L’ultimo libro di Emma Olsen di Berta Dávila, Aguaplano, 2022.

di Carla Saracino

 

Ci sono storie che affondano il peso della vita nella coltre del tempo. Così il tempo, banco di copertura, di alibi, di ossessioni e di devozioni, va sgretolandosi nella fredda composizione delle incisioni, come se a un primo taglio, necessario, fosse possibile farne succedere altri, ben più urgenti e fatali.
È il caso di questo meraviglioso romanzo di Berta Dávila: “L’ultimo libro di Emma Olsen”, Aguaplano, 2022, tradotto da Marco Paone, colmo di sentimenti conclusivi, estremi, perfettamente dolenti quanto lo stesso atto di rievocarli.

È la storia di un’affermata scrittrice, Emma Olsen, che poco prima di morire sceglie di tornare nel suo paese di origine e raccontare, dalla casa dell’adolescenza, ciò che è rimasto inespresso o, forse, ciò che l’inespresso ha scritto nella invisibilità delle parti, in quel lembo del pudore in cui la memoria ama a volte oscurarsi.
La vita che rimane ad Emma Olsen è destinata ad essere narrata, affinché il cerchio del confine delle età non disperda la sua materia sospesa, indicibilmente ancorata all’irriproducibile, ovvero al passato che non è ancora stato definitivamente nominato.
Così avviene che la narrazione tocchi le corde profonde di ciò che ogni esistenza si porta dietro nell’inevitabile accumulo del bilancio: passaggi, memorie, sedimenti di apparizioni, messaggi, poetiche del perdono e dell’arresto, sublimazioni, fraintendimenti, maschere e costumi, pezzi, residui, fratture, amori, non detti. E tuttavia non è un inventario che riepiloga il passato. Questo romanzo non è un resoconto nostalgico né elencativo delle frasi spezzate o delle sotterranee abnormi incidenze che caratterizzano una vita al capolinea. È piuttosto, affermerei, una sprofondata eclissi, una ambizione alla sparizione: da ogni dubbio, da ogni colpa, da ogni assalto imperdonato.
In una lucida e quasi onnipresente grazia rievocativa, Emma Olsen ha bisogno di tornare a casa per morire. Ha bisogno di risolcare i volti che pronunciarono la sua prima età; di riconvocare le ombre degli assenti; di vedere, attraverso la via destinale della scrittura, la fine dal punto più alto della infelicità, che equivale forse alla felicità estrema di non avere più conti in sospeso.
Così Emma Olsen racconta di amicizia, tradimenti, cambiamenti, soprattutto di scoperte e rivelazioni. La fuga delle sue età si imbarca negli anni, passa tra gli interstizi, ruba le vecchie e le nuove parole, le scene, le suggestioni, finché il ritorno a casa non coincide con la scrittura del congedo, una delle forme di assoluzione più compassionevoli e nobili rispetto alla inevitabilità della morte.
L’ultimo libro di Emma Olsen ha il pregio di sostare nel fondo delle cose che agiscono: parlanti, tra queste pagine, non sono solo i protagonisti. Viventi sono i giorni raccontati, le toccanti remissioni, l’umanità descritta nelle sue ampie sfaccettature, una certa lacrima che passa dalla prima all’ultima pagina e che rischiara di una luce diversa il senso della commozione.

(Recensione apparsa sulla rivista digitale Monolith monolithvolume.com il 2 aprile 2022).

 

 

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