La scuola attraverso la cinepresa – Dalla fine all’inizio dell’estate

di Italo Spada

 

Il calendario scolastico dura nove mesi e ha il suo gennaio dopo le vacanze estive. Ad interrompere la monotonia delle lezioni alcune ricorrenze: le vacanze di Natale, la gita scolastica, gli esami, lo scrutinio.

Gli alunni di Zero in condotta (Zéro de conduite) (1933) di Jean Vigo, vivono il loro primo giorno di scuola come se le vacanze non fossero finite: fumano, prendono in giro il sorvegliante, schia­mazzano, organizzano burle. Le loro intemperanze, scoperte dai docenti, sono punite con lo zero in condotta, ma essi non tardano a vendicarsi trasformando una cerimonia ufficiale in una ghiotta occasione di lotta e un nugolo di borghesi altolocati in diverten­ti bersagli umani.

Dopo tre mesi di scuola arriva Natale e si può riparlare di vacan­ze. Ma la parentesi scolastica non è uguale per tutti. Il gruppo di alunni che Carlo Vanzina, in Vacanze in America (1984), porta  a Las Vegas si perde tra banalità e comicità di serie B.

Il giovane Athos, protagonista de L’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale (1975) di Gian Vittorio Baldi, deve fare i conti, invece, con il destino. Per non perdersi il rituale degli auguri in classe, egli sale sulla corriera che dovrebbe portarlo  a scuola, ma siamo nel 1944 e, in Emilia (dove si svolge l’azione), come in molte altre regioni italiane, qualcuno ha perso la testa. Tre fascisti della repubblica di Salò si impossessano del mezzo pubblico  e uccidono senza pietà tutti i passeggeri, compreso l’innocente alunno.

Un’ altra occasione per rompere la monotonia delle lezioni arriva con  la gita scolastica. Oggi, per essere presa in considerazione e rispondere alle attese degli alunni, una gita deve durare diver­si giorni e avere come destinazione una città estera; i ragazzi la vedono, infatti, come un’occasione unica per uscire dall’ambito familiare e per non sottostare al controllo dei genitori, per fare disperare i docenti accompagnatori, per scatenarsi in schiamazzi notturni e scherzi pesanti, per provocare la nascita di nuovi amori. Una volta, invece, ci si allontanava solo per pochi chilo­metri e la gita aveva il sapore di una scampagnata; esistevano già, tuttavia, i presupposti per far gridare allo scandalo e per far riunire il consiglio di disciplina.

In Una gita scolastica (1983) Pupi Avati racconta di un professore e di una professoressa che, nel 1911, accompagnano i loro allievi in una gita sull’Appennino da Bologna a Firenze. Lui (un Carlo Delle Piane per la prima volta protagonista a quarantasette anni) è innamorato di lei, ma la giovane docente fa gli occhi dolci a un allievo ed è con questi che ha un’avventura. Scoppia lo scandalo e qualcuno deve pagare. Il professore prende le difese della collega e si “sacrifica” al suo posto.

Nessuno scandalo, ma solo divertente umorismo, invece, nella surreale gita scolastica organizzata dall’insegnante di Educazione Estetica del film di Jurij Mamin Insalata russa (Salades russes) (1994). Dalla porta-finestra di un appartamento di Pietroburgo, che il docente condivide con un gruppo di compagni operai, si passa direttamente sui tetti di Parigi. L’occasione è buona per evadere dalla Russia di Eltsin: ne approfittano gli operai per ammirare le vetrine stracolme di cibo e il docente per portare in gita i suoi alunni. Ma, come in tutte le commedie, bisogna fare i conti con gli imprevisti; e così in molti finiscono in mezzo ai guai.

Dopo la gita scolastica ci si rituffa nello studio in modo più serio: si intensificano le interrogazioni, ci si prepara per gli esami. Nelle scuole medie superiori, per gli alunni  dell’ultimo anno l’appuntamento più atteso è con gli esami di maturità. Il rituale vuole che l’agitazione contamini l’intera famiglia; in realtà, poi, tutto si sdrammatizza davanti a prove sempre più facili e a commissioni sempre meno esigenti.

In Ecce Bombo (1978) Nanni Moretti ha saputo cogliere con anni di anticipo la comicità del cosiddetto “colloquio orale”.  La tesina del candidato sul poeta sardo vivente che nessuno dei commissari conosce è un pezzo di antologia filmica. C’è, in essa, con la ridicolizzazione della prova d’esame, la presa in giro del docente cattedratico e onnisciente.

Diciassette anni dopo (1995) Daniele Luchetti realizza La scuola e, prendendo lo spunto da tre libri di Domenico Starnone (“Ex cathedra”, “Fuori registro” e “Sottobanco”), affonda i colpi. E’ l’ultimo giorno di scuola in un istituto tecnico della periferia romana: i professori sono riuniti in palestra per lo scrutinio finale e gli alunni attendono il responso.  Seguendo le tappe di

un anno scolastico (dalle lezioni fatte ad una scolaresca annoiata alle ansie  dei docenti durante la compilazione dell’orario, dal collettivo di classe alla gita scolastica), sfila un campionario di macchiette che solo a chi non ha dimestichezza con la scuola può sembrare esagerato e del tutto inventato. Il professore idea­lista che cerca di salvare gli studenti a rischio e il vicepreside burbero che pensa alla carriera, l’alunno esaurito che fa la mosca per i corridoi e quello che si diverte a fare battute stupide e fuori luogo, la giovane professoressa innamorata e quella anziana che si è dimenticata dei suoi impegni, il professore insofferente di tutto e di tutti e la professoressa svampita, anche se non concentrati nello stesso istituto, esistono realmente. Eccome, se esistono!

L’ultimo giorno di scuola si festeggia con incontrollata allegria: fiori alle professoresse e scambi di indirizzi, ma anche libri che volano in aria e urla di liberazione.

In La vita è un sogno (Dazed and Confused) (1993) di Richard Link­late, tuttavia, si assiste a qualcosa che va oltre la normalità. Calderòn de la Barca – con buona pace di chi ha deciso il titolo nella versione italiana – c’entra ben poco. L’ultimo giorno di scuola del 1976 di alcune matricole di un liceo americano si trasforma, infatti, in incubo a causa delle angherie perpetrate dai più grandi. Tra spinelli, risse e amori che vanno avanti per tutta la notte, un ragazzo e una ragazza, “storditi e confusi”, sperimentano la crudeltà dei loro compagni e la frase di uno di loro suona come la condanna di tutta una generazione: “Se comin­ciassi a pensare a questi come ai migliori giorni della mia vita, ricordami di suicidarmi”.

Se le cose stanno così, non c’è dubbio che sono preferibili certi  anni scolastici italiani, come quelli passati dagli spensierati alunni della Terza liceo (1953) di Luciano Emmer e dai più moderni allievi di Classe mista 3a A (1966) di Federico Moccia, i quali, tra amori, amicizie, incomprensioni e delusioni,  crescono rispet­tivamente nell’ Italietta degli anni Cinquanta e nella Roma d’og­gi, o come quelli goliardici (e stupidini) di Rita la zanzara (1966) di Lina Wertmuller che, in combutta con le sue amiche, prende di mira il professore impacciato e la stagionata direttrice innamorata, scatenandosi in avventure comico-sentimental-musicali. Alla fine non ci si spellerà le mani, ma non si andrà nemmeno alla ricerca del primo ponte per buttarsi nel fiume.

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