Come fiore del deserto – Viaggio tra Cinema e Poesia di Sonia Vivona, Luigi Pellegrini Editore, 2020

di Anna Rita Merico

 

“Progetto Penelope”, un Laboratorio Artistico Creativo ideato e realizzato da Ombretta Ciapini all’interno delle attività della Scuola di Cosenza per Counselor in Antropologia Personalistica Esistenziale. Come le scuole impegnate in questa impostazione di lavoro, è scuola che segue gli insegnamenti del Maestro Antonio Mercurio. Ciò che si apprende e di cui Ombretta Ciapini (IPAE Cosenza) parla nella prefazione di questa silloge, è la capacità di trasformare il dolore in bellezza. Entrare nel cuore dell’esistenza gestendone passaggi, evoluzioni dall’interno di consapevolezze nuove e differenti. Una delle pratiche di lavoro in A.P.E. è il cinema visto attraverso chiavi di lettura che non hanno radice nella critica cinematografica ma nel taglio che si origina guardando cinema a partire dalle vicende esistenziali di cui la trama dice. Indimenticabile la pratica e la lettura delle Locandine come traccia di esplorazione dell’opera cinematografica.

Sonia Vivona accarezza con i suoi versi questa esperienza vissuta e appunta, accanto ad ogni film visto nel corso della rassegna di Cosenza, le parole dei suoi occhi e del suo sentire per allargare l’angolo prospettico del film e dei suoi significati. I film proposti: Fiore del deserto (Sherry Hormann, 2009), Julieta (Pedro Almodovar, 2016), Viola di mare (Donatella Maiorca, 2009), Iron road (David Wu, 2008), Padri e figlie (Gabriele Muccino, 2015), Sotto il sole della Toscana (Audrey Wells, 2004), Dove eravamo rimasti? (Jonathan Demme, 2015), Calendar Girls (Nigel Cole, 2003), Amiche da morire (Giorgia Farina, 2013), Shakespeare in love (John Madden 1998), La moglie del sarto (Massimo Scaglione, 2014). Ad ogni film corrisponde uno o più scritti di Sonia Vivona la quale, a partire dalle proprie sollecitazioni legate alla visione del film, esprime in versi il proprio sentire.

Il piano delle immedesimazioni porta i versi di Sonia a de-individualizzare il proprio io poetico e a trasmutarlo in elementi della natura intenti a lottare per guadagnare vita e libertà pur tra intemperie, carsicità e desertificazione di paesaggi in cui vivere.

“Ho dissodato/ l’arida terra/ a mani nude/ amandola/ come la figlia mai nata/ del mio ventre./ Ho gioito/ dei suoi frutti generosi,/ stretti/ anche in altre mani./ E non saprei vivere/ in altro modo:/ vedo bacche succose/ e fiori/ tra spine d’irti rovi”[1].

Attraversiamo la Vita, afferma Sonia, da precari. Oscilliamo tra ombra e luce, illusione e realtà, dubbi e certezze, vertigini e abissi, presente e attesa, sonno e veglia corteggiando i segni dell’anima che emergono tra increspature e passi di Vita.

Le fragilità dell’esistenza sono messe a nudo dall’Autrice che mostra ogni passo ed ogni sosta dell’andare girovagando intorno ad immagini di film che sollecitano il dir-si, l’immedesimazione, il gioco delle visioni, la ricerca dell’uscita dalle Parole verso la costruzione di orizzonti altri. Dinanzi a ciò, Sonia Vivona rimesta nell’espressione poetica per lasciare emergere seduzioni, allusioni, metafore che Lei, sapientemente, trasforma in “Parole che feriscono/ Parole che tradiscono/ Parole non dette./ Parole che contaminano./ Parole orfane di sogni/ Parole come pietre…”[2].

In Sonia ogni parola è un cesello di contenuti capace di narrare il valore e il lavoro esistenziale da cui emergono limpide e diamantine, irrorate dal lucore della ricerca agita all’interno delle proprie origini e della propria elaborazione identitaria. Sonia Vivona mostra un verso leggero che salta da un tassello all’altro del proprio puzzle esistenziale.

“È un subbuglio che mi tiene sveglia/ E mi chiedo:/ cos’è?/ Materia viva per la poesia.”[3]

In questi versi la cifra della poetica di Sonia Vivona: una poesia, un andare in versi che nasce dallo stare dentro le radici dell’esistenza, dentro gli scacchi e le uscite dai Bui emotivi e di rappresentazione della realtà. Una poesia che, come pennino di sismografo, registra gli andirivieni dell’evoluzione individuale, la necessità di ripercorrere la Decisione del “sì” alla Vita. Il verso di Sonia ci accompagna verso ciò che scontato non è nella fondazione della nostra umanizzazione, del nostro stare al mondo. La conquista del cuore come parte di sé da aprire per respirare la conquista di uno sguardo che narra la meraviglia di un vedere maggiormente integro e capace di spaziare negli orizzonti dell’umano divenire.

I versi dell’Autrice narrano le memorie delle ferite, le fragilità di un’umanità che si palesa attraverso il volto di persone care e vicine che mostrano l’universalità della condizione umana. Sono versi che partendo dalla particolarità indicano la possibilità di trascendersi, di invadere lo spazio della trasformazione e le stanze dei desideri, degli affidamenti, della tessitura di libertà. Durante il viatico la solitudine, come sostiene Sonia, è rumorosa, ha contorni instabili e intensi profumi.

La Terra ha un ruolo centrale nella silloge in oggetto. È Terra verso cui andare. È Terra che accoglie. È Terra che accoglie. È terra antica che forgia. È Terra come fecondo grembo e ritorno all’utero nella ricerca di nuova nascita: nascita non più biologica ma parto di sé a sé. È parto e rifondazione che lega cielo e terra all’interno di una visione che collega il profondo all’immensità. Leggeri i versi di Sonia nel legare l’acrobazia di questa Visione percettiva attraversata da un sentire sonoro che scorre sacro al di là di ogni resistenza, al di là di ogni cicatrice dell’anima perché colma di ogni linfa. Il cercare la Terra come elaborazione di ricerca del luogo primigenio in cui e da cui dire appartenenza ed asse di centratura con il Cosmo.

Dall’intero lavoro in versi, inframezzato da pagine in prosa che rendono conto del percorso fatto, emerge una dimensione di forte armonia tra le parti, tra le fasi. È ricucitura a posteriori che può consentirsi il lusso di una mutata e maggiormente piena consapevolezza di sé. Il verso ne risente positivamente e dona il senso di un viaggio nelle interiorità dell’anima che l’Autrice esplora con coraggio e desiderio di emersione dal caos e terre da fecondare.

La silloge è un gesto di riconoscimento e gratitudine ai Maestri che hanno guidato i percorsi di attraversamento e conoscenza di sé. È un testo nato in contesto di coralità e di ricerca e, di ciò, si avvantaggia un versificare fluido e attento che ammalia il lettore trasportandolo in un viaggio che è viaggio di ognuno, di ognuna nella Bellezza da conquistare e di cui nutrirsi. Non vi sono parole possibili altre per dire di ciò se non le parole della Creatività e, Sonia Vivona, agisce ciò con garbo attraverso la misura della Poesia in una silloge dai molteplici significati esistenziali.

 

 

 

 

 

[1] Sonia Vivona, Come fiore del deserto, Luigi Pellegrini Editore 2020, p. 23.

[2] Ivi, pp. 40-41.

[3] Ivi, pp. 42-43

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