Intervistiamo Trifone Gargano

di Lucia Schiralli

 

Trifone Gargano è docente di Italiano nei licei e presso l’Università degli studi di Bari; ha dedicato tutta la sua vita allo studio di Dante e della Commedia. A lui si deve una particolare modalità divulgativa dei classici, quella popolare, che sta prendendo ormai piede anche nel mondo accademico italiano. La divulgazione popolare, la de-monumentalizzazione di Dante e degli altri autori della cultura italiana, lungi dall’essere frutto di un’azione immediata e spontanea, nasce da anni di studio serrato, da convinzioni etiche e da un preciso disegno programmatico scientifico e didattico.

 

Buongiorno professore e grazie per averci dedicato un po’ del suo tempo a fronte dei suoi numerosi impegni che l’hanno vista protagonista incontrastato nelle celebrazioni dell’anno dantesco

Grazie a lei per l’intervista, e quindi per la possibilità che mi offre di raggiungere Lettori. Sì, durante quest’anno sono andato in giro per l’Italia, da nord a sud, per diffondere la mia idea “pop” di Dante.

 

Ci spiega la sua linea interpretativa “pop”? Come possono i classici essere popolari? E come può soprattutto Dante essere vicino alle persone, oggi.

«Pop» nel senso di “popolare”, che Dante cioè e i veri Classici vengono fatti propri, memorizzati e re-inventati dal popolino, dalla gente semplice, prima (e forse più) del mondo accademico. I Classici sono “pop” perché riescono a intercettare le emozioni, le paure e le speranze del popolo. Le intercettano e danno voce alle emozioni che ciascuno di noi vive, come dire, a pelle. Dante, che è molto distante da noi, e non solo cronologicamente, in realtà, lo sentiamo molto vicino, perché la sua opera riesce ancora a dare risposte di senso alle nostre paure.

 

Perché pop?

Nel mio studio su Dante, ma anche in quello su Leopardi (nel libro “Infinito pop”, edizioni Progedit), e nel libro che sto scrivendo, per il 2022, “Pasolini pop”, per celebrare alla maniera mia il centenario pasoliniano, la definizione «pop» indica pure la presenza attiva della presenza del Classico nei testi delle canzoni pop (e rock) contemporanee. Nel caso di Dante, partirei da una canzone di Mina, del 1960, e arriverei a Murubutu, e al suo recentissimo album dedicato alla Divina Commedia, e in particolar modo all’episodio di Paolo e Francesca, dal canto V dell’Inferno.

 

L’esperienza come docente nella scuola e nell’università è servita per elaborare la teoria sulla divulgazione popolare?

Sì, tutto quello che ho fatto e che ho scritto, durante la mia vita professionale, è sempre nato proprio a scuola, in classe (amo ripetere lo slogan che “ai problemi della classe, occorra dare risposte di classe”). Il docente, a qualunque livello operi, deve sforzarsi di farsi mediatore dei linguaggi e dei codici espressivi, e, soprattutto, deve far nascere nel giovane lettore la curiosità e il gusto per la lettura, che lo dovrà accompagnare per tutta la vita. Obiettivo della scuola è formare il buon lettore, non lo specialista nelle analisi del testo (del sangue e del diabete). Gli specialisti li forma l’Università. La scuola, invece, deve instillare il “virus” della lettura, il gusto, il piacere della lettura. Leggere e Basta. Leggere, cioè, senza la zavorra strutturalista delle analisi del testo che mortificano la lettura e che allontanano il giovane da essa.

 

Quale libro da lei scritto considera il più rappresentativo e perché?

In questo anno dantesco, direi che il libro a cui sono più affezionato è la mia edizione integrale della Divina Commedia, con l’offerta, accanto al testo dei canti, la parafrasi integrale da me curata, affinché cioè tutto il testo della Commedia possa essere capito e gustato per davvero da tutti, non solo dagli specialisti. Dante stesso decise di utilizzare il volgare come lingua del suo poema per raggiungere tutti, comprese le “mulierculae”, le donnicciole, alle quali, a quel tempo era proibito anche di maneggiare libri.

Lavorando a questa edizione della Divina Commedia, ho notato che la terzina dantesca altro non è che un odierno tweet fulminante, velocissimo, arguto e sentenzioso, con i suoi circa 100 caratteri (spazi bianchi inclusi).

 

Il suo ultimo libro: “Letteratura e sport”, edito da Cacucci, inaugura un nuovo ambito di interesse o si inserisce nel solco della produzione precedente? E se sì come?

Indubbiamente, il mio recentissimo (e già fortunato) libro edito da Cacucci, Letteratura e Sport, apre un nuovo filone di ricerca e di didattica della letteratura. Esso si rivolge principalmente ai miei studenti universitari, del corso “Lo Sport nella Letteratura”, presso il Corso di Laurea in “Scienze delle Attività Motorie e Sportive” dell’Università degli Studi di Bari, ma ha l’ambizione pure di rivolgersi a un pubblico di lettori (e di appassionati e di praticanti di sport) molto molto più grande. E in effetti il libro ha incontrato immediatamente il favore dei lettori, esaurendo in un solo mese la sua prima tiratura. Con questo libro intendo superare due opposti pregiudizi, e cioè che chi pratichi sport non sia persona colta, e che non legga libri; dall’altro, il pregiudizio secondo il quale gli intellettuali non praticherebbero sport, e scriverebbero di sport, di palestre, di campi di calcio, di piscine, di gare e campionati. Al contrario, lo Sport forma il buon cittadino, il cittadino attivo nella società. Lo sportivo, infatti, impara a rispettare le regole (del gioco, e della vita), a rispettare l’avversario; i tempi; il lavoro di squadra; e così via.

 

 

 

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