L’avventura pura in Emilio Salgari

di Cosimo Rodia

 

Il più grande romanziere italiano del genere avventuroso è Emilio Salgari (1862-1911), uno scrittore più che prolifico: 80 romanzi e 150 racconti. Sin dall’inizio ha avuto detrattori (tanti) ed estimatori (pochi). Tra le prime autorevoli voci a favore troviamo Olga Visentini che scrive: «In lui [Salgari] fu continua l’esaltazione avventurosa che negli adolescenti è transitoria ma in quell’esaltazione c’è un vigore che non va trascurato»[1] . Lina Sacchetti, tra riserve e ammissioni, scrive: «Eppure i libri di Salgari sono piaciuti ai ragazzi e piacciono ancora. Avranno dunque qualcosa di attraente. Il ragazzo non è sottile o cavilloso come noi. Passa oltre; ha la mentalità elementare di quegli eroi: e per essi si entusiasma fino alla frenesia»[2]. Un giudizio sul quale più tardi si troverà d’accordo anche Daniele Giancane[3].  Non lo disprezza Luigi Santucci[4]. Lo rivalutano decisamente Antonio Faeti[5] e i suoi allievi.

Soffermiamoci su alcuni romanzi rappresentativi dei due cicli più importanti sia per successo di lettori, sia per trasposizioni cinematografiche: il ciclo dei pirati della Malesia, che consta di undici romanzi[6], e quello dei corsari delle Antille, che ne conta cinque[7].

I due romanzi da inquadrare sono Le tigri di Mompracem (1883-1884), per il ciclo della Malesia e La regina dei Caraibi (1901)  per il secondo ciclo.

 

La tigre di Mompracem

 

Il primo romanzo, già pubblicato col titolo La tigre della Malesia in 150 puntate sul quotidiano di Verona “La Nuova Arena”, è tra i più importanti del ciclo malese, per la presentazione di personaggi, ambienti e tipologie di azioni, che sarebbero diventati seriali. L’eroe è Sandokan, un principe detronizzato dagli inglesi. Siamo intorno alla metà dell’800. Il protagonista alto, bello, giovane, forte, giusto, combatte e diventa pirata; lo scopo è vendicare i genitori e la sua gente trucidata dai militari inglesi. Con i suoi tigrotti, la Tigre abita nell’isola di Mompracem, in cui si rifugia dopo arrembaggi, battaglie, ruberie. Sandokan ha un amico fidato, Yanez, 34 anni, portoghese, ironico, astuto, impavido.

Il romanzo inizia con Sandokan che programma di recarsi a Labuan per vedere la fanciulla considerata tra le meraviglie del mondo. È la molla che spinge il pirata a compiere un’impresa temeraria. Parte con una piccola flotta di prahos, ma incrociano gli inglesi, che nello scontro hanno la meglio; Sandokan finisce in mare ferito; aggrappato a un relitto, giunge a riva. È recuperato da Lord James Guillonk, zio di lady Marianna, la “perla di Labuan”. Durante la convalescenza, i due s’innamorano. Quando lo zio scopre l’identità dell’ospite, tenta di catturarlo, ma Sandokan ritorna a Mompracem. Qui prepara un’altra spedizione con lo scopo di rapire Marianna, di cui l’eroe non può più farne a meno. Parte un’altra flotta di pirati, ma una tempesta la disperde. Sandokan e Yanez, sopravvissuti, giungono naufraghi sotto la finestra di Marianna; ma devono ancora fuggire. Si nascondono nella giungla e incontrano pantere, orang utang e altri animali pericolosi. Catturano un militare; Yanez prende il suo posto e si reca da Lord James; e fingendo di portare ordini da Vittoria lo induce a partire per la città; infine, chiede di consegnare a Marianna una lettera del baronetto William Rosenthal, pretendente della ragazza. Yanez incontra la perla di Labuan e le spiega che Sandokan l’avrebbe rapita lungo il viaggio. Il piano funziona; i due innamorati si abbracciano e si imbarcano, raggiungendo Mompracem. Marianna diventa la regina dell’isola. Nel frattempo gli inglesi si alleano con altre potenze e bombardano l’isola. Sandokan e alcuni fidati guadagnano il mare con tre legni; ma vengono raggiunti e la nave della Tigre distrutta; i due innamorati cadono prigionieri. Sull’incrociatore inglese, la Tigre escogita un piano per scappare: ingoia una pillola, che gli procura una morte apparente. Marianna spinge il capitano a buttarlo in mare. Sandokan rinviene ed è recuperato da Yanez. I pirati inseguono l’incrociatore, l’assalgono e Sandokan riabbraccia Marianna. Quindi ripartono verso terre lontane per rifarsi una vita; le ultime battute del romanzo sono: «La Tigre è morta e per sempre!»[8].

