Proponiamo di seguito, per la sua attualità, la postfazione del prof. Angelo Nobile, docente di Letteratura per l’infanzia all’Università di Parma, al volume L’evoluzione del meraviglioso, Liguori, Napoli.

 

L’evoluzione del meraviglioso di Cosimo e Antonio Rodia

di Angelo Nobile

(Università di Parma)

 

Cosimo Rodia è uno studioso appassionato e tenace, che si è già imposto all’attenzione della comunità scientifica del settore con cospicui saggi, dallo studio monografico su Domenico Volpi, scritto in collaborazione con D. Giancane (Ed. Pugliesi, 2005),  a  La narrazione formativa  (Pensa, 2010), fino al denso contributo apparso all’interno del volume dal titolo Marino Cassini scrittore per ragazzi, animatore, critico e saggista, curato da chi scrive per i tipi di Liguori (2011). Assiduo collaboratore di riviste specializzate di letteratura giovanile, quali “Pagine giovani” e “La Vallisa”, è anche infaticabile promotore di studi e ricerche in ambito regionale e instancabile organizzatore di iniziative culturali, mostre e convegni aventi per oggetto il libro e la lettura.

Con questo nuovo saggio, di taglio interdisciplinare, organico e molto documentato, scritto in collaborazione con Antonio Rodia, lo studioso ripercorre con rigore critico-interpretativo  l’evoluzione del meraviglioso, colto nella sua dimensione narrativa, dalle prime manifestazioni, che si perdono nella notte dell’umanità, fino ai giorni nostri, in cui il meraviglioso, spesso banalizzato o asservito a scopi commerciali (è il caso di molta pubblicità), assume frequentemente la veste di fiaba moderna, calata in un contesto urbano e tecnologico, o quello di prodotto fumettistico più o meno amatoriale, o si ripropone all’interno di generi e filoni narrativi emergenti, come il fantasy, nel quale esalta le sue radici mitiche e astoriche. Non meno frequentemente è surrogato da prodotti narrativi mediatici (cartoni animati, film, telefilm…), che rispondono all’insopprimibile bisogno di storie proprio dell’uomo di tutti i tempi e di ogni civiltà e cultura.

Nel compiere questo percorso storico,  non privo di pause e di involuzioni, il meraviglioso – sinonimo in ambito narrativo di straordinario, di antiquotidiano, di prodigioso, fonte di stupore estatico e di intima gratificazione,  non soggetto alle leggi della natura – si è quindi progressivamente  incarnato in una molteplicità di forme e di generi, trovando la sua espressione più tipica nel mito (rispondente al bisogno dell’uomo di dare una spiegazione  alla realtà che lo circonda e ai fenomeni naturali, non meno che ai misteri dell’esistenza), e nella fiaba, nella quale si realizza invece il bisogno di utopia e di sogno, di riscatto da una condizione esistenziale spesso deludente e frustrante.

Dinanzi al lettore scorrono, presentate  in un linguaggio rigoroso e in una prosa agile e sciolta, attraverso un discorso organico e articolato, ricco di riferimenti a testi narrativi noti e meno noti, le molte espressioni in cui il meraviglioso ha progressivamente preso forma nel corso dei secoli: mito, leggenda, favola, episodi dell’Antico Testamento, fiaba popolare, fiaba letteraria, d’arte o d’autore (Perrault, Andersen, Baum, Wilde, Saint Exupery…), per giungere  in epoca più recente  a classici universali della letteratura per la gioventù meno ipotecati da preoccupazioni didascaliche e moraleggianti, dal Pinocchio collodiano all’Alice carrolliana, fino alla fiaba moderna e ai molti racconti che si muovono nella dimensione di una quotidianità  fantasiosamente trasfigurata, partecipando dell’inarrestabile progresso tecnologico e interpretando sogni, bisogni, aspirazione del giovanissimo ascoltatore o lettore. Per ciascuno di questi generi ed espressioni narrative i due studiosi si inoltrano in puntuali valutazioni pedagogiche e psicologiche in ordine alla loro proponibilità al soggetto in formazione (sotto il profilo del linguaggio e sotto quello dei contenuti), vale a dire al loro collocarsi nella categoria dell’adatto in rapporto al potenziale fruitore, segnalandosi per viva sensibilità  psico-pedagogica e per senso di responsabilità educativa.

