Le pupille

Regia: Alice Rohrwacher

Con: Alba Rohrwacher, Valeria Bruni Tedeschi, Melissa Falasconi, Carmen Pommella, Greta Zuccheri Montanari, Luciano Vergaro, Tatiana Lepore.

Italia, 2022. Durata: 37’

 

di Italo Spada

 

C’era anche l’Italia tra le nomination agli Oscar 2023. Si notava poco, ma c’era.

Il titolo? “Le pupille”.

Prodotto da Alfonso Cuaròn (5 volte premio Oscar), diretto da Alice Rohrwacher e distribuito da Disney+, appariva tra le candidature come “migliore cortometraggio”. Etichettiamolo pure come “fiaba”, precisando però che, come tutte le fiabe, è diretto a grandi e piccini, va al di là del periodo storico in cui è ambientato e contiene lezioni di vita.

 

Vigilia di Natale. Un gruppo di bambine orfane ha trovato rifugio presso un istituto di suore e si appresta a realizzare un presepe vivente per festeggiare l’arrivo di Gesù Bambino. Ma siamo in piena Seconda Guerra Mondiale e, in ottemperanza al Dio, Patria e Famiglia predicato dal regime, ogni cittadino ha il dovere di accendere la radio per ascoltare il comunicato stampa e sostenere con il pensiero e con le preghiere le valorose truppe italiane che stanno sacrificando le loro vite. Approfittando della momentanea assenza della suora assistente, una bambina si avvicina alla radio e cambia canale. Le note di una canzone prendono il posto della voce solenne dello speaker: “Ba-ba-baciami piccina… Con la bo-bo-bocca piccolina… Dammi tan-tan-tanti baci in quantità… Ma questi baci a chi li devo dar?” Serietà e tristezza spariscono e le bambine – ad eccezione di Serafina, giudicata portatrice di malocchio ed isolata dal gruppo – si scatenano in canti e balli. Interviene l’inflessibile Madre Superiora e giudica quelle parole in bocca a tenere pupille oltraggio al pudore. Urla “Follia. Irresponsabili, sparite dalla mia vista!” e ordina loro di mettersi in fila, di chiedere perdono a Dio e di tirare fuori la lingua per lavarla ed eliminare il peccato. Serafina si rifiuta. Lei non ha cantato e sulla sua lingua non possono esserci parole “scostumate”. Ingenua. Non sa che si pecca anche con i pensieri; conosce le parole della canzonaccia e tanto basta per essere giudicata “cattiva”.

Natale. È nato, annunciano gli angioletti del presepe vivente. Tra i doni che ricevono dai generosi visitatori c’è anche una zuppa inglese, fatta con 70 uova e regalata da una ricca signora con l’intento di ottenere in cambio preghiere per il suo moroso in guerra. Andrà a completare il lauto pranzo natalizio composto da fettuccine di grano autarchico e da una pera a testa. Le bambine non vedono l’ora di poterla gustare, ma la Madre Superiora ha altri programmi e le invita a fare un fioretto a Gesù, rinunciando alla loro fetta per donarla al vescovo e aiutare i poveri. «Le bambine buone che sono d’accordo – dice – si alzino in piedi.» Nuovo rifiuto di Serafina che, essendo stata definita bambina cattiva, non può fare il fioretto, e nuova reazione isterica della Madre Superiora. Il progetto va in fumo: Serafina ottiene la sua fetta (che farà assaggiare al cane e a tutte le altre bambine), e la torta, utilizzata come compenso in natura per la pulizia della canna fumaria, per una maldestra caduta dello spazzacamino, diventa ghiotto impiastro sul pavimento.

Fine? Forse. E quale sarebbe la morale?

Non stupisce che, in chiusura, le pupille rispondano a questo interrogativo cantando “Le vie del destino sono infinite”. Non hanno l’età per vedere altro; sono gli adulti i veri destinatari di questo cortometraggio e sono loro che, tra le righe della vicenda narrata, devono leggere insegnamenti e messaggi.