È un libro d’avventura arrembante e senza pace; schema che si ripete con la stessa intensità negli altri romanzi.

Le riserve su Salgari sono state espresse da molti critici principalmente per lo stile, non sempre ineccepibile, come si potrebbe evincere dal seguente capoverso: «Sandokan dopo di aver fatto ripulire il ponte …»[9]. O forse per la ridondanza o l’enfasi di molti passaggi, come si evince dalle seguenti espressioni: «Lotta titanica»[10]; «I dodici pirati, cogli occhi stravolti schiumanti di rabbia»[11]; «Forza prodigiosa»[12]; «Gigantesca passione»[13]. O per la teatralità di alcune scene; ad esempio, di fronte alla tempesta Sandokan sfida le forze del mare e dice: «Vieni a lottare con me, o uragano, io ti sfido!»[14]. Ma è unanimemente riconosciuto a Salgari la grandissima capacità di orchestrare storie, di accavallare avvenimenti, di sviluppare la trama attraverso dialoghi serrati. La fortuna del romanzo, compresi gli altri della serie, è racchiusa in alcuni caratteri peculiari. Lina Sacchetti è stata tra le prime a dire che nei romanzi di Salgari ci sono i caratteri propri della letteratura ragazzi: ignoto, nobiltà dell’eroe, trasparenza della costruzione. Noi aggiungiamo il lieto fine e la presenza del mistero alimentato dalle foreste, dalle giungle, dal mare, dal buio, dal viaggio.           Luoghi che sono l’Altrove entro cui ognuno proietta i propri desideri. A primeggiare è certamente la nobiltà dell’eroe, una spanna superiore agli altri personaggi, buono e generoso. Quando la Tigre cattura il sergente potrebbe ucciderlo, ma non lo fa; come non uccide lo zio di Marianna nell’imboscata. Un eroe così è più vicino a quello delle fiabe che ai protagonisti dei romanzi di Dumas, Hugo, Scott, Melville…, così come è stato rilevato da alcuni critici[15].

Una eventuale vicinanza di Salgari a tali romanzieri, suppongo, potrà riscontrarsi per le trovate narrative o per alcune tecniche utilizzate: l’anticipazione, veleni, colpi di scena, l’isola come luogo franco in cui non giunge il braccio armato del potere iniquo; oltre al ritmo, alla composizione, al dosaggio di effetti. Allora non sarebbe peregrino pensare che in Salgari giochi più la memoria culturale a cui nessuno scrittore  si sottrae. Poi, non sarebbe escluso che nel caratterizzare un eroe, lo scrittore si sia fatto condizionare da qualche mito che aleggiava nell’immaginario collettivo del suo tempo; infatti, c’è chi avvicina l’eroe salgariano a Garibaldi[16].

Costitutiva e vincente è la formidabile capacità salgariana di far procedere la storia sempre in mezzo ai marosi. Non c’è mai un momento di quiete, dicevamo, un’ansa dove far riposare i navigli; e lì dove sembra si distenda una scena tranquilla, non manca l’annuncio di una catastrofe imminente. Il movimento perenne crea un formidabile climax. E poi l’amore è il grande motore della storia. Sandokan decide di sfidare gli inglesi solo per vedere la perla di Labuan. E l’amore è fatto di slancio puro, quasi come una forza trascendente. Marianna ha caratteri celestiali, che scatenano e motivano l’agire. Le azioni più temerarie sono compiute per amore di Marianna; una bellezza eterea, plastica, paradisiaca. Marianna, infatti, ha un fiume di capelli d’oro, occhi celestiali, un ovale perfetto:

 

«Si avanzava, sfiorando appena il tappeto, una splendida creatura, alla cui vista Sandokan non poté trattenere una esclamazione di sorpresa e di ammirazione.

Era una fanciulla di sedici o diciassette anni, dalla taglia piccola, ma snella ed elegante, dalle forme superbamente modellate, dalla cintura così stretta che una sola mano sarebbe bastata per circondarla, dalla pelle rosea e fresca come un fiore appena sbocciato.

Aveva una testolina ammirevole, con due occhi azzurri come l’acqua del mare, una fronte d’incomparabile precisione, sotto la quale spiccavano due sopracciglia leggiadramente arcuate e che quasi si toccavano.

Una capigliatura bionda le scendeva in pittoresco disordine, come una pioggia d’oro, sul bianco busticino che le copriva il seno.

Il pirata nel vedere quella donna […] si era sentito scuotere fino in fondo all’anima. Quell’uomo così fiero, così sanguinario […] per la rima volta in vita sua si sentiva affascinato dinanzi a quella gentile creatura, dinanzi a quel leggiadro fiore sorto sotto i boschi di Labuan.

