Gesti lievi – L’amore, se te ne accorgi di David La Mantia, Il Leggio Libreria Editrice, 2022

di Sandro Marano

 

«David è il poeta dell’analisi lucida e accorata del tempo in cui siamo accaduti», scrive Gabriela Fantato nella prefazione a questo bel volume di versi di David La Mantia intitolato Gesti lievi con sottotitolo L’amore, se te ne accorgi  (Il Leggio Libreria Editrice, pp. 120). E al mondo, alla quotidianità in cui vive, il poeta non solo non è estraneo, ma cerca soprattutto di descrivere e raccomandare con leggerezza quei gesti, quegli atteggiamenti, quei comportamenti che al mondo e alla quotidianità ci legano nella speranza di migliorarli. Come  possiamo leggere in questa poesia:

«Cambiare l’acqua ai fiori, pulire  

il vaso, riconoscersi,

riprodursi, la bellezza  

di chiamarsi nel giardino, cercarlo  

se non ci appartiene, recuperare

quello che avevamo dimenticato,  

in pratica la vita. Senza correre,  

con il passo degli amanti

che cercano la bocca

prima della luce».

Il titolo del volume, a ben vedere, riassume una poetica, che, come dichiara lo stesso La Mantia rispondendo ad alcune domande sulla poesia e sul suo modo di fare poesia nell’intervista posta in appendice al volume, consiste nella «necessità di nutrire la poesia della vita, specie la più banale e qualunque». E in uno dei pensieri che intervallano qua e là le composizioni poetiche puntualizza: «Oggi più che mai, mentre infuria la bufera, è giusto chiedersi se la poesia possa avere ancora senso. Io ne sono convinto. Ma solo a patto di (…) truccarsi appena, di essere semplice nell’abito e nei gesti, piangersi poco addosso, essere cordiale ed insieme insolente».

L’uso sapiente nella composizione degli endecasillabi e dei decasillabi e, con minor frequenza, dell’ottonario, del settenario, dell’alessandrino; la semplicità lessicale, che non esclude però l’allegoria; una versificazione colloquiale, che adopera con parsimonia l’aggettivo; il tono generale, ora epigrammatico ora didascalico; la brevità delle composizioni, che di rado superano i quindici versi; tutti questi elementi contribuiscono ad una resa poetica musicale e classicheggiante:

«Essere felice non è andare

per mare e non incontrare tempeste,

pirati, venti feroci, sirene.

Ma pensare già alla partenza

a cercare ripari, a trovare

legni per le capanne, le lettighe,

acqua di mare per le ferite,

parole per essere giusti, sempre».

Nelle sue poesie, che non hanno titolo e sono suddivise in tre sezioni (L’amore, se te accorgi, Finestre, Esempi per dopodomani), compaiono con pari dignità, quasi in un’ansia di abbracciare tutto il reale, tutto ciò che ci circonda senza nulla tralasciare, «le ombre stanche delle magnolie» e l’albero di Giuda, «i padri ripudiati per troppo lavoro» e «le ragazze fresche di diploma che firmano per non avere figli», l’ortica e le mosche, «il tratto a lapis e insieme la gomma», «le intolleranze alimentari» del poeta (che non conosciamo) e «le intolleranze parlamentari» (di cui soffriamo anche noi), «i gatti feroci» e «la nonna che si brucia col ferro», le madri e le figlie, gli scrittori e i poeti.

Un sentimento d’amore per le piccole cose, per i gesti lievi, per la poesia e per la vita che ci tocca vivere, una sorta di amor fati di sapore nietzschiano traspare dai suoi versi:

«Se la vita racconta poche cose,

gesti lievi e ingiuste verità,

non darle la colpa, non condannare

nemmeno le tue piccole mani.

A nessuno è dato scegliere

quali tempeste affrontare,

che cosa i raggi del sole

mostrino davvero, quali speranze

la luna renda opache,

irriconoscibili. Là, nel mezzo

ai punti estremi, la tua fatica,

talora il dolore, l’amore

se te ne accorgi».

Da buon toscano è pure presente in La Mantia l’ironia e l’autoironia. Prova ne sia lo stesso sottotitolo “L’amore, se te ne accorgi” e quel che scrive nei ringraziamenti finali, che si avrebbe torto a saltare e che includono, oltre a tante persone da lui conosciute o con cui ha familiarizzato, anche, ad esempio, il gatto selvaggio Morgan, il suo cane impazzito, le tartarughe disperse,  quel mondo che sembrò durare per sempre ed è finito, le amiche che gli vogliono bene chissà perché, quelli che scherzano, i no della vita che lo hanno piegato e lo piegano ogni giorno come tanti. E, non ultimo, il coraggio di essere se stessi.

In una sua composizione La Mantia invita il lettore a cestinare i suoi versi: «I miei li puoi buttare e dimenticare, / bruciare alla luna  e seminare / nei prati». Da parte nostra ci guarderemo bene dal seguire questo suo scanzonato consiglio.

 

 

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