 

Leggiamo, allora, più attentamente.

Iniziamo dal titolo che richiama il latino “pupillus” (bambino) e il poetico “occhi di Dio”. È con il loro sguardo che dobbiamo guardare gli altri. Basta litigare per stabilire chi comanda e chi deve ubbidire. Come farlo entrare nella testa degli adulti, considerato che anche Gesù ebbe qualche difficoltà con gli apostoli?  «Chiamò a sé un bambino,  – leggiamo nel vangelo (Matteo 18, 1-5) – lo pose in mezzo a loro e disse: In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli

Su questo argomento la storia dovrebbe essere maestra di vita, ma l’alunno/uomo ha la memoria corta. Notizie e scene di guerra non si sono fermate con i disastri delle due guerre mondiali. Si festeggia il Natale, ci si augura pace e fratellanza, ma in molte parti della terra si continuano a lanciare missili e la torta della fratellanza, invece di sfamare le coscienze, si spappola. Troppo comodo vestirsi di autorità, dare la colpa agli altri e imporre ordine e disciplina, ubbidienza cieca e preghiere. Non è con le punizioni e con i fioretti che si diventa pupille di Dio.

“Quando Alfonso Cuarón mi ha chiesto se volevo realizzare un piccolo film sulle feste di Natale – dice la Rohrwacher – subito si è affacciata alla mia mente l’immagine di una grande torta rossa: la torta era su un tavolo, e tante pupille la guardavano affascinate. Quell’immagine era emersa nella mia memoria da una storiella che avevo letto molti anni prima: si trovava in una lettera che la scrittrice Elsa Morante inviò al suo amico Goffredo Fofi per augurargli Buon Natale. La splendida lettera raccontava le sorti di una zuppa inglese capitata in un collegio religioso durante le festività, tanto tempo prima. Immaginando i destini intrecciati in quel collegio, l’avvicinarsi del Natale nei pensieri e nei gesti delle piccole orfanelle rimaste sole con quattro suore, durante un tempo di carestia e di guerra, è nato il film “Le Pupille”. Un film sui desideri puri e su quelli interessati, sulla libertà e sulla devozione, sull’anarchia che all’interno del rigido collegio può fiorire nella mente di ognuno. Le bambine obbedienti non possono muoversi, ma le loro pupille possono ballare la danza scatenata della libertà.”

È senz’altro eccessivo, prendendo lo spunto dalla stessa epoca in cui sono ambientati, collegare questo cortometraggio al sadismo del riformatorio religioso narrato da Aisling Walsh in Angeli ribelli (2003), ma è difficile non pensare a Gianni Rodari che nella sua “Grammatica della fantasia” denuncia: «Nelle nostre scuole, generalmente parlando, si ride troppo poco. L’idea che l’educazione della mente debba essere una cosa tetra è tra le più difficili da combattere.»

Sarà un caso, ma anche lui, si è divertito a ridicolizzare gli adulti con una “cosa con una corona limpida e azzurra” che appare una mattina nel cielo della borgata romana del Trullo e mette in allarme professori, vigili, poliziotti, pompieri, soldati. Un disco volante? Sono arrivati i marziani? La fine del mondo? Che cosa? Una torta!? Impossibile: in una società che vive di fiele non c’è posto per il dolce! La soluzione dell’enigma e il messaggio pacifista, per Rodari e per la Rohrwacher, sono affidati ai bambini e a un cane: la torta, come nel cinema comico dello slapstick, finisce in faccia a chi incute paure e sensi di colpa.

Se la piccola ribelle Serafina avesse letto Rodari (o visto il film di Lino Del Fra), per ribattere l’isteria di chi le vuole addossare peccati in pensieri, opere e omissioni, avrebbe di certo chiesto in prestito le parole che Paolo, suo coetaneo, indirizza allo scienziato atomico che, avendo fallito la sua missione, vuole “un solo monumento: la tomba”. Direbbe: “Lei è pazza, Madre Superiora, ma pensi, pensi com’è bella la vita e com’è dolce la torta!”

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