COSIMO LAMANNA

È nato a Napoli nel 1970, vive a Roma dal 2000, dopo venticinque anni trascorsi a Bari. Laureato in Giurisprudenza, lavora nel settore dei servizi per le Risorse Umane. Ha pubblicato: “La stanza accanto” (Controluna- Il Seme Bianco, 2018); “Inchiostro per il prossimo inverno” (Controluna – Il Seme Bianco, 2019); “Canzoni controfuoco – Lettere dalla primavera”; “Il diamante e la grafite” (Tabula fati, 2022). È presente nelle raccolte collettive di poesie per l’Ambiente: “L’Isola di Gary” (Opera Indomita 2021) e “L’isola di Gary – Paesaggi di guerra e di pace” (Opera Indomita, 2022), a cura di Maria Pia Latorre.

 

Appunti di viaggio per un figlio

(di Cosimo Lamanna)

 

Vestiti sempre 

Col tuo sorriso nuovo 

Quello che a me sta stretto 

E che non so indossare 

E scarpe adatte 

Al fondo scivoloso 

Al fango 

Al tempo impervio 

Ed alla solitudine.

 

Porta sempre via con te 

Parole buone 

Per chi sarà al tuo fianco

Metti via i miei spigoli 

E non credere al rancore 

Che alcuni al mondo 

Proveranno a venderti.

Fa’ sempre il primo passo

E fidati

Di tutto il bello 

Che ognuno porta in sé

Ma poi nasconde 

Ecco, tienine conto e cercalo 

E fai di tutto perché possa

Ovunque, splendere.

 

*

 

Travel Notes To a Son

 

Always wear

your greenest smile

the one too tight for me

the one I never don

and shoes fit

for mud

for slippery roads

impervious weather

and for solitude.

 

Always carry

words kind and tender

for who will walk beside you 

stock away my grouchy edge

and don’t believe the hatred

that in the world some

will try to sell you.

Always take the first step

and trust 

the beauty

that everyone contains

and then they hide.

Here, keep it in mind and search for it

and do your best so that everywhere 

it shines.

 

Un vademecum educativo-valoriale con il quale Lamanna esprime l’amore filiale (ma che per estensione può essere l’amore per il genere umano); sicchè spera per il proprio figlio che non perda il sorriso, che non perda le parole buone, che non perda il senso della bellezza.

Versi che ammaestrano (ricordano le ‘Georgiche’ di Virgilio), estendibili a tutti gli uomini senza limite d’età, per opporsi alla veloce e disancorante modernità.

(Cosimo Rodia)

 

Mario Luzi (1914-2005)

 

La sera non è più la tua canzone,
è questa roccia d’ombra traforata
dai lumi e dalle voci senza fine,
la quiete d’una cosa già pensata.

Ah questa luce viva e chiara viene
solo da te, sei tu così vicina
al vero d’una cosa sconosciuta,
per nome hai una parola e s’è perduta.

Caduto è più che un segno della vita,
riposi, dal viaggio sei tornata
dentro di te, sei scesa in questa pura
sostanza così tua, così romita
nel silenzio dell’essere, compiuta.
L’aria tace ed il tempo dietro a te
si leva come un’arida montagna

dove vaga il tuo spirito e si perde,
un vento raro scivola e ristagna.

A suo modo, figlio e, al tempo stesso, padre dell’ermetismo italiano, Mario Luzi, impregna la sua poesia di inquietudine e malinconia. I suoi versi sempre intrisi di una modernità fatta di immagini e di sonorità mai scontate. In “La sera non è più la tua canzone” si cantano piccoli frammenti di esistenza in cui il tempo diventa elemento non afferrabile, paradigma e simbolo della fragilità umana. Tutta la lirica denota un ineludibile senso di smarrimento in cui la speranza pare cedere all’impossibilità di ricomporre una qualsiasi armonia.

Un perpetuo oscillare tra paesaggi cupi e remoti ed angoli di vita quotidiana.

(Cosimo Lamanna)

 

 

ANNA RITA MERICO

È nata a Nola (Na) e risiede in Salento. Ha pubblicato: “Era un raggio…entrò da Est” (2020, Musicaos ed.); “Fenomenologia del silenzio” (Musicaos ed. 2022). Scrive su “Interzona news”; è presente su blog e riviste online/cartacee.

 

Nome

(di Anna Rita Merico)

 

<Cos’è quell’osso appeso alla porta?>

<L’ho preso sul sentiero>

<Tibia, omero, perone?>

<Non so. Emergeva dal permafrost della notte              uncino attaccato al dente di un’imprecazione

Pulsazione rosa d’insonnia                  trafittura di molle                nerbo di radice

Insensatezza di fremito                     guaito di volontà>

<Posso prenderlo?

mi serve per attraversare questa terra di nessuno

nuovo incantesimo di viaggio visionario

onda altra d’alterazione che crea.

Dammi quell’osso

che possa governare

il mio volto sfigurato dal gelo

la ripugnanza che fa fuggire da me l’umano

l’immensità della mia resistenza.

