Quaderno croato di Vanni Schiavoni, Fallone editore, 2020

di Cosimo Rodia

 

Il viaggio è l’attraversamento di luoghi e incontro di persone, che ha una portata di fascino e mistero; quando, poi, il mistero si svela nella sua dimensione tragica, in una cornice naturale strabiliante, allora, il viaggio segna la vita in modo indelebile.

E così è stato per Vanni Schiavoni, che partendo con una labile spinta alla ricerca delle sue antiche radici, si è trovato davanti un mondo dagli scorci sorprendenti, una gente accogliente e una storia umana aberrante.

Colpisce, di questo viaggio, lo stupore dell’autore davanti a tanta bellezza naturalistica fatta di cascate, laghi a terrazzi, insenature, arcipelaghi, atolli dall’incanto raccapricciante, generando un sentimento di amore e tremore. In “Laghi di Plitvice” si legge: “I laghi cascano nei laghi come fruste sui rami cedevoli”. Oppure in le “Isole Incoronate”, Schiavoni definisce gli isolotti “Come poeti alla deriva o fanteria senza generali[…] come uccelli naufragati”; un accumulo di immagini sorprendenti.

Non meno conturbanti sono le sensazioni generate dalla visita delle città in cui, nonostante siano state ricostruite, non nascondono alcuni muri che testimoniano la ferocia della guerra.

Così il viaggio diventa quello dell’anima, con l’autore che verifica le affinità con il nostro paese e l’irrazionalità di un destino che ha preservato ai croati percorsi inaspettati, i cui effetti sono rimasti negli occhi dei sopravvissuti, velati dalla sofferenza; in “Ragusa” si legge: “Nelle sere lacere abbandonate al ritmo crudo del bicchiere/non trovo libri di preghiere nei cassetti affumicati”. Quegli effetti sono entrati “nelle ossa come fossero tasche”.

Il viaggio sdipana immagini di una Sebenica prima di Tito e dopo la guerra, da cui emerge l’illusione de historia magistra vitae, pensiero ciceroniano smentito evidentemente dalla realtà effettuale: “Per sempre saremo bambini/sotto i bombardamenti di Baghdad/siamo ancora ragazzini tra le granate di Mostar”.

Per ogni città attraversata, l’autore propone due poesie, una col titolo italiano e l’altra col nome croato, come appunto “Sibenik”, in italiano Sebenica, in cui dopo aver presentato la bellezza monumentale che parla italiano, o veneziano, Schiavoni rileva come l’industrializzazione ne abbia deturpato lo splendore.

In “Trigor”, Traù in italiano, l’autore raccoglie la difficoltà, dopo la guerra fratricida, di tornare alla normalità, con i sopravvissuti che ancora non si rendono conto di come sia stato possibile tanta bestialità: “Come si possa sopravvivere ai cedimenti/a una disgregazione impercettibile/che chiamano guerra patriottica“.

“Spalato” è la poesia dell’identità, in cui si evidenziano i caratteri pacifici e lo spirito di grande accoglienza di un popolo, nonostante tutto: “Non c’è la violenza che speravo/o qualcosa che chiamiamo per abitudine straniero”; per quanto nei sopravvissuti rimanga un pianto nascosto: “L’aria sul muro di cinta rifrange/i flutti di vita sul lato dei pianti”.

L’ultimo giorno a Dubrovnik, Ragusa in italiano, è quello dei consuntivi, così Schiavoni non può fare a meno, nonostante i “Rialzati colonnati”, di cogliere a mezz’aria “Il bisbiglio contorto che sguscia dalle cicatrici”.

Qui l’autore riavvolge con mestizia il nastro del suo attraversamento, ripassando le impressioni ricevute dai luoghi e dalla gente conosciuta, esperienze che inevitabilmente ne hanno segnato il cuore e da cui emerge un grande sussulto di umanità.

Una poesia ricca di immagini, a volte criptiche, con un ricco apparato figurale; sono copiose, infatti, le metafore sorprendenti (“Pascolare il tempo”), le personificazioni (“I laghi cascano nei laghi”), le similitudini (“Come sopracciglia nel sentimento di resa), le sineddoche (“Le vertebre di questo paese”), le sinestesie (“Il profumo sicuro della vita mi penetra).

Un’espressione dunque ricercata, con un tessuto linguistico che presuppone un bel lavoro creativo per rappresentare quanto gli occhi hanno registrato nel viaggio in questa Italia capovolta (come l’ha definita l’autore in un’intervista).

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