Giovinazzo (Ba). 9 luglio 2023. Cinque poeti in rappresentanza di “Interzona news” alla “Notte Bianca della Poesia” Il 9 luglio 2023 a Giovinazzo (Ba), in una delle due serate della “Notte Bianca della Poesia” organizzata dall’Accademia delle Culture e dei Pensieri del Mediterraneo (Ba), con l’inappuntabile regia di Nicola De Matteo, Gianni Antonio Palumbo, Vito Davoli, nella cui manifestazione sono stati coinvolti circa duecentocinquanta scrittori, con ospiti d’eccezione come Magrelli, Oldani, De Angelis, Curci, “INTERZONA NEWS” ha partecipato con Anna Cellaro, Barbara Gortan, Leo Luceri, Anna Rita Merico, Cosimo Rodia (tempo messo a disposizione 25 minuti). Di seguito, le liriche dei cinque partecipanti. ANNA CELLARO vive e risiede a Laterza (Ta); è avvocato iscritta presso l’Ordine degli avvocati di Taranto. Suo nonno paterno Oronzo, al fianco del Paletnologo prof. Biancofiore, le ha trasmesso la passione per il suo territorio che non manca di evocare nei suoi scritti. Ha affinato la sua scrittura poetica seguendo i laboratori del prof. Daniele Giancane. Ha pubblicato la silloge Il salice del borgo antico nel 2023; Haiku-ra nel 2023; inoltre, è presente in antologie di poeti contemporanei e in periodici culturali.
1
Sarà l’alba, una luce,
uno spiraglio accostato
tra due istanti
allargare l’ampiezza
passare a lungo dal buio
L’aria nera lascia
sui muri delle case
l’alito dei dispersi.
La luna è murata.
Abbi pietà per ogni creatura che
avanza un passo nel deserto, nel
peso nero.
Dal terrazzo, dal soffio urtano
si aprirà un rifugio di calore
Ma noi vediamo da lassù dei tetti
più alti.
Versi oscuri che rappresentano una connotazione di dolore (‘il buio’) oltre il quale e dopo il quale si spera ci sia lo spazio di luce (‘sarà l’alba’) e se questo spiraglio sarà proprio luce, la speranza è che si allarghi per dare calore umano.
(Cosimo Rodia)
2
Sopra il pianto che rigava i vetri, si ascoltava la voce aperta del vento.
Deciso scuoteva le finestre,
cercava di portarle via e liberarmi
ma nel cielo salivano solo le foglie.
Dalla fessura della porta di casa passava suonando un disegno di chiave.
Si alzava una musica che si univa alla coda del vento.
Tetti a punta per chiamarlo
e dopo un colpo, da una piccola apertura, un rapido apparire del lampo.
Sull’albero una costellazione di pigne, aveva l’idea del divino.
Dietro la finestra sul davanzale
I fiori stretti nell’acqua
aspettano la primavera.
Versi dall’andamento prosastico di un’anima che anela la libertà, col vento in funzione liberatrice. Troviamo un dentro, al di qua della finestra, e in forma dialettica, un fuori e sempre in sintesi allegorica un inverno 3 la primavera attesa, con la seconda a rappresentare l’esplosione dei desideri vitali.
(Cosimo Rodia)
LEO LUCERI È nato nel 1961 a Martano (Lecce); laureato in Lingue e Letterature Straniere, ha conseguito il dottorato di ricerca in Teoria della Letteratura e Letteratura Comparata presso l’Universidad Autónoma di Madrid. Ha svolto attività come lettore di italiano in diverse università straniere (Quito, Madrid, Bratislava) ed è stato docente di ruolo di Lingua francese negli istituti di istruzione superiore in Italia. Ha pubblicato interventi critici sull’opera di Vittorio Bodini, ed il libro di poesie “Catumerea – versi multilingui a sud del sud” (Musicaos Editore, 2022).
1.