Il mio occhio vaga tra l’alto del volo e il basso dell’abnorme

Nani e Titani

fuori dalla misura

dentro l’iniziazione.

Dammi quell’osso

è l’osso servito a Kaspar      angelo caduto

è l’osso che nessuno ha mai visto

è l’osso dentro cui hai suonato l’ultima nota del lieder su cui    poi          hai riso

è l’osso su cui inciderò il mio nome

dopo averlo trovato>

 

*

Name

 

<What is that bone hanging on the door? >

<I caught it on the path>

<Tibia, humerus, fibula? >

I don’t know. It emerged from the permafrost of the night     a hook tied

to the tooth of an imprecation

Pink pulsation of insomnia          piercing of softness              backbone of a root

Nonsense of a tremor                       yelp of will>

<Can I take it?

I need it to cross this no man’s land

A new spell for visionary journey

Another wave of the alteration it creates.

Give me that bone

so it can rule

my face disfigured by frost

the repugnance that makes the human flee from me

the immensity of my resistance.

My eye wanders between the height of the flight and the low of the abnormal

Dwarves and Titans

outside the measure

inside the initiation.

Give me that bone

it is the bone Kaspar used                         fallen angel

it is the bone no one has ever seen

it is the bone with which you played the last note of a lieder at which                             you then

laughed

it is the bone on which I will carve my name

after having found it>

(Traduzione di Emanuela Chiriacò; Revisione di Rishi Dastidar)

 

Una poesia oscura, dai richiami e dalle associazioni personali. I versi iniziano con un’allegoria o con una sineddoche: l’osso come resti dei desideri, ovvero ciò che rimane di una persona; l’osso come un segno tangibile di un passaggio, di una tragedia, di incompiutezza (visti i ‘guaiti’). Un segno del passato che convalida una identità=radice che potrebbe aiutare ciò che ripugna, ovvero lo stare in mezzo tra la bestia e il superuomo.

Forse quell’essenza (o quell’osso) è servito a Kaspar a superare la cacciata dal Paradiso.

Versi drammatici ed esistenziali, di una poesia come ricerca.

(Cosimo Rodia)

 

Jouni Inkalam (1966)

 

Dolore fantasma

E se il mal di schiena fosse il dolore fantasma della coda

che un tempo avevamo? Il dolore del collo quello del carapace?

Le spalle dolenti per le ali

soprattutto dopo aver scritto a lungo?

E se i nostri capelli, i nostri peli discendessero

dalle piume e se i nostri zoccoli

si fossero appiattiti sotto il nostro peso diventando piedi?

E se le orecchie derivassero dalle pornografiche cavità rosse

delle branchie? È possibile allora che il nostro passato

sia stato tracciato da ossa di pesce? Che scivoliamo

senza accorgercene verso un tempo supplementare? Le onde e il pacifismo

degli oceani contemporanei. Poiché non possiamo sapere

quali venti alimentino ancora le basse pressioni.

Chi può dire perché possiamo passare da due

piedi ad uno, perché i nostri muscoli gluteali

crescono unendo le cavità del ginocchio e perché viviamo

per vedere il giorno in cui le madri sono gusci d’uovo

dentro i quali i figli nascono e crescono, finchè

si chiudono nella maggiore età ridecretata.

(da All’equinozio d’autunno, ed. Il ponte del sale, 2017)

 

La potenza del monologare nelle terre estreme del Nord assume toni, colori che sono geneticamente diversi dagli azzurri accesi dell’Egeo. Tonalità dell’anima per tonalità della parola. Qui, a Nord, la parola ci calamita il tra sé e sé di nordici incanti. È luogo di trasparenza dell’essere. È pensiero d’intrecci senza quasi presenza umana. È affondo acuto, a tratti snervante, con l’assoluto d’ogni essenza.

È tutt’uno con l’arcaico della forma acquatica che torna per compiere ciclo di vita. È slabbramento del tempo che misura tempo. È diverso il tempo della visione e della evoluzione. Il fondo del gelo detta richiamo acuto e nota scura accesa. È lama di sogno che invade la realtà ridisegnandone contorno. È interrogazione d’origine, ancora, in una latitudine che, misteriosamente, ci intriga. Dall’intera Penisola Scandinava ci giungono le molteplici voci sull’origine, sul mito che c’impongono silenzio d’ascolto e movimento lento in un verso che ritma la propria differenza. Jouni Inkala ci indica l’universalità della poesia finnica, la ricchezza delle sue proto immagini, lo sfolgorante delle sue odierne innovazioni. È un rapporto con il Sacro ed il Luogo che ci affonda dentro interrogandoci e tenendoci in un contatto colmo di orizzonti con la poesia dell’intero globo. Mi affascina stare dentro mondi minuti, diamantini in grado di colloquiare con il mondo tutto. Jouni Inkala, finissimo pensatore e poeta, sa donare ciò.

(Anna Rita Merico)

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