“Il quaderno dell’amore perduto” di Valérie Perrin

di Fulvia Degl’Innocenti

 

Dopo lo straordinario successo di “Cambiare l’acqua ai fiori”, torna in libreria il romanzo di esordio di Valérie Perrin: “IL QUADERNO DELL’AMORE PERDUTO”, uscito per la prima volta sempre per Nord, nel 2016.

Dopo un avvio un po’ faticoso, la storia si sviluppa in modo coinvolgente ed emozionante. In realtà si tratta di tre piani temporali portati avanti in parallelo: Justine, 21 anni, è un’assistente infermiera in una casa di riposo di Milly, un centro ormai spopolato nel cuore della Francia. È rimasta orfana a 4 anni dopo la morte dei genitori in un incidente d’auto ed è cresciuta con i nonni paterni e il cugino, anch’egli orfano. Ha un amore particolare per le persone anziane e sta scrivendo la storia di un’ospite, Hélène, che ricorda il suo amore con Lucien. Lei, sartina dislessica senza sapere di esserlo (negli anni Trenta il disturbo non era conosciuto), non era in grado di leggere ma lui le aveva insegnato a farlo con l’alfabeto braille sui libri usati dal padre cieco. Diventati gestori di un bistrot, i due coniugi durante l’occupazione nazista avevano nascosto un ebreo in cantina. Quando la cosa era stata scoperta, Lucien era stato portato a Buchenwald dove, alla fine della guerra, per colpa di una ferita alla testa aveva perso la memoria, e non aveva fatto inizialmente ritorno a casa.

Intanto la casa di riposo è funestata da un Corvo misterioso che, alterando la voce, fa delle telefonate ai familiari degli ospiti annunciando la loro morte che in realtà non è avvenuta. Così i parenti che hanno dimenticato i loro congiunti e non li vanno mai a trovare, sono costretti a presentarsi, per scoprire che sono ancora vivi e vegeti e felicissimi di avere visite. Justine è anche impegnata a fare luce sulla morte dei genitori, perché sospetta che l’incidente non sia stato fortuito. E addentrandosi nelle relazioni familiari scopre una verità sconvolgente.

Le vicende sono appassionanti come quelle di un feuilleton, ma i personaggi sono vividi, originali, ben tratteggiati, densi di sfumature. Dietro a molti di essi, in apparenza limpidi, si annida il germe della cattiveria, senza che in essa si identifichino in toto. Poiché è dell’animo umano essere complessi e contraddittori. In particolare la terza età viene dipinta con amorevolezza e comprensione, vista con gli occhi della giovane protagonista che considera i suoi anziani pazienti come scrigni di memorie e di emozioni, che vivono nei loro ricordi, bisognosi di ascolto e attenzioni.

 

(recensione pubblicata sul n. X/2021 di Famiglia Cristiana)

 

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