Di grande interesse la parte conclusiva del volume, dedicata ai fiabisti contemporanei. Accanto a maestri del genere, quali Gianni Rodari e Marcello Argilli, scopriamo la vena fantastico-fiabesca di scrittori che conosciamo prevalentemente per altre tipologie di scritti per l’infanzia e l’adolescenza, quali Giovanna Righini Ricci, Bianca Pitzorno o Domenico Volpi, ma anche le opere di nuovi autori colte nelle loro peculiarità stilistiche e contenutistiche. Il criterio di cernita di questi scrittori, rappresentativi delle nuove trasmutazioni del meraviglioso, è inevitabilmente soggettivo,  ma non arbitrario, e del resto ampiamente giustificato dagli Autori. Gli scrittori prescelti, presentati nelle loro opere più significative sul versante dell’invenzione fantastica, sono effettivamente testimoni del genere – anche se in qualche caso forse troppo debitori della lezione rodariana  – e documentano le ultime trasformazioni e mimetizzazioni della categoria del meraviglioso,  le sue molte incarnazioni in forme e generi nuovi e in modalità narrative inedite o poco percorse. Più spesso, nella società digitalica, le nuove espressioni narrative del meraviglioso si presentano in forma ibrida e in una commistione di generi e ingredienti, ispirandosi nell’ideazione e nelle tematiche prescelte alla realtà tecnologica che circonda il bambino e ai nuovi modi e stili di vita. Del resto  lo stesso capolavoro collodiano è la risultante  di una sapiente contaminazione – impressa del superiore suggello dell’arte – di fiaba, favola, avventura, rappresentazione teatrale, pedagogismo e romanzo di formazione.

Con questo accurato saggio, ricco di rimandi culturali e di riferimenti bibliografici, utili per ulteriori approfondimenti, nonché di costanti richiami agli studi più recenti del settore, Cosimo e Antonio Rodia offrono allo studioso come al comune lettore, con ricchezza di informazioni e di notazioni critiche, e in uno stile accessibile ma rigoroso,  vivacizzato da felici espressioni linguistiche, lo spaccato diacronico di una letteratura che si nutre di fantasia e di immaginazione, componenti essenziali del libro per l’età evolutiva e della stessa psiche umana, interessando la sfera misteriosa e fascinosa dell’irrazionale e dell’alogico, da sempre avvolto agli occhi infantili da un alone di magia e di sogno.

In virtù dei suoi molti pregi espositivi, critici e argomentativi, il volume di Cosimo e Antonio Rodia, oltre a costituire un riferimento obbligato per lo studioso del settore,  si segnala  come testo orientante, culturalmente e pedagogicamente arricchente, per quanti (specialmente genitori, insegnanti, studenti della Facoltà di Scienze della Formazione e comunque dei corsi di laurea in Scienze dell’educazione), si inoltrano in questo mondo narrativo magico e fascinoso.

La pregnante prefazione di Hervé Cavallera, che muovendo dalle posizioni crociane e neoidealistiche affronta autorevolmente, da un inusuale angolo prospettico, varie questioni di fondo della disciplina, offre lo spunto per una riflessione su  una pluralità di problemi che affollano l’orizzonte critico del libro per ragazzi.

Di particolare suggestione l’inedita denominazione di “letteratura formativa” originalmente  proposta dallo studioso per designare quella che chiamiamo impropriamente  “letteratura per l’infanzia”, espressione prevalsa anche a livello accademico per indicare lo specifico insegnamento già rientrante nel settore scientifico-disciplinare M-Ped/02. Questione tutt’altro che  nominalistica o oziosa, sottendendo significati profondi e le stesse finalità che si riconoscono alla scrittura per ragazzi. L’aggettivo “formativa” che accompagna, quale specificazione, il sostantivo “letteratura”, pur non esente da obiezioni, ha il merito di riaffermare – controcorrente – la vocazione pedagogica del libro per l’età evolutiva e il requisito della formatività come irrinunciabile e costitutivo delle letture giovanili. Suona quindi da un lato a richiamo a tanta editoria, attenta esclusivamente al fatturato, e con essa a quegli scrittori che vengono meno alla loro responsabilità nei confronti dei  giovani lettori; dall’altro si pone a salutare correttivo e riequilibrio delle diffuse tesi edonistico-libertarie di quanti, enfatizzando il barthesiano piacere del testo, eleggono il gradimento infantile e giovanile ad assoluto parametro valutativo del libro per ragazzi, ignorando gli effetti – spesso duraturi, in qualche caso indelebili – dei contenuti narrativi sul soggetto in formazione, sulla sua personalità e sul suo sistema di valori.

