Tutti accettano passivamente la decisione, solo Pedro tenta di opporsi senza trovare appoggio nei compagni. Ora, per sopravvivere, Pedro ruba nelle terre del padrone e trova in Felix, un primo seguace. Questi muore in un agguato; nei campi è vietato cantare, ma Pedro canta l’amico con la voce dell’anima e diventa il simbolo dell’ansia di libertà di ogni persona oppressa. Nella denuncia delle ingiustizie scende in campo anche il parroco don Rodas (come a dire che i prediletti della chiesa sono i poveri); ma i signori, che muovono i fili del potere, lo allontanano. Dopo un incendio nelle terre di don Josè, il danno ricade sui più poveri, perché il padrone riduce ancora la paga. Pedro tenta di allacciare rapporti con il sindacato di categoria, vi s’iscrive, per essere sostenuto nella causa. Ma i poliziotti, braccio armato dei ricchi, lo picchiano a sangue, senza però spezzarlo “dentro”. Il giovane sospinge la sua gente a lasciare quella terra e cercare un luogo dove essere liberi, ma è arrestato e fucilato; le sue ultime parole sono capitali: « Soltanto se l’uomo rimane solo, non è più uomo»[3]. E la morte di Pedro è il tributo di sangue pagato per aprire la stagione del riconoscimento dei diritti. La chiusa del libro è straordinaria; nella baracca di Pedro si aggira Marco, il figlio di Felix: «Al chiaror della luna aprì il quaderno che un giorno Pedro gli aveva regalato e con un mozzicone di matita cominciò a scrivere. Lentamente, stentatamente. La sua ombra man mano che la luna si spostava, ingigantiva, come se volesse dominare tutto il villaggio. – È il nuovo Pedro – mormorò la gente. E qualcuno afferrò il suo mozzicone di matita, prese un foglio e, al chiaro della luna, prese a scrivere. E Marco, a voce alta, sillabava: Yo…atendo…. Il sergente mentre si allontanava con i soldati e le guardie, borbottò: – Scemi, pensano che con due righe di scrittura impareranno a ragionare… Intanto tu, scriviti il nome di quel ragazzo … bisognerà tenerlo d’occhio. Già. Ma quanti “Pedro” dovranno sacrificarsi perché l’uomo impari a rispettare l’uomo?»[4]. Un romanzo toccante scritto per ragazzi, ma è evidentemente per lettori di ogni età. Il libro contiene un grande anelito di libertà; ed è un atteggiamento concreto contro le ingiustizie. Scrive Giancane: ‹‹Se Orzowei è un primo severo contatto con la realtà dei problemi sociali e psicologici, per cui il razzismo non è più considerato nel binomio uomo bianco-uomo nero ma violenza dell’uomo contro il diverso da sé, La luna nelle baracche rompe gli indugi e affonda il dito nella piaga della sopraffazione, dello sfruttamento, dell’alienazione»[5]. E Manzi continua con il romanzo El loco (1979) il discorso avviato con La luna nelle baracche, mettendo a fuoco i problemi emergenti non solo del Sudamerica, ma anche quelli che provengono da tutte latitudini in cui situazioni di violenza calpestano la dignità dell’uomo. Non è escluso che lo scrittore sia stato sospinto dal vento che cresceva nel secondo dopoguerra, in termini di anelito di umanità, di ventata generale di rivendicazione, di tensione positiva, tesa a conquistare spazi di libertà, col desiderio di ogni uomo di impossessarsi del proprio futuro. Quella di Manzi è una traccia letteraria di un’alba (dopo le macerie della guerra, dopo l’industrializzazione forzata, col mondo diviso in ricchi e poverissimi), che lumeggia in una dimensione di senso e di forte speranza. Oggi, forse, quella vis la guardiamo con nostalgia, perché l’orizzonte esistenziale e ideologico è cambiato e la diffusione dei newmedia ha creato nuove sensibilità, nuove illusioni, sopendo o cassando le precedenti. [1] A. Manzi, Orzowei, Bompiani, Milano 1990, p. 219. [2] Cfr. D. Giancane, Alberto Manzi, il fascino dell’infanzia, Fabbri, Milano 1975. [3] A. Manzi, La luna nelle baracche, Salani, Firenze 1974, p. 147. [4] Ivi, pp.147-148. [5] D. Giancane, Introduzione, in A. Manzi, La luna nelle baracche, cit., p. 7.
