Ghiannis Ritsos, Bertold Brecht e un lascito per la poesia in tempi bui

di Anna Rita Merico

 

1971: giunge in Francia, clandestino, il manoscritto di Ghiannis Ritsos Pietre Ripetizioni Sbarre. In Grecia il lavoro poetico di Ghiannis Ritsos era al bando per motivi politici (Regime dei Colonnelli, 1967/1974). In Francia i versi giunsero nelle mani di Louis Aragon (1897/1982) poeta, uno dei massimi esponenti del surrealismo, membro del Partito Comunista Francese.

Aragon non conosceva il Maestro e, suo compito, doveva essere quello di correggere la traduzione dei versi dal greco al francese. Fu durante il lavoro di traduzione che, Louis Aragon, iniziò il proprio percorso di conoscenza di Ghiannis Ritsos (1909/1990):

“…da nessuno ho imparato come da Ritsos, perché lui è tutta la vita di un popolo, e il suo canto, i suoi dolori.”[1]

Inizia, così, la conoscenza dei versi di Ritsos fuori dalla Grecia. I versi cominciano a far parlare di sé in Francia mentre, Ritsos, trascorre anni (in tutto saranno 10) tra carcere, campi di concentramento e arresti domiciliari nella casa di Samo. Fondamentale, in Italia, per la conoscenza di Ghiannis Ritsos, la relazione intellettuale e umana dello stesso con l’esimio grecista Nicola Crocetti.

Pietre Ripetizioni Sbarre sarà pubblicato in Italia da Feltrinelli nell’aprile del 1978. Poesie 1968-1969. Tre sezioni in cui si snodano temi centrali della poetica e delle tematiche su cui Ritsos indagherà lungo l’intero arco della sua esistenza.

Dalla sezione Pietre

“…Il fiume tacque come si fosse svuotato. Faceva notte. Si chiusero le porte.

Solo una donna, senza brocca, rimase fuori, nel giardino, diafana, liquida al chiar di luna, con un fiore nei capelli.”[2]

La dimensione del silenzio rimbomba tra le pietre.

Pietre, colonne spezzate, antichi resti tra cui il vento, le nuvole, l’acqua segnano nuove architetture che sono, innanzitutto, nuove architetture della parola dinanzi alle immobilità di un paesaggio sospeso nel tempo. E’ immobilità e sono realtà che indicano la condizione dell’animo poetante in un momento storico doloroso. Il Maestro guarda la storia. La tratteggia tutta racchiusa tra paesaggi di rovine e dialoghi agli incroci. Negl’incroci, come antico viandante, vede e sente comparire le immagini, metafore in un dialogo di visioni: il cane pelle e ossa, i messaggeri muti, le ombre che si inerpicano sul muro bianco, il suono che emerge dalla finestra della notte, il vecchio portinaio.

Un universo di figure che alludono, come in una Piazza di De Chirico, ad un paesaggio interiore la cui sospesa immobilità ritrae l’attimo preciso in cui il respiro si trattiene nella visione prima che essa emerga e possa essere detta.

Un paesaggio impastato di tempo sospeso e denso da cui il movimento entra ed esce animando il visibile e bagnando l’invisibile di nuova luce: la luce della contemporaneità che dialoga con le origini di se stessa.

“Dove mi porti per di qua? Dove conduce questa strada?

Dimmi.

Non vedo niente. Non è una strada. Soltanto pietre…”[3]

L’intera sezione (Pietre) lascia emergere un potente gioco tra paesaggio inaridito dalla torrida estate mediterranea e le luci di lune che inondano fioriture, partenze, giochi di andirivieni in un corpo poetico che si lascia vedere e toccare come in un fotogramma cinematografico capace di spaziare tra un nostalgico passato e un presente di annichilenti destini comuni.

La dimensione poetica in Ritsos è sempre molto corale. Oggetti, volti, intenti, sprazzi, passi, sguardi riempiono la scena facendone teatro di finzioni capaci di narrare la verità di una crisi fonda della contemporaneità. Una contemporaneità che trascina le tracce di tutte le sue perdite. Oggetti, volti, intenti,sprazzi, passi, sguardi, sfilano sul proscenio di un teatro metafisico impastato dalla torbida fisicità del presente.

Dopo la morte gli eroi subirono numerose metamorfosi

Nell’immaginazione dei sopravvissuti…

Ah, certamente,

molto hanno sofferto i greci, prima e dopo la loro morte…

Adesso gli eroi sono decaduti; son passati di moda. Nessuno più

Li invoca o li menziona. Cerchiamo tutti gli antieroi…[4]

La sezione Ripetizioni si anima attraversando un diverso volto della storia. Una storia riletta dagli occhi del dolore, delle libertà perdute, della nostalgia. Una storia che corre velocemente verso il nulla. Tutto parafrasato alla luce dell’esperienza del Regime, negazione della democrazia, nella terra culla della democrazia.

