Il tempo che resta di Pietro Santagada, Campi di Carta, 2023

di Claudia Zuccarini

 

Pietro Santagada non è nuovo alla scrittura e questa pregevole silloge, edita da Campi di Carta, è la sua quarta pubblicazione di poesie. Avevo già apprezzato le precedenti raccolte e Il tempo che resta riflette sempre più il vissuto esperienziale dell’autore, da un punto di vista contenutistico, emotivo ed anche stilistico. Il timbro intimista ritorna prepotente, affiancato da liriche di più ampio respiro sulla realtà dei nostri tempi. Ogni sezione riporta il numero e il giorno settimanale cui è rivolta, contenendo appunto temi di vario genere – la guerra, la violenza domestica, le morti precoci, la pandemia in corso, la malinconia, l’amore, i ricordi – temi che stimolano o bombardano le giornate di tutti noi e che ci portano a immergerci nei diversificati componimenti. La dimestichezza con le sceneggiature cinematografiche, nelle quali Santagada si è cimentato e si cimenta, lo portano a costruire versi che appaiono come inquadrature in penombra e in questo caso uscite da un dormiveglia che ovatta i contorni della realtà, amplificando le sensazioni e dilatandole.
Questo amalgama ben dosato di suggestioni, nelle quali il lettore viene trascinato, è costruito con metafore e accostamenti linguistici particolari e ricercati, pur senza apparire pretenziosi.
La punteggiatura molto sobria rende incalzante la lettura, dando rilievo al culmine di alcune immagini che mi ricordano i film di Luchino Visconti.
La copertina ben curata è il frutto di una cura ed un’attenzione ai dettagli che ormai caratterizzano la veste grafica di Campi di Carta.
Il tempo che resta si preannuncia come un flusso continuo di pensieri ed una tappa che prelude ad ulteriori scritture.
Non resta che leggere questo tempo sospeso donatoci da Santagada.

A piedi scalzi

Ho perduto l’asino e la capra
Il mio albero e la mia casetta
Il foulard rosso occidentale di mia madre
e il berretto yankee di mio padre
I miei album e i miei quaderni bruciano
nonostante il bravissimo ricevuto dal maestro
Fuggiamo a piedi scalzi
la grande crudele luce rossa
ci corre dietro e ci vuole ingoiare
Siamo uccelli spaventati che migrano
senza trovare alberi su cui posarsi e nidificare
Stanchi e silenti
dormiamo ad occhi aperti
sotto un cielo nemico
Il sangue nelle piaghe dei piedi
è umiliato

 

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