Il grande “Premio Taranto”

di Barbara Gortan

 

Il poeta greco antico, Leonida di Taranto, nemo “poeta”in patria, scrive così in un suo celebre epigramma:

 

“Molto lontano dormo dalla terra

d’Italia e dalla mia patria, Taranto

Questo è per me più amaro della morte.

Tale è la vana vita di ogni nomade.

Ma le Muse mi amarono e per tutte

le mie sventure mi diedero in cambio

la dolcezza del miele. Il nome di Leonida non è morto.

I doni delle Muse lo tramandano per ogni tempo.”

(traduzione di Salvatore Quasimodo)

 

Era circa il 270 a.C. e per evitare la schiavitù ‘fuggi’ da Taranto che nel frattempo fu conquistata dai romani e non ci tornò mai più. Di una cosa Leonida fu assolutamente certo: la poesia gli avrebbe dato la gloria e il suo nome sarebbe rimasto immortale nei secoli. Certo all’epoca la città non ragionò sui valori letterari del suo “profeta” e forse qualcosa di lui è stato perduto.

Tuttavia la nostra splendente Taranto, ricca di storia, nei secoli costituita da sovrapposizioni di dominazioni, che è stata capitale della Magna Grecia, dorata nel dna, in un tempo piccolissimo ragionò sui valori letterari di un’intera nazione, fu ideatrice di una grande manifestazione: quella del Premio Taranto. L’ideatore fu Antonio Rizzo, un giornalista, direttore della “Voce del Popolo”, un grande giornale tarantino pubblicato per circa cento anni, e un piccolo circolo culturale, chiamato proprio “Circolo di cultura”, pianificarono il progetto.

Il 6 gennaio del 1949 fu inaugurata la sua prima edizione. Era un premio di letteratura di mare per inediti, cioè poteva partecipare chiunque in Italia avesse scritto un racconto che veniva per regolamento inviato in busta chiusa e in un’altra busta sigillata con su scritto un motto, era nascosto il nome dell’autore. Le buste venivano inviate e custodite da un valido affidabile notaio che le siglava, quindi erano scritti dei quali non si conosceva realmente il nome dell’autore.

Questo premio sotto tanti punti di vista fu esemplare, era la qualità dei racconti ad emergere. Quasi nessuna manifestazione letteraria si svolgeva così, nella gran parte dei casi si scopriva l’autore e ci si regolava a chi dare il premio. Il Premio Taranto durò quattro anni, il primo anno fu di letteratura, il presidente era il poeta Giuseppe Ungaretti e nella prima giuria c’erano Enrico Falqui e Giovanna Manzini, i quali per molti giorni si trasferirono a Taranto. In quel periodo non c’erano dei buoni alberghi che potessero ospitarli e dormirono nelle case degli organizzatori, come scritto sul libro di Aldo Perrone “Storia del Premio Taranto”, Edizioni del Gruppo Taranto.

Dalla seconda edizione in poi la manifestazione fu allargata anche alla pittura, sempre ispirata al mare. Fu qualificato come uno dei principali premi d’arte d’Italia, parteciparono molti grandi artisti. Il primo anno fu premiato Fausto Pirandello (figlio di Luigi Pirandello); poi, vinsero Meloni, Birolli e Bruno Tassinari il terzo anno (Gli artisti fotografati e quello che è rimasto dal punto di vista iconografico sono conservati nell’archivio del Gruppo Taranto)

Per il premio di letteratura di mare inviarono i loro inediti: Gaetano Arcangeli, Raffaello Brignetti, Teresa Carpinteri, Carlo Emilio Gadda, Pier Paolo Pasolini e Sandro Penna.

Vinse la prima edizione del Premio Taranto il giovane Raffaello Brignetti che raccontò che era solito non fidarsi dei premi letterari, ma intuì subito che questo premio fosse importante, perché l’anonimato sarebbe stato la vera forza motrice per la serietà del premio. Partecipò e vinse. Ungaretti rimase folgorato dal suo racconto ma confessò anche che avrebbe voluto far vincere il suo grande amico Pea, che ne aveva mandato uno bellissimo, ma non all’altezza di quello di Brignetti. Qualche anno dopo, nel ‘67, Raffaello Brignetti, con una grande raccolta di racconti di mare, intitolati “Il Gabbiano Azzurro” vinse il Premio Viareggio. Questa raccolta conteneva gran parte dei racconti inviati al Premio Taranto. Poi nel 1971 con uno splendido romanzo intitolato “La spiaggia d’oro” vinse il Premio Strega.

Il Premio Taranto, come dice Aldo Perrone, ebbe lo sguardo lungo, gli occhi lunghi.

Pier Paolo Pasolini mandò un racconto molto lungo che chiamò “Terracina” e arrivò al secondo posto e vinse un premio di centomila lire dell’epoca, che equivalgono a qualcosa come sei stipendi buoni di un buon impiegato di oggi. Mentre il primo premio, quello che veniva conferito al vincitore assoluto, era addirittura di cinquecentomila lire, quasi uno stipendio di un intero anno di un buon impiegato. Nell’Italia che si stava costruendo, era finita la guerra, c’erano macerie; a Taranto c’era la fame e fino a qualche anno prima la borsa nera governava l’economia della città. In quel momento doloroso, uno scrittore giovane che vincesse quella somma, non poteva che essere una cosa straordinaria. Questa fu una delle mosse intelligenti del Premio Taranto, che si mantenne anche grazie alla raccolta fondi di tutti i protagonisti della vita cittadina, anche delle persone più umili.

Il racconto “Terracina“ di Pier Paolo Pasolini qualche anno dopo, ampliato, diventò “Ragazzi di Vita” che fu il suo vero capolavoro.

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