A sud del sud
A sud del sud
i meriggi in sosta
teatri dell’esistenza
non finiscono mai
appesi ad orologi
nel sottoscala della mente
imploriamo il tempo
immaginiamo ricordi
di vite di passaggio
nostalgie prese in prestito
da futuri altrui
A sud del sud
il mare è d’albe o di tramonti
cos’altro concede questa pianura?
non puoi permetterti la scelta
o forse sei solo pigro
l’Albania è un altrove da terrazza
domestico orizzonte mancato
un diverso vuoto nel petto
mentre naufraghi i giorni
è il fazzoletto annodato
a ricordarti che la vita non è questa
A sud del sud
la storia inventata
fintamente conosciuta
di questa terra incognita
illusoria penisola
non ha più non ha ancora
giorni memorabili
in assenza di turchi
né sole né mare né vento
dal vizio dell’apparenza
ridotti a parole in svendita
A sud del sud
il plateresco dell’anima
ha preso il sopravvento
ti lascia emozioni scolpite
messe al sole in bella vista
e mancanze più profonde
nascoste nella pietra cesellata
presto t’insegnarono il pudore
per sottrazione interna
e festoni e ghirlande e putti
a decorare le facciate.
Una poesia sangue, in cui il Sud ha i caratteri della canicola, delle attese, delle nostalgie, dei riccioli leccesi. Sud dalla terra amara che non concede futuro, ma in questo patimento (dai sapori bodiniani) troviamo immagini formidabili: La vita non è questa sofferenza e mentre cerchiamo in questi meandri ce lo ricorda il nodo del fazzoletto, una vecchia tradizione contadina per ricordarsi un impegno…
(Cosimo Rodia)
- (una poesia in griko)
| fteo evò fteo evò vàstone ‘in ciofali addhù ja tuo kai forà jurizo apotis ìmone pedì m’èrcera cheria vastò manechà na su doko loja afs’ajera ertomena apù kammìa tripi tu cerù loja ti en sozi kusi pu menun’ stennù klimmena adìnata ma gualune pràmata ghineke pu zìune m’ena kuvari maddhì sti’ punga c’ena kristèmu ames sta dontia àntropi pu pìnnune krasì me t’asciai cinurio ce to mai ris sto sfóndilo ppuntao pedàcia pu ‘en noùne ce kulusonta ‘on ijo petùn’ cirtea sto punento kampane pu ndalune panu ste zoemma ja na min chasume c’evò e’ citto’ topo ‘limonimmeno pu ‘en eftazo na krateso tìpoti | è mia la colpa è mia la colpa avevo la testa altrove per questo ogni volta ritorno a mani vuote dall’infanzia posso darti solo parole d’aria giunte da qualche fessura del tempo parole che non puoi ascoltare che restano nella mente chiuse impotenti ma trasportano immagini donne che vivono con un gomitolo di lana in tasca e un gesummio fra i denti uomini che bevono vino col cappello nuovo in testa e la camicia al collo abbottonata bambini che non capiscono e inseguendo il sole volano verso occidente campane che suonano sulle nostre vite per non farci smarrire ed io in quel luogo dimenticato che non riesco a trattenere nulla |
Abitazione
Giungere all’interno del rischio e abitarlo
1
Scrivevamo con la voce tramandandoci suoni che
narravano le antiche presenze
Scrivevamo con la voce lasciandoci risuonare nel petto il
battito di un tamburo
Scrivevamo con la voce donandoci sguardi acuti come
sibili di gelidi venti
Scrivevamo con la voce modulata dalle sabbie di dune che
si spostavano lente come semi della Terra
Scrivevamo con la voce scrutando i lapislazzuli dei manti stellati
Tra noi alcune possedevanoil dono fondo della voce
Tra noi alcuni possedevano il dono fondo della memoria
Poi
le parole presero ad impastarsi sulle pietre
attonite le guardammo
increduli le scrutammo
ne percepimmo i graffi
Qualcosa s’era staccato da dentro
osservammo quel nudo imbozzolarsi
la sabbia prese a scivolarci tra le dita misurando un altrove
verso cui il lento scavava
Verso sera le pietre erano lì allineate all’orizzonte d’una
piega del palato
Le mani si mostrarono Nuovi gesti forgiarono infuocati il dire
Ne prendemmo grani
Una poesia sapienziale che vuol dar conto del passaggio umano dalla oralità alla scrittura. Un momento di discontinuità (simile alla nascita del web) che per l’autrice è stato violento. Quindi, prima l’uomo padroneggiava con le parole i suoni, le storie, l’ancestralità (‘i tamburi’), la bellezza del cielo…, poi, compare la scrittura con l’uso delle pietre e dell’argilla e da quel momento (con una visione) si è messo intorno a quelle pietre a leggere la nuova storia umana.