Se  il libro per ragazzi ha una intrinseca missione educativo-formativa (senza ovviamente trascurare la dimensione del piacere), ne consegue che non deve rispondere soltanto a finalità ricreative e tanto meno venire asservito a scopi commerciali, né farsi ideologicamente veicolo di tesi di parte. Secondo la stringente logica dello studioso, sembrerebbe desumersi che all’interno di questa letteratura possano rientrare anzitutto e prioritariamente le proposte narrative  ricche di valori umani e civili, che si caratterizzino per potenzialità educative e formative, e che al tempo stesso si accreditino per qualità estetico-letteraria e per la loro capacità di rispondere ai gusti e agli interessi dei loro destinatari. Ne risulterebbero esclusi quindi i molti libri di scadente livello estetico-letterario, ripetitivi o seriali, quelli di impronta neo-nichilista, quelli che veicolano pregiudizi e atteggiamenti di chiusura verso l’altro o la “diversità” comunque intesa, i libri volgari, molti racconti e romanzi che nel trattare temi scabrosi si autodefiniscono “coraggiosamente trasgressivi”, i testi (è il caso di molti periodici per le teen ager) la cui lettura di risolve in un invito e in un incentivo al consumismo, al gossip, all’esasperata attenzione al look e alla cura narcisistica della propria persona, a stili di vita frivoli e superficiali, ecc. Mentre – rilevo a ulteriore specificazione – nella contigua categoria dell’adatto confluirebbero i libri linguisticamente e contenutisticamente accessibili ai loro destinatari, e naturalmente che esercitino un’azione eutrofica su vari aspetti e dimensioni della personalità, in rapporto a quel particolare soggetto, al suo vissuto, alla sua situazione psicologica personale e familiare, e così via.

D’altra parte, le molte emergenze educative che (da tempo) attraversano il nostro paese, e più in generale l’intero mondo occidentale, con la connessa “questione morale”, legittimano e sollecitano l’attenzione agli aspetti formativi delle letture, non meno che a quelli delle proposte narrative e di intrattenimento mediatiche, e rendono quanto mai attuali le denunce di Packard, di Postman e della Winn, per non citare Bandura e Popper.

Il denso saggio di Cavallera affronta con rigore critico e con ricchezza di argomentazioni anche altre questioni e nodi cruciali della critica del libro per ragazzi, non approfondibili dialetticamente in questa sede. Nell’insieme, è un prezioso contributo alla sistemazione epistemologica della disciplina e al tempo stesso un esplicito invito a un confronto aperto di posizioni culturali, sgombro da pregiudiziali disciplinari e ideologiche, rivolto agli studiosi del settore, a cominciare da quelli che hanno la responsabilità dell’insegnamento accademico della cosiddetta “Letteratura per l’infanzia”. Confronto dal quale – sembra intendere lo studioso – potrà scaturire una ridefinizione dello statuto della disciplina che sottragga il libro per ragazzi alla persistente condizione di minorità rispetto alla scrittura “maggiore” e rivendichi, anche in ambito universitario, la dignità della “grande esclusa” (in quanto disciplina eminentemente formativa e squisitamente professionalizzante) rispetto agli altri insegnamenti dell’area pedagogica, ponendo fine alla sua frequente marginalizzazione o subalternità, in una logica di arbitraria gerarchizzazione.

Un ulteriore, non secondario pregio di questo libro che trabocca di studio e di passione.

 

 

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