“Sono Vincent e non ho paura” di Enne Koens, Camelozampa, 2022

di Cosimo Rodia

 

“Sono Vincent e non ho paura” di Enne Koens è un romanzo che parla di bullismo, ma anche di avventura, amicizia, scuola, famiglia.

Vincent è un ragazzo riservato, dagli interessi specialistici, conosce il manuale di sopravvivenza a memoria, le qualità organolettiche delle piante, è diligente a scuola, ed è bullizzato da un leader negativo, che diventa persecuzione, quando nella classe giunge Jas, una ragazza solare, che interagisce proprio con Vincent, montando la rabbia degli esclusi.

La situazione precipita nel campo scuola, quando il bullo ferisce la sua vittima, che, sanguinante, scappa verso il bosco, col proposito di non tornare più indietro. Jas lo intercetta, lo segue e grazie ai suoi suggerimenti, Vincent ha la forza di raccontare tutte le violenze subite: dire la verità diventa l’unico modo per liberarsi dal fardello della sudditanza, beneficando nel contempo anche i compagni di classe silenti.

Un messaggio esemplare per tutti: Con un amico al proprio fianco cresce il coraggio di parlare, spezzando il filo del silenzio e uscendo dal tunnel della paura.

Un libro effervescente, allegro, avventuroso, in cui la realtà entra nel racconto con richiami, propositi, esperienze.

La forza del romanzo (ottimamente tradotto da Olga Amagliani) risiede certamente nelle scelte stilistiche dell’Autrice olandese, che adotta il punto di vista interno nella narrazione, per cui il lettore è come se vedesse scorrere su uno schermo i pensieri, le volizioni, le paure dei protagonisti; poi, il tono espressivo usato, ora ironico, ora oggettivo; infine, la struttura dialogica, molto efficace ed essenziale. Originale, inoltre, sono i passaggi del racconto, in cui il protagonista vive la violenza, poggiati sicuramente su studi psicoanalitici.

Nel difficile processo verso l’autonomia, il fanciullo deve distanziarsi dal contenuto del proprio inconscio e vederlo come qualcosa di esterno a sé, per poterlo padroneggiare in qualche modo, scrive Bettelheim. La traslazione su un piano fantastico delle cose insopportabili rende sopportabile una vita evidentemente problematica.

Il piano fantastico dei quattro animaletti che accompagnano Vincent nell’affrontare le violenze subite, non è che una possibilità di scaricare le tensioni soggettive senza che esse siano frenanti e dannose per l’agire: siamo all’elaborazione fantastica della realtà, così come essa è vista da un soggetto in formazione. Senza l’interlocuzione, tutta soggettiva, con gli amici animali, che nella storia hanno un ruolo regolativo, il protagonista si sarebbe annichilito e caduto nell’inazione. Il mostro che è nel fanciullo, grazie alla fantasia, viene fuori; la paura che il bullo possa fargli male fisico, o addirittura portarlo alla morte, non avvilisce Vincent, nella misura in cui le vocine del cavallino, del coleottero, dello scoiattolo e del verme, gli danno la dritta, lo sollecitano ad agire, lo spingono ad assumere atteggiamenti positivi verso la vita. Le fantasie sono funzionali, così, al raggiungimento di un equilibrio tale da consentire a Vincent di continuare a vivere e a impegnarsi.

È un romanzo scritto con leggerezza e con un registro medio e a volte colloquiale, che per il suo contenuto può stimolare una riflessione su problemi che potrebbero incancrenirsi se non si trova la giusta e tempestiva soluzione.

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