“…dopo la nostra ultima sconfitta, finite le libere discussioni, finiti anche gli splendori di Pericle, il fiorire delle Arti, i Ginnasi e i Simposi… Ora pesante silenzio nell’Agorà e mestizia, e l’impunità dei Trenta Tiranni.

Tutto (anche ciò che è più nostro) avviene in contumacia, senza la minima

possibilità di un ricorso, d’una difesa o apologia,

d’una sia pur formale protesta. Le nostre carte e i nostri libri al rogo;

l’onore  della patria nel pattume…

E forse un giorno si troverà un nuovo Cimone, guidato in segreto dalla stessa aquila, che scavi fino a scoprire la punta di ferro della nostra lancia

arrugginita, consunta anch’essa e la trasporti solennemente in processione funebre o trionfale, con musiche e corone,

      a Atene”[5]

In Ripetizioni il filo che lega il passato al contemporaneo incalza serrato. Il presente si mostra come campo di rovine in cui gli antichi eroi sono presenti dinanzi alle attuali disfatte e il passato, ancora, palpita nel presente dandogli midollo. Il paesaggio si popola di cippi, fremiti, antenati, viticoltori, cacciatori mitologici e schiere militari pronte all’attacco per raggiungere antichi ed evanescenti splendori. Nel paesaggio vivido le rovine rammemorano e piangono sul presente dinanzi a metamorfosi dell’umano che è metamorfosi di idee e di parole. Incredibile come, all’interno dei versi di Ritsos, il passato ritorni vivido, acceso pronto a rianimare lo sguardo, veloce a dare orientamento, calmo nel tenere ferme le bussole pur se sprofondato nel dolore di quanto perduto.

Procede la schiera dei personaggi e dei significati. Procede l’onda di riflessioni sulle loro azioni che continuano, attraverso la lirica fonda di Ghiannis Ritsos, a parlarci. L’animo poetante del Maestro è in grado di non farci sentire fratture temporali tra gli accadimenti della storia. Scompaiono le epoche e, ciò che viene messo in dialogo, sono l’umanità dei gesti, degli intenti e il loro eterno ritorno carico di significati.

“Quest’estate, sotto la costellazione della Lira restiamo pensierosi

A che pro aver ammaliato col tuo canto Persefone e Ade e aver riavuto Euridice? Tu stesso, diffidando della tua forza, ti voltasti per accertartene, e lei scomparve di nuovo nel regno delle ombre…

Sotto questa costellazione, quest’estate, restiamo pensierosi.”[6]

Il rimbombo del passato gioca come eco per svelare pieghe e intenti del nostro presente sentire. È una poesia che attraversa l’animo richiamando ognuno/a all’essere della propria umanità e del processo di umanizzazione che, solo, la poesia rende e narra. Il Maestro è in grado di abbattere ogni barriera tra l’antico, fondante sapere e il nostro essere di uomini e donne del XXI sec. Ciò che Ritsos ci mostra è l’intento di un gesto. Un gesto capace di tenere comunicanti, per arcaiche sapienze, le nostre origini con l’oggi.

All’interno della sezione Ripetizioni si affastellano i volti: l’indovina Femonòe, Atteone, Artemide, Orfeo, Marpessa, Apollo. Ognuno/a calca la scena delle parole. Ognuno/a imbastito/a nello spazio del proprio quadro. Qui nulla è immobile. Con movimenti rapidi, sfilano i mutamenti. L’occhio vigile di Ritsos riattraversa l’Olimpo mitologico portando le divinità nel dentro dell’animo umano, nutrendo lo spazio di gesti archetipi e di verità lente, racchiuse in pochi essenziali intenti da cui scaturisce ciò che si dona allo sguardo come novella rivelazione.

 “…E quando,

dopo il lavacro delle colonne funebri e i ricchi sacrifici,

alzava

la coppa col vino e versandolo sulle tombe recitava:

“Presento questa coppa agli uomini valentissimi, caduti

per la libertà dei Greci” – un gran fremito pervadeva gli allori tutt’intorno;

il fremito che ancora oggi pervade queste foglie di eucalipto

e questi panni rattoppati, multicolori, appesi al filo del bucato.”[7]

Pietre è l’ossessione cruda del silenzio, dell’immobile, del sospeso. Con le antiche rovine negli occhi e un’immobile pinza nel cuore per trattenere, decifrare, snodare un dolore che è segreto. E’ endecasillabo che decifra le rovine. Dolore che spreme succo d’anima da colonne, peristili, basamenti, resti di drappeggi e ne compone parola nuda capace di attraversare storia, epoche, infinite durate del verso, ticchettio del ritmo. E’ silenzio di antiche pietre, di schegge, di rovine. E’ silenzio di uomini annichiliti dinanzi agli eventi.

