La prima figlia di Anna Pavignano, E/O

di Fulvia Degl’Innocenti

 

Quanto un figlio può acquistare consistenza, quando è solo immaginato? Poliana di figli ne ha già due, ma ora che aspetta il terzo, la sua mente torna a quando aveva evocato la figura di una bambina, Amanda, solo perché la desiderava come frutto dell’amore con l’allora fidanzato. Una bambina cui aveva dato un volto, degli abiti, delle parole, ma che era solo un progetto d’amore infranto, quando l’uomo l’aveva lasciata. Poi, era arrivato Davide con la sua concretezza, e insieme a lui aveva costruito una vera famiglia.

La nuova gravidanza è giunta inaspettata, ma quel bambino lo vogliono entrambi. Solo che per sentirlo reale devono aspettare l’esito dell’amniocentesi, perché Poliana ha già 40 anni ed è alta la possibilità che possa avere la sindrome di down. In quel caso, Davide ne è certo, non se la sentirebbe di accoglierlo.

Anche Poliana era di quell’avviso, ma durante il ricovero in ospedale per l’esame genetico, qualcosa in lei comincia a cambiare. Quel feto che inizia a muoversi, acquista una sua identità: quella di una bambina di nome Cristina, con la sindrome di down. Poliana la vede neonata, poi pian piano crescere sotto la sua guida ansiosa e amorevole, iperstimolata per recuperare i suoi deficit cognitivi, festeggiata dai compagni, che si esibisce in un saggio di ginnastica artistica.  Vede tutto come in un sogno, ma tornata alla realtà permangono i dubbi e la necessità di confrontarsi con qualcuno; sceglie un uomo incontrato in ospedale, che staziona nei reparti dopo aver fatto visita alla moglie gravemente malata. Tra Antonio e Poliana si instaura una forma di complicità durante una strana notte in cui fuggono dall’ospedale mano nella mano. Un mese dopo, alla vigilia dell’esito dell’esame, lei lo va a cercare a casa, ha bisogno di risposte, lui le parla di una donna che ha avuto una bambina down, il padre l’ha rifiutata ma lei l’ha cresciuta con amore, ora la figlia è una ragazza felice proprio come il suo nome Gaia. Il dilemma più grande: è giusto dare la vita a chi dovrà fare i conti con una condizione deficitaria seminando infelicità intorno?

Un romanzo breve tutto giocato sul senso della maternità, quella immaginata, quella vissuta, quella temuta: che indaga sulla profondità e l’ambivalenza dei sentimenti, dove in una società che tende a liquidare come scarti gli imperfetti, una donna si concede il tempo per ascoltarsi, per vivere il legame che unisce nel ventre una madre alla sua creatura. Senza idealizzare lo spirito materno, mostrando le ombre, le insicurezze, le paure, ma in modo autentico e denso di sfumature.

 

(Recensione apparsa su FC 46/2021)

 

 

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