Il meglio di me di Daniele Giancane, Secondo volume, Adda editore, 2023

di Cosimo Rodia

 

A distanza di un anno esce il secondo volume de Il meglio di me, un’autoantologia della vastissima produzione in versi di Daniele Giancane; nell’introduzione troviamo ciò che egli afferma nelle conferenze pubbliche: ovvero, che molta parte della produzione di un poeta è da cestinare; così, dopo essersi mosso consapevolmente tra il testo singolo e il poemetto, nel Secondo volume inserisce solo i testi singoli, che vanno dalla raccolta “Vedere e non vedere”, 1969, all’ultima: “Attraversammo le porte del sogno”, 2021.

Sin dalle prime poesie scelte (“Le gru nei quartieri si moltiplicano”), Giancane manifesta il suo impegno civile, nella fattispecie in temi ecologici. Il suo sguardo è quello di mettere a nudo le contraddizioni dell’età contemporanea: Il tram la mattina è un mare di sarde/…/ e andiamo tutti…/ verso la tredicesima mensilità/per saldare la rata arretrata/verso prati di latta/verso giochi ricchi di bimbi annoiati; e sono versi scritti sorprendentemente mezzo secolo addietro, in pieno boom economico.

Nella raccolta “Sulla collina” (1980) la poesia è corrosiva, contro i ricchi borghesi che si pavoneggiano nell’oro del crepuscolo e qualcuno sembra addirittura un gran signore. Un testo caustico, giocato sui contrasti semantici e fonetici (grullo-grillo).

Nel 1982 lo scrittore barese pubblica “Il tempo rimasto” che è un recupero in versi delle canzoni popolari (ricerca che riproporrà sia in versi, sia nella fiaba popolare).

Nel solco di una poesia inchiesta, Giancane scrive “Io & la scimmia pazza”; dai testi trascelti si evince la solitudine metropolitana e la denuncia dell’affarismo e della amoralità, riferendo storie minime e volti anonimi.

Nel 1990 è la volta della raccolta “I santi in versi”, nella quale “Inno alle madri” è l’esaltazione delle mamme dell’età preindustriale, tutte tese a risolvere i problemi della casa; quelle mamme, se avessero studiato, sarebbero diventate le più grandi artiste capitani d’industria…; una evidente critica all’arrivismo e al baratto dei valori tradizionali. In “Ai poeti del mondo”, l’Autore carica di valore utopico la poesia; poi, abbonda con le invocazioni ai santi, principalmente contro la guerra (“La storia di Guiscardo”).

Da “Il resto del falò”, 1990, Giancane riporta due liriche dedicati ad amici scomparsi; “Il vecchio” è rivolta al grande intellettuale Tommaso Fiore.

Nel 1992 il poeta barese pubblica “Amore che arde in petto più del fuoco”, un’operazione nel solco del recupero della tradizione orale. Il tema centrale è l’amore, affrontato con un linguaggio diretto e con immagini crude; i sentimenti, insieme ai capricci, all’ingenuità, sono allo stato puro, non ancora stemperati dal tempo, dalle abitudini e dalle buone maniere. Le dichiarazioni d’amore ripropongono, ad esempio, situazioni e personaggi che appartengono alla memoria profonda del sud; e qui Giancane si bagna completamente nella cultura degli avi. Il linguaggio utilizzato, infatti, è aderente alle cose e ai sentimenti, il tono è quotidiano, discorsivo e fortemente prosastico; non mancano versi dolci come il novenario: È l’amicizia il dono degli dei.

Un recupero di scampoli di una civiltà, sicuramente in funzione contrastiva all’anomia della società postindustriale.

Nel 2000, l’Autore pubblica “Storia dell’uomo interiore”; il verso d’attacco è il seguente: L’uomo interiore vede/il mondo capovolto; ecco, l’uomo interiore è quella parte di noi legata alla radice primigenia, alla tensione verso il Bene che è dentro di noi e che si oppone al mondo capovolto, con la sua ragionevolezza, verità, giustizia. Sparita la coscienza umana, la dimensione interiore potrebbe rimettere il mondo sulle proprie gambe; il problema è darle cittadinanza.

Nel 2003 è la volta della silloge “Diario dell’anima”; e ancora siamo nel solco della critica feroce alla società dei consumi, della fretta, del successo, delle corse dietro chimere effimere. Il riferimento è l’anima o l’Essere che si presenta nella voce… si mostra la mia/nativa identità. Possiamo dire che la poesia, servendosi della parola, è come se staccasse l’animo dal fluire universale; infatti, la chiave la possiede il poeta che è un artigiano dell’anima/un pescatore di perle; si può dire che il poeta è l’unico a squarciare il velo di Maya. Giancane si inserisce così nel filone della grande tradizione europea, per cui la poesia è anche una ricerca ontologica.

