Nietzsche ecologista (parte seconda)

di Sandro Marano

 

Accanto al Nietzsche pensatore della volontà di potenza e dell’eterno ritorno c’è anche un Nietzsche segreto, che al pari di un fiume dal corso sotterraneo, che affiora in superficie per brevi tratti, si esprime in alcuni luminosi aforismi e in alcune pagine dall’afflato poetico dove il colloquio del filosofo con la natura vivente si fa più serrato ed intimo. Emblematico è il caso di uno dei più belli aforismi nietzschiani, intitolato “Nel grande silenzio”:

«Ecco il mare, qui possiamo dimenticare la città (…). Ora tutto tace. Il mare si stende pallido e rilucente, non si può parlare. Il cielo inscena il suo eterno e muto spettacolo serale con rossi, gialli, verdi colori, non può parlare. I piccoli scogli e le catene di roccia che corrono sul mare, come per trovare un luogo dove si è più soli, non possono tutti articolar parola. Questo silenzio immenso che ci coglie all’improvviso è bello e terribile, il cuore ne è gonfio (…). Ah. Si fa ancora più silenzio e ancora una volta il mio cuore è gonfio: una nuova verità lo atterrisce, neanch’esso può parlare (…). Il parlare, anzi il pensare mi viene in odio: non sento forse dietro ogni parola ridere l’errore, l’immaginazione, lo  spirito dell’illusione?  – Oh mare! O sera! Voi siete cattivi maestri! Voi insegnate all’uomo a cessare di essere uomo! Deve dunque egli abbandonarsi a voi? Deve egli divenire, come voi ora siete, pallido, rilucente, muto, immenso, riposante su se stesso? Sublime sopra se stesso?» (1).

Qui il filosofo, di fronte all’antinomicità del pensiero, finisce col dubitare della stessa possibilità di comprendere logicamente il reale e cerca nella forma dell’esperienza immediata, dell’intuizione, dell’illuminazione, di cogliere quell’assoluto che altrimenti gli sfugge. Non resta che tacere. Non resta che abbandonarsi a quei “cattivi maestri” sopra evocati.

Continuo, a ben vedere, in tutta l’opera di Nietzsche è il rimando ad elementi naturali per illustrare la propria filosofia. Ma è nello Zarathustra che la simbologia nietzschiana tocca i vertici della grande poesia e del pensiero. Qua davvero non c’è che l’imbarazzo della scelta.

Il filosofo paragona la sua dottrina ai fichi buoni e dolci che «maturi cadono dall’albero» (2) o ad una vela che corre «sul mare, gonfia e fremente per la violenza del vento» (3). La morale servile che si fonda sul risentimento e sulla calunnia nei confronti della vita è assimilata alle tarantole (4) e le masse infatuate da abili commedianti e da falsi valori assomigliano alle mosche del mercato: «fuggi, amico mio, nella solitudine (…). La foresta e la rupe sapranno degnamente tacere con te. Assomiglia di nuovo all’albero che tu ami, all’albero dai grandi rami diffusi; silenziosamente si protende sul mare in ascolto. Dove termina la solitudine, comincia il mercato, e dove comincia il mercato, comincia pure lo strepito dei grandi attori e il ronzio delle mosche velenose» (5). Riafferma il valore del corpo che viene paragonato a «un gregge e un pastore» (6), e paragona la creatività dell’uomo al caos che genera «una stella danzante» (7). Il deserto poi è una splendida metafora, ragffigura il nichilismo: «il deserto cresce, guai a chi in sé cela deserti!» (8). Il pensiero dell’eterno ritorno, così fondamentale nel pensiero di Nietzsche, è rappresentato dall’immagine di due strade che si incontrano (9). Ed ancora l’anima innamorata è «come una zampillante fontana» (10); e l’aspirazione al divino è un cielo «muto sopra il mare in tumulto» ed una «mensa divina per dadi e giocatori divini» (11).

Gli elementi naturali in Nietzsche si trasformano poeticamente e magnificamente in simboli. Un esempio magistrale si può rinvenire nel paragrafo intitolato “Il canto notturno” della seconda parte dello Zarathustra, «il suo più bello, grande e disperato canto di solitudine» (Sossio Giametta) (12), nel quale il motivo dell’amore tra uomo e donna si eleva a vicenda cosmica.  Del resto, «l’antichissimo motivo della lotta tra notte e giorno domina la concezione fondamentale di Nietzsche» (13), è sotteso nella sua visione dionisiaca. In tutto lo Zarathustra sembra riecheggiare la saggezza del Tao, il gioco alterno dello ying e dello yang, principi opposti e nel contempo complementari e inseparabili dalle molteplici valenze: il maschile e il femminile, il terrestre e il celeste, il luminoso e l’oscuro, e così via.

Sotto questo profilo, «la filosofia è per lui la saggezza tragica, lo sguardo che coglie l’essenza nella lotta ancestrale dei principi antagonisti di Dioniso e di Apollo» (14). E quanto questa osservazione di Eugen Fink sia calzante è dimostrato dalla preferenza accordata da Nietzsche a due animali, l’aquila, l’animale più superbo, e il serpente, l’animale più astuto (15). L’aquila esprime il Cielo, la ragione, la chiarezza, mentre il serpente la Terra, l’istinto, l’oscurità.

A questo punto può giovare un confronto con Hegel. Per Hegel la filosofia è come la nottola di Minerva, che inizia il suo volo al crepuscolo, poiché essa arriva quando la realtà ha compiuto il suo processo ed è bell’e fatta (la verità è l’intero, dichiarava Hegel nella Fenomenologia dello spirito). Per Nietzsche invece la filosofia è insieme aquila e serpente, cioè ricerca di un equilibrio fra principi opposti e tuttavia complementari. La filosofia per lui è, in buona sostanza, filosofia del mattino. Potremmo dire filosofia dell’ecologia.

 

 

NOTE

(1)F. Nietzsche, Aurora, af. 423;

(2) F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. 79;

(3) ibidem, p. 96;

(4) ibidem, p. 91;

(5) ibidem, p. 52;

(6) ibidem, p. 38;

(7) ibidem, p. 22;

(8) ibidem, p. 264;

(9) ibidem, p. 113;

(10) ibidem, p. 96;

(11) ibidem, p. 145;

(12) S. Giametta, Commento allo Zarathustra, p. 99;

(13) E. Fink, La filosofia di Nietzsche, Marsilio, 1973, p. 85;

(14) E. Fink, op. cit.;

(15) F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. 29.

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