EsserCi di Cosimo Rodia, Interzona news, 2022

di Gianni Antonio Palumbo

 

E’ un’opera interessante e coinvolgente questo EsserCi di Cosimo Rodia, che si conferma poeta raffinato e al contempo comunicativo.

L’agile volume è stato edito per i tipi di Interzona news, nell’ambito della Collana “Poesia del secolo XXI”.

Elegante la scelta per l’esergo di un testo di Mario Benedetti, Quando s’incatina il cielo, che già contribuisce a suggerire la fisionomia di una raccolta che fonde contemplazione e senso della terra, inseguendo “l’incanto rotto dei pensieri”.

Il primo testo, Appena, mostra l’attenzione dell’autore alla scoperta e alla delibazione della bellezza. Nascono così quei momenti della vita in cui basta l’indugiare dello “sguardo tra cirri pellegrini”, lasciandosi cullare dal “vociare di passanti sconosciuti”, per avvertire gli entusiasmi suscitati da eventi semplici eppure prodigiosi quali lo schiudersi di un fiore. È proprio in quegli attimi epifanici che, “nello spazio / breve di una illuminazione” (La vita), si possono cogliere barlumi dell’invisibile, dell’essenziale.

L’opera vive di questo amebeo tra tensione all’incanto e consapevolezza della frenesia e dell’alienazione dei tempi contemporanei, di cui emblema diviene “Il selvaggio metropolitano”. Se nell’Angelus, uno dei testi più intensi, emerge il tema dell’apparente silenzio del Sacro (“E Dio è sempre l’alito invisibile / ottuso ai sensi terreni!”), in altri vibra lo smascheramento dell’inganno dell’ideale d’humanitas e torreggia il verbo plautino dell’Asinaria, rideclinato da Hobbes, dell’homo homini lupus (l’icona del lupo riaffiorerà anche nell’incipit di Luna). La perdita del senso della gentilezza, “i fatti bruti della storia”, l’ipocrisia che vela la totale assenza di umanità del genere umano sono così affermati con forza in L’humanitas?, componimento di sapore gnomico, in cui l’ennui dell’elencazione dei luoghi dei diritti conculcati si alterna al riecheggiare di espressioni, segno della perpetuità del Male, legate alla cultura latina.

EsserCi non è, però, una raccolta che esprima disperazione. L’autore ricerca occasioni di grazia, che passano per l’esperienza individuale ma anche attraverso l’anelito al rinsaldarsi della solidarietà collettiva. Importante la rammemorazione di una civiltà contadina più a misura d’uomo; di essa si segnalano il senso di perdita (I giorni del rimando) e la straniante deformazione delle sue insegne (penso a “gli ulivi spettrali e le terre / bruciate nel Salento”). È però vero che quella civiltà e cultura, peraltro non esenti da pesanti storture, continuano a rivivere nel tempo ontologico della Bellezza, a parlarci con il loro semplice “EsserCi”, un po’ come avveniva per l’heideggeriano tempio greco di Der Ursprung des Kunstwerkes: “I coni di pietra secolare / tra le Murge sono come / in una campana di vetro / a mostrare una civiltà / della memoria che rende insipienti / gli agi moderni”. Non è casuale che il testo appena citato, Alberobello, si collochi in chiusura del volume. Volume di cui segnaliamo anche altre poesie che ci sono apparse molto interessanti, quali l’incipit di Il male (“Il male che scende / nella carne sana e la deturpa”) o Si progetta, connotato dallo sguardo lucido e da immagini efficaci nell’assimilazione dell’umano agire a un ricamare “con le dita rigide / dopo aver scavato / nella roccia calcarea”. In generale, il motivo dello scavare è nella silloge significativo, insieme all’idea dell’erosione e della corrosione. Se tutto potrebbe apparire intaccato o intaccabile dal tarlo edace della rovina, dal “sacco rosicchiato” continuano comunque a cadere semi (cito ancora da Alberobello). Così, fedele a una parola “tetragona” (termine che ha nobili ascendenze, a cominciare da Dante) ai cedimenti al fatuo chiacchierio ‘seriale’, Rodia si congeda dal lettore facendo balenare la possibilità che quei semi attecchiscano e qualcosa cambi, persino l’incedere della vita stessa.

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