Nel 2006 è pubblicata “La vita inconoscibile”; anche in questa raccolta troviamo l’ennesima ricerca drammatica, solitaria, senza infingimenti sull’esistenza; nel libro, centrale è il tema dello scorrere della vita, della sua essenza, della sua fugacità; e centrale è pure la solitudine, che si origina sia per condizione naturale, sia per l’avvedersi della metamorfosi originata proprio dallo scorrere del tempo.

Con quale strumento il poeta-filosofo opera la ricerca? Col sogno (“Vivrei nel sogno”); o ancora: Tutti qui in attesa/ di un attimo di sogno/ di un giorno memorabile. E la poesia è la religione laica attraverso cui si combattono i diavoli: Contro i miei diavoli… getto in faccia/manciate di poesia/e un cuore onesto.

Le parole, i pensieri, i paragoni di Giancane sono piccoli frammenti, speculari della ricerca, delle sensazioni appena percepite, di quel punto mobile che è la comprensione dello stadio incorruttibile del tempo.

Nel 2009 è la volta delle “21 poesie metafisiche” in cui ancora centrale è l’attenzione al concetto di tempo, con la precisazione che un poeta quando muore, in realtà rimane vivo grazie ai suoi versi scintillanti.

Ne “Le aritmie del cuore” (2013) il dettato si fa più malinconico e regolare con una poesia rammemorante; ironica e dolce è quella dedicata a Francesco Nicassio; una sorta di carpe diem in quella dedicata a San Fele; poi non manca “Il successo e la poesia”, in cui Giancane scrive quello che proferisce da tempo nelle sue conferenze, ovvero che se qualcuno cerca il successo deve abbandonare la scrittura poetica.

Nel 2016 è la volta dei “Canti della tartaruga”, versi rivolti all’esempio vivente della lentezza. Emerge uno spirito francescano, allorquando Giancane scrive che, pur nella differenza tra chi legge Guerra e pace e chi si acquatta dietro la verbana, uomo e tartaruga sono uguali, nella misura in cui fanno parte dell’infinito cosmo due miracoli indicibili in cui scorre sangue e movimento.

Forse nel silenzio della tartaruga così lenta e così goffa, è racchiuso il senso di questa vita che ci attraversa, nonostante tutto.

In “Anima vagabonda” (2018) troviamo quello che l’Autore chiama gli appunti di una biografia. È un viaggio autobiografico, appunto, che a settant’anni, dice lo stesso Autore, urge l’esigenza di fare consuntivi; così lo studioso barese mette a fuoco le esperienze, gli incontri, i sogni di una intera esistenza: Queste poesie, lettore, non sono solo mie./Sono anche tue e di tutti coloro che ho/incontrato.

Giancane ha attraversato la società italiana nelle sue trasformazioni, da quella preindustriale a quella telematica; è stato spettatore di diversi miti della modernità; è stato attore dei sogni di cambiamento che hanno attraversato l’Italia; ha caricato di energia libertaria e di sogno liberante le sue adesioni alle battaglie civili e antidogmatiche (così si giustificano le sue esperienze teatrali, i gruppi culturali, i lunedì letterari); impegni che altro non sono che il bisogno di modellarsi ai principi della razionalità e contestualmente lasciare spazio ai sogni, ad una visione del mondo più aperta, tollerante, umana.

Il linguaggio utilizzato è chiaro, senza mai perdere il tono ironico; sono versi semplici, umili, schietti ma che tracciano un percorso di profonda riflessione e contengono una fiducia nella vita e nelle potenzialità umane.

Allora, essendo la vita la fonte delle emozioni e dei sentimenti, Giancane si sofferma, in più di mezzo secolo, sulla felicità, sull’amore, sulla funzione eternatrice della poesia, sulla natura e sugli uomini.

Chi fra cent’anni vorrà scrivere una biografia dell’intellettuale barese, troverà abbastanza materiale sia nella silloge del 2018, sia nei due tomi di Il meglio di me: potrà analizzare, valutare e/o criticare una vita dedicata ad una grande sposa.

Il secondo volume, infine, si chiude con una bella sezione di testimonianze critiche al primo volume, a firma di Lino Angiuli, Maria Grazia Lenisa, Pasquale Montalto, Raffaele Nigro, Gianni Antonio Palumbo, Cosimo Rodia, Silvano Trevisani, Gerardo Trisolini, che costituiscono delle significative guide interpretative.

 

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