Tutti accettano passivamente la decisione, solo Pedro tenta di opporsi senza trovare appoggio nei compagni. Ora, per sopravvivere, Pedro ruba nelle terre del padrone e trova in Felix, un primo seguace. Questi muore in un agguato; nei campi è vietato cantare, ma Pedro canta l’amico con la voce dell’anima e diventa il simbolo dell’ansia di libertà di ogni persona oppressa. Nella denuncia delle ingiustizie scende in campo anche il parroco don Rodas (come a dire che i prediletti della chiesa sono i poveri); ma i signori, che muovono i fili del potere, lo allontanano. Dopo un incendio nelle terre di don Josè, il danno ricade sui più poveri, perché il padrone riduce ancora la paga. Pedro tenta di allacciare rapporti con il sindacato di categoria, vi s’iscrive, per essere sostenuto nella causa. Ma i poliziotti, braccio armato dei ricchi, lo picchiano a sangue, senza però spezzarlo “dentro”. Il giovane sospinge la sua gente a lasciare quella terra e cercare un luogo dove essere liberi, ma è arrestato e fucilato; le sue ultime parole sono capitali: « Soltanto se l’uomo rimane solo, non è più uomo»[3]. E la morte di Pedro è il tributo di sangue pagato per aprire la stagione del riconoscimento dei diritti. La chiusa del libro è straordinaria; nella baracca di Pedro si aggira Marco, il figlio di Felix: «Al chiaror della luna aprì il quaderno che un giorno Pedro gli aveva regalato e con un mozzicone di matita cominciò a scrivere. Lentamente, stentatamente. La sua ombra man mano che la luna si spostava, ingigantiva, come se volesse dominare tutto il villaggio. – È il nuovo Pedro – mormorò la gente. E qualcuno afferrò il suo mozzicone di matita, prese un foglio e, al chiaro della luna, prese a scrivere. E Marco, a voce alta, sillabava: Yo…atendo…. Il sergente mentre si allontanava con i soldati e le guardie, borbottò: – Scemi, pensano che con due righe di scrittura impareranno a ragionare… Intanto tu, scriviti il nome di quel ragazzo … bisognerà tenerlo d’occhio. Già. Ma quanti “Pedro” dovranno sacrificarsi perché l’uomo impari a rispettare l’uomo?»[4]. Un romanzo toccante scritto per ragazzi, ma è evidentemente per lettori di ogni età. Il libro contiene un grande anelito di libertà; ed è un atteggiamento concreto contro le ingiustizie. Scrive Giancane: ‹‹Se Orzowei è un primo severo contatto con la realtà dei problemi sociali e psicologici, per cui il razzismo non è più considerato nel binomio uomo bianco-uomo nero ma violenza dell’uomo contro il diverso da sé, La luna nelle baracche rompe gli indugi e affonda il dito nella piaga della sopraffazione, dello sfruttamento, dell’alienazione»[5]. E Manzi continua con il romanzo El loco (1979) il discorso avviato con La luna nelle baracche, mettendo a fuoco i problemi emergenti non solo del Sudamerica, ma anche quelli che provengono da tutte latitudini in cui situazioni di violenza calpestano la dignità dell’uomo. Non è escluso che lo scrittore sia stato sospinto dal vento che cresceva nel secondo dopoguerra, in termini di anelito di umanità, di ventata generale di rivendicazione, di tensione positiva, tesa a conquistare spazi di libertà, col desiderio di ogni uomo di impossessarsi del proprio futuro. Quella di Manzi è una traccia letteraria di un’alba (dopo le macerie della guerra, dopo l’industrializzazione forzata, col mondo diviso in ricchi e poverissimi), che lumeggia in una dimensione di senso e di forte speranza. Oggi, forse, quella vis la guardiamo con nostalgia, perché l’orizzonte esistenziale e ideologico è cambiato e la diffusione dei newmedia ha creato nuove sensibilità, nuove illusioni, sopendo o cassando le precedenti. [1] A. Manzi, Orzowei, Bompiani, Milano 1990, p. 219. [2] Cfr. D. Giancane, Alberto Manzi, il fascino dell’infanzia, Fabbri, Milano 1975. [3] A. Manzi, La luna nelle baracche, Salani, Firenze 1974, p. 147. [4] Ivi, pp.147-148. [5] D. Giancane, Introduzione, in A. Manzi, La luna nelle baracche, cit., p. 7.