(Cosimo Rodia)
2
Nome
<Cos’è quell’osso appeso alla porta?>
<L’ho preso sul sentiero>
<Tibia, omero, perone?>
<Non so. Emergeva dal permafrost della notte
uncino attaccato al dente di un’imprecazione
pulsazione rossa d’insonnia
trafittura di molle
nerbo di radice
insensatezza di fremito
guaìto do volontà>
<Posso prenderlo?
mi serve per attraversare questa terra di nessuno
nuovo incantesimo di viaggio visionario
onda altra d’alterazione che crea.
Dammi quell’osso
che possa governare
il mio volto sfigurato dal gelo
la ripugnanza che fa fuggire da me l’umano
l’immensità della mia resistenza.
Il mio occhio vaga
tra l’alto del volo e il basso dell’abnorme.
Nani e Titani
fuori della misura
dentro l’iniziazione
Dammi quell’osso
è l’osso servito a Kaspar, angelo caduto
è l’osso che nessuno mai ha visto
è l’osso dentro cui hai suonato l’ultima nota del lieder su
cui, poi, hai riso
è l’osso su cui inciderò il mio nome
dopo averlo trovato>
Una poesia oscura, dai richiami e dalle associazioni personali. I versi iniziano con un’allegoria: l’osso come i resti dei desideri, che sono le cose che rimangono di una persona; l’osso come segno tangibile di un passaggio, di una tragedia, di incompiutezze tra fremiti e volontà morenti (i ‘guaiti’). Un segno del passato che convalida una identità=radice che potrebbe aiutare il nuovo viaggio o aiutare a superare ciò che ripugna, ovvero lo stare in mezzo tra la bestia e il superuomo. Forse quell’essenza, o quell’osso è servito a Kaspar a superare la cacciata dal Paradiso. Versi drammatici ed esistenziali.
(Cosimo Rodia)
COSIMO RODIA è studioso di LG e cultore della disciplina presso l’Università del Salento; si interessa contestualmente della poesia e del romanzo del Novecento. Ha all’attivo diverse dozzine di pubblicazioni tra saggi, articoli scientifici, racconti e silloge poetiche. È redattore della rivista scientifica “PAGINE GIOVANI”; ha fondato e dirige portale di letteratura, arte, musica, costume e società: INTERZONA NEWS.
1
Non si scorge
Non si scorge la linea che congiunge
cielo e mare; così sono in questo mare
e in questo cielo ignorando il dove
il quanto e il perché continua
la deriva fatta di fermate
segnate sul calendario
col sogno che forse è
più reale della realtà
e gli affanni solo dei respiri
profondi!
2
Tornerò
Tornerò sulla stessa riva
a osservare il flusso della corrente
e scorgere come il tempo
levighi gli occhi.
Tornerò sulla stessa riva
a riascoltare come la corrente
si confonda con lo scirocco
e non basteranno le lacrime
a tergere le ferite che cambiano
tono con la muta delle stagioni.
Tornerò sulla stessa riva
con connotati edulcorati
calando a sorpresa un tris d’assi!
