Poeti documentaristi (parte 2)

 

Il viaggio dei pastori: ‘documentario’ di Gabriele D’Annunzio

di Italo Spada

 

Nella quinta sezione dell’Alcyone[1], che si ispira alla malinconia che suscita l’autunno, Gabriele D’Annunzio raggruppa alcuni componimenti sotto il titolo di “Sogni di terre lontane“. I ricordi dell’infanzia legati alla terra natia diventano materiale per un documentario, che si apre con l’invito rivolto dal poeta ai suoi lettori affinché vedano ciò che egli vede e si chiude con un malinconico rimpianto.

Una delle poesie più note dell’intera raccolta è senza dubbio I pastori. A rileggerla con attenzione si può rilevare che l’autore ha utilizzato tutta una serie di accorgimenti tecnici propri della nascente arte cinematografica. L’invenzione dei fratelli Lumièére, da “meraviglia fotografica”[2], era diventata vera e propria arte e stava dando i suoi primi frutti anche in Italia. D’Annunzio si cimenta anche in questo campo, ma il suo è un interesse letterario, finalizzato soprattutto a ricavare profitti economici[3]; eppure, l’uso ch’egli  fa della “tecnica filmica” nelle sue poesie supera notevolmente i traguardi raggiunti dai cineasti del tempo.

Il viaggio dei pastori inizia alla fine dell’estate. Li seguiamo, dai monti al mare, in tre momenti, legati tra di loro da una serie di dissolvenze e di sovrimpressioni, con inquadrature dall’alto, panoramiche, piani sequenza, campi e controcampi, soggettive.

L’incipit è sonoro e sovrappone la voce del poeta a quella dei pastori. Meglio: fonde le due voci in modo tale da lasciare volutamente dubbi ai lettori. Chi parla? Chi dà l’ordine di iniziare il viaggio: il poeta, oppure uno dei pastori?

Il vero narratore emerge con la Voce Fuori Campo del secondo verso, quando inizia la “dissolvenza in apertura” sul gruppetto dei pastori già in cammino. La pellicola è “a colori” con la predominanza del verde che accomuna, in un’inquadratura di Campo Lunghissimo, mare e monti. Seguono rapidi flashes di minisequenze alternate (alcuni pastori si dissetano con l’acqua di un ruscello, altri staccano rami di nocciolo per farne bastoni) che confluiscono nel lungo piano sequenza del viaggio. Il verso “E vanno pel tratturo antico al piano” non stabilisce un preciso tempo di durata, ma il blocco centrale del documentario è tutto qui, in una congiunzione e in un verbo che dilatano la ripresa e fanno del lento camminare di pecore e pastori una suggestiva e arcaica processione.

L’inquadratura aerea non solo non permette di distinguere uomini e bestie incolonnati lungo la pista dei monti (il tratturo), ma autorizza il poeta ad effettuare voli pindarici e accostamenti metaforici. Adottando lo stesso espediente che qualche anno dopo  Ejzenstein chiamerà “montaggio delle attrazioni”[4], D’Annunzio vedrà in quella scena un silenzioso fiume che scorre lento e inarrestabile verso il suo naturale sbocco.

Dall’inquadratura globale del gruppo alla soggettiva di un pastore. La macchina da presa si sostituisce agli occhi dell’uomo e noi vediamo, con una più che probabile panoramica a schiaffo[5],  ciò che egli vede: il mare. Lo stacco che segue – da chi vede a ciò che è visto – ci porta al gregge che è già sul litorale. Poi la sovrimpressione tra la lana e la sabbia, i rumori di sottofondo, il volto triste e la voce malinconica del poeta che archivia un altro sogno di terra lontana.

 

 

[1] Maia, Elettra, Alcyone, Merope compongono la raccolta Le Laudi. In Alcyone, D’Annunzio “raggiunge il culmine della sua poesia, in cui la sensualità si riscatta in una raffinata, disincantata musica verbale, in un’onda affascinante di immagini.” (Cfr. “Enciclopedia Garzanti”, 1960, voce “D’Annunzio”)

[2] “Il 28 dicembre del 1895, August e Louis Lumière presentarono il primo spettacolo cinema­tografico ad un pubblico pagante, composto di 35 persone, nel Salone Indiano del Gran Café del Boulevard des Capucines di Parigi. Con il titolo un po’ vago di Soggetti d’attualità, i due fratelli francesi proiettarono immagini di lavoro (come L’uscita dalle officine Lumière a Lione) e scene di vita familiare (come La colazione del bebé). La lun­ghezza di ogni pellicola era di 15-16 metri e l’intero spettaco­lo, composto di 10 film, durava poco più di venti minuti. Due giorni dopo, il giornale parigino Le Radical definiva il cinema­tografo come “una meraviglia fotografica” e, nonostante l’afflui­re di un pubblico sempre più numeroso, nessuno (nemmeno gli stessi inventori) si rese pienamente conto dello straor­dinario percorso che questa invenzione avrebbe fatto nell’arco di un secolo.” (Cfr. Italo Spada, L’inganno consueto, op. cit. pag.15)

[3] Le poesie raccolte ne “Le Laudi” sono pubblicate tra il 1903 e il 1912. Nel 1914, Giovanni Pastrone realizza “Cabiria” e la produzione lancia il film attribuendo a D’Annunzio la sceneggiatura. In realtà,  per 50.000 lire in oro, il Poeta si limita a inventare i nomi dei personaggi e a scrivere le didascalie.

[4] “Eisenstein, (…) elaborò e utilizzò il “montaggio delle attrazioni”, che consiste nel mettere insieme immagini apparentemente non collegate tra di loro, ma che finiscono col suscitare nello spettatore particolari emozioni: il massacro dei contadini in sciopero operato dai militari zaristi e i buoi portati al macello, l’avanzata dei militari e un neonato in carrozzina che precipita lungo la scali­nata di Odessa, il primo piano di un ufficiale che ordina di sparare e l’inquadratura di una bocca di cannone, le ingiustizie dei potenti e tre leoni di marmo che sembrano ribellarsi, ecc. “(Cfr. Italo Spada, L’inganno consueto, op. cit. pag.32)

[5] “La panoramica si ottiene facendo muovere la macchi­na da presa attorno al proprio asse, o in senso orizzontale (da destra verso sinistra o viceversa), o in senso verticale (dall’alto verso il basso o viceversa), o in senso obliquo.

Se la si esamina in funzione narrativa, la panoramica può essere:

1) descrittiva: quando l’inquadratura fissa non è suf­ficiente a descrivere il paesaggio e l’ambiente, la panora­mica descrittiva spazia da un punto all’altro, rallentando il ritmo e concedendo una pausa al racconto;

2) narrativa (o di lento legame tra due inquadratu­re diverse): si usa in genere per stabilire un rapporto tra il punto di partenza e quello di arrivo, con una relazione spaziale che implica l’immissione di un nuovo elemento nella dinamica del racconto. (Esempio: un uomo entra felice a casa sua ed ecco che cambia subito l’espressione del suo viso. Lo spettatore si chiede: che cosa è successo? La lenta panoramica narrativa sullo scompiglio generale dei cassetti dei mobili ci fa capire la causa della sua preoc­cupazione: sono entrati i ladri a casa sua);

3) a schiaffo (o di veloce legame tra due diverse inquadrature): in questo caso le immagini intermedie non sono percettibili e la panoramica ha lo scopo di provocare nello spettatore un’emozione, di coinvolgerlo facendogli “scoprire” qualcosa di inaspettato. “(Cfr. Italo Spada, L’inganno consueto, op. cit. pag.111 )

 

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