Il tempo del vino e delle donne di Aleksander Nawrocki

di Maria Pia Latorre

 

Talvolta la forza vitale che anima l’agire umano si ribella all’inevitabilità delle trasformazioni del tempo. Aleksander Nawrocki, nella raccolta: Il tempo del vino e delle donne, dialoga col tempo, lo interroga, lo vuol stanare, ne coglie le diverse dimensioni, ne ingaggia una lotta.

La trama poetica che le liriche si passano una all’altra è l’accettare e il convivere col senso di impotenza e ineludibilità del tempo: ”E ora sto seduto al sole d’autunno, davanti a me ondeggiano pini verdi”; così pare di poter assimilare l’ondeggiare dei rami al ticchettio alterno di un pendolo che cadenza il momento passare.

Ma la relazione del poeta col suo tempo passa attraverso uno strumento di sublimazione, quasi un’arma nelle mani del poeta: la bellezza, che ne è l’antagonista per eccellenza. Difatti il tempo sfiorisce la bellezza, viceversa la bellezza trionfa sul tempo, in un’eterna lotta senza vincitori né vinti. Per Aleksander Nawrocki è la donna l’emblema di bellezza per eccellenza; è  nella figura muliebre che egli ne esalta lo splendore ed è a lei che ne affida il patema: “devi togliere il cielo dalla rugiada mattutina/ affinché il mio sogno non debba difendersi come un lupo”.

La virile ruvidità del poeta è consapevole della drammaticità degli effetti del Κρόνος, il tempo cronologico, ma quasi è rassegnato ad accettarli. Ed è un continuo rimando di domande e di verità non accolte e rivolte alla compagna (e forse più ancora a se stesso): “Questi anni sono fuggiti fingendo? […] allora perché oggi e come se fosse così?!” Domande che si agitano e ridanno nuovo vigore al poeta che, nel momento stesso in cui le pone, si rianima muovendo verso diverse e più appaganti dimensioni. E non importa quale ne sarà la risposta, l’effetto è quello dell’inebriarsi, del risolvere l’angoscia che attanaglia il momento: “Ridiamo – come se fosse il tempo della gioia […] dovevano vivere per sempre –  come se…/ Congiunti da una promessa dove possiamo andare?” Nell’assimilazione donna-bellezza e nel suo disfacimento come provvisoria sconfitta su καιρός, il tempo-Kairòs, si ritrovano poesie fortemente narrative, come “Quando le ragazze a cui portiamo i fiori”, dove si racconta con estrema lucidità la grandezza distruttiva del tempo sulla bellezza: “i rimpianti entreranno negli appartamenti, negli sbiaditi abiti fuori moda./ Bontà senza denti indosseranno/ i loro pesanti corpi”.

Sono versi che ci fanno sentire freddo nelle ossa, gelo nel cuore, tutta la potenza del disfacimento ma non la rassegnazione. Sono versi in cui l’uomo, disperato, abbraccia la sua compagna, la celebra nella sua terrena sensualità più che come madre cosmica, la sente sorella nella paritaria condizione, ne piange il disincanto, ma non si arrende. Tutta la raccolta è penetrata da un vigoroso opporsi al tempo sovrano, da una fiera forza che non si accascia mai completamente su se stessa e che ha da proferire ancora nuove parole; è la forza poetica primordiale, che cerca immortalità e si riconcilia con αἰών, il tempo-Aiòn, il tempo dell’eternità.

 

 

Lascia un commento