Una lettera all’Autrice di “Flamenco e cioccolato”

di Angelo Petrosino

 

Cara Maria Pia,

dopo aver letto la prefazione di Palumbo al tuo libro e le altre recensioni che ne hanno sviscerato il contenuto con lucidità e affetto insieme, mi sono detto: – Cosa posso aggiungere di più con i miei poveri mezzi critici, per scoprire le perle palesi e nascoste dell’itinerario ora sereno, ora tormentato, ora stupito, ora disilluso ma mai rassegnato che hai tracciato come la sintesi di una vita breve e lunga a un tempo?

Allora, mi sono messo a leggere le tue pagine semplicemente come chi si accinge a libare un pasto offerto come un dono libero e generoso.

E ho subito afferrato una delle tre matite che sono davanti a me sulla scrivania per cominciare a sottolineare versi su cui tornare, immagini da riassaporare,

affermazioni come memento da tesaurizzare, a cominciare dagli “esili passeri/ sul filo dell’attesa”, dalla “luce che attraversa/senza peso/un papavero rosso sorriso/nel volto del cielo”, a “il coraggio/ di mandare al macero/i gufi impagliati..” a “culla spighe assorte il sole/immobile meridiana/senz’ombra” e potrei continuare a lungo con i tanti luoghi dove ho trovato riassunti pensieri, esitazioni esistenziali, non detti celati per pudore.

C’è una intera vita in questi tuoi versi. Anzi, più vite. Quelle vissute, quelle sulla cui soglia ci si è fermati, quelle che si intravedono e quelle sognate.

Luoghi, tempi, voci, si incontrano e si sciolgono gli uni negli altri. Mai la semplice nostalgia si fa solo rammarico. Più spesso è la spinta a guardare oltre, a proteggere ciò che ci ha accompagnati, fatti crescere e cambiare.

Non è semplice scorgere nel presente il deposito di eventi passati e i semi dell’avvenire. Mi sembra che tu ci sia riuscita.

È un miracolo quando si riesce a dominare le emozioni riducendole a purezze essenziali, a sezionare i sentimenti senza distruggerli e a trasmetterli intatti al lettore complice che li legge e se ne appropria come di una conquista a lungo cercata.

Fisicità e impalpabilità, peso e leggerezza, soste e guizzi improvvisi si alternano di pagina in pagina, ti prendono per mano e ti invitano a non aver paura di te stesso e del mistero che qua e là ti avvolge e vuole schiacciarti. Se la poesia non fa questo, a cos’altro servirebbe? Ma bisogna saperlo fare. E tu sai farlo.

Ho trascorso un intero pomeriggio in compagnia del tuo libro e non ho più avuto voglia di fare altro quando ho voltato l’ultima pagina.

Un abbraccio, Angelo.

 

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