Ripetizioni è il Ritorno di antichi passi. E’ l’Ossessione che si dipana. E’ ciò che si sbriciola, sabbie di bianco marmo che si disfa al vento. Marmo che si disfa dinanzi al tempo. Marmo che si disfa dinanzi al potere ottuso che uccide gli intimi di “ciò che fummo”. Marmo che si disfa dinanzi alla nostra umanità sorta dagli scudi, dalle lance, dalle morti sulle piane e dinanzi alle porte, dinanzi alle rocche e dentro le stanze. L’Ossessione ci rallenta il ritmo, ci dona respiro di riflessione, ci consente di legare i fili tra storia individuale  e storia di tutti. E’ un verso ma è un popolo che si aggira attonito, incredulo aggrappandosi alle seriche sostanze di un inizio che il Maestro interroga e mostra come nerbo di identità ancora pulsante.

Sbarre è il luogo in cui Ritsos si lega al passato come fosse indumento sdrucito appeso alle sbarre. Indumento che svolazza al vento raccontando preghiera d’animo lacerato. Sbarre per raccontare l’origine di un andare, comunque, speranzoso.

Sbarre per dire dove siamo, nudi e inetti dinanzi alla libertà.

Anche Bertold Brecht, durante l’esilio danese, in A coloro che verranno (1939), ci chiese indulgenza e rispetto per vicende umane ed intellettuali all’interno delle quali i tempi bui mettono a dura prova il limite e le possibilità stesse del pensiero.

“…Voi che sarete emersi dai gorghi

dove fummo travolti

pensate

quando parlate delle nostre

debolezze

anche ai tempi bui

cui voi siete scampati…

 pensate a noi con indulgenza.”[8]

Ciò che questi Pensatori ci rammemorano è che, nonostante le tragedie storiche del XX sec., la Poesia è in grado di volgersi molto oltre il presente. La Poesia sventra le ragioni della storia e si lancia verso il futuro chiedendo, con afflato tutto umano, una Comprensione che sia in grado di percepire la forza possente dell’anelito. E’ anelito stretto negli occhi dinanzi alla bufera dei Regimi. Sono state tempeste in cui la Parola ha navigato indicando la sostanza della resitenza: la Resistenza dell’animo umano nonostante il silenzio imposto, nonostante la tortura, nonostante l’abisso del buio, nonostante il filo spinato.

Poetare le Sbarre, questa l’Opera del Maestro nella terza sezione. Poetare le sbarre per invocare fili in grado di traghettare nel dopo. Poetare le sbarre per architettare un realismo che è invisibile alla realtà perchè discorre con un’altra realtà. La realtà tenace dell’invisibile. Ritsos ci parla di quella invisibilità che sostanzia un altro piano della realtà, la realtà dell’essere. Poetare le Sbarre per dire che il Progetto di un’umanità viva e situata nel dentro delle sue radici, non muore, nonostante tutto, perché ciò che muore è solo l’oblio: la Parola rende vivo il sentire e lo traghetta alle generazioni future.

Non ci sentiamo affatto

inferiori, non abbassiamo gli occhi. Nostre uniche pergamene

tre parole: Makrònissos, Ghiaros, Leros. E se maldestri

dovessero sembrarvi un giorno i nostri versi, ricordate solo che

furono scritti

sotto il naso delle guardie, la baionetta puntata sempre alle costole.”[9]

Nominato nove volte candidato al Nobel per la Letteratura, a Ghiannis Ritsos fu assegnato il Premio Lenin per la Pace nel 1975/6. La funzione politica della poesia nel ‘900 dei tempi bui è tutta intrigata in questo progetto: alzarsi sul presente e lanciare, attraverso la Parola, cuore palpitante a chi sarà.

Lascito

Disse: Credo nella poesia, nell’amore, nella morte,

perciò credo nell’immortalità. Scrivo un verso,

scrivo il mondo; esisto; esiste il mondo.

Dall’estremità del mio mignolo scorre un fiume.

Il cielo è sette volte azzurro. Questa purezza

è di nuovo la prima verità, il mio ultimo desiderio.[10]

 

 

 

[1] Ghiannis Ritsos: Pietre Ripetizioni Sbarre. Poesie 1968/1969, Feltrinelli 1978, introduzione Louis Aragon, p. 7

[2] Ivi, p. 13

[3] Ivi, p. 16

[4] Ivi, p. 38

[5] Ivi, pp. 38-39

[6] Ivi pp. 76-77

[7] Ivi, p. 41

[8] Bertold Brecht, A coloro che verranno

[9] Ivi, p. 9

[10] Ivi, p. 100

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