  personaggi, creando momenti di condivisione nell’esecuzione di gruppo, abbinata anche a piccoli gesti coreografici. Musica e parole, in fondo, vanno a braccetto dai tempi dei poemi omerici fino ad arrivare alle colonne sonore del cinema.

 

Grazie a Maria Pia Latorre e Paola Santini per la disponibilità.

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