Il suo cuore, che poco prima batteva precipitosamente, ora ardeva e nelle vene gli pareva che scorressero lingue di fuoco»[17].

 

Sembra più la rappresentazione di un angelo del paradiso, che vola anziché camminare. Inoltre, direi, che gli eroi, naturalmente belli, racchiudono nel loro grado di bellezza anche altre virtù, come la bontà, la solidarietà, la fedeltà.

Importante, sempre a proposito dell’eroe, il suo incedere: maestoso, solenne, sicuro, altero. Caratteri che servono ad ingigantirne la figura. Sandokan primeggia nel fisico, nel coraggio, nei sentimenti, nelle passioni. I soldati che gli danno la caccia lo scambiano addirittura per un fantasma.

E Sandokan conserva i suoi caratteri, anche quando s’innamora. Per questo, a me pare che l’eroe salgariano sia come quello delle fiabe. Le descrizioni, infatti, servono più per disegnare un’aureola che ad approfondire la psicologia del personaggio. Da buon eroe ha nelle proprie azioni tutti gli opposti: è feroce ma anche buono; è un portento ma anche umano; ha le mani insanguinate ma si commuove davanti alla bellezza fragile di Marianna; un’ambivalenza che affascina. Sandokan non è un sanguinario fine a sè stesso; ha certamente un motivo per lottare contro gli inglesi. C’è una ragione per cui cova sentimenti di vendetta e uccide senza pietà: si ribella alle sopraffazioni e allo sfruttamento. Lotta contro gli usurpatori, ed è un nobile oltre che di casato anche di spirito, tanto che anziché uccidere un disarmato lo lascia libero, purché inoffensivo; e ciò ne accresce il carattere leggendario.

Un’altra caratteristica nei romanzi salgariani è che nel narrare battaglie con morti, distruzione, sangue… non prevale mai l’aspetto truculento, perché a campeggiare è l’eroe con le sue gesta; le altre figure sono come tante comparse col fine di esaltare le scene in cui agisce il protagonista. La morte è un sentimento che aleggia senza prendere mai la scena. I morti, i dispersi, le navi affondate sono tanti tasselli, tante voci che incitano ad agire, ma sono svestiti della tragicità che la morte generalmente porta con sé. È come quando si guarda in TV una battaglia vera; si seguono le immagini, ma  non si odono le grida strazianti, come non si sente l’odore acre del sangue e non si tocca la sofferenza.

 

La Regina dei Caraibi

Pur cambiando la collocazione storico-geografica, gli aspetti generali delle avventure salgariane si ripropongono nei romanzi del ciclo dei corsari delle Antille.

La Regina dei Caraibi è un romanzo mediano all’interno del ciclo, per il fatto di contenere i personaggi e le ragioni della trama del primo romanzo e i presupposti per i successivi.

Il carattere narrativo che primeggia è l’affabulazione arrembante, che rende la trama un vortice continuo di avvenimenti, con l’incombenza che qualcosa stia per accadere. Come ha affermato Giuliano Gramigna[18], i romanzi di Salgari sono portentosi congegni che creano emozioni e desideri. L’Autore è una “macchina da guerra” straordinaria nel creare storie e nel produrre avvenimenti.

Non so se in passato esistessero gli editor, ma sarebbe stato sufficiente un breve lavoro di editing a rendere inattaccabili romanzi forse eccessivamente criticati. E l’ammissione della necessità di un ritocco formale non è una diminutio dell’opera. Un ottimo grammatico non è detto che scriva un romanzo; la condizione essenziale, invece, è la capacità di creare storie e situazioni; e Salgari in questo è un talento puro. Lo dicono i numeri: 80 romanzi e 150 racconti, oltre a svariati articoli; inizia a collaborare con “L’Arena” a 21 anni e muore suicida a 49. Tanta produzione in un arco di tempo così breve, è possibile solo a un grande talento.

Le tecniche usate anche nel ciclo dei Caraibi, sono le stesse. Salgari divide i protagonisti in buoni e cattivi; e i tigrotti e i filibustieri appartengono alla prima categoria. La scrittura è epica, per lo spazio dato alle grandi battaglie, funestate da vento, pioggia, buio … È cinematografico, da vero kolossal, per le scene di scontri e di arrembaggi o di assedi. C’è sempre un aiutante che sostiene l’eroe in difficoltà. Sandokan è aiutato proprio da Lord Guillonk, come è aiutato da un tigrotto per giungere a Mompracem. Il Corsaro Nero è aiutato da Yari, un’indiana che addirittura l’aspettava per vendicarsi del comune nemico… C’è la struttura dialogica incalzante attraverso cui si snoda l’azione, rendendo la narrazione briosa. Troviamo pure un’adesione alla linea antimperialista, sia quando parla degli inglesi dell’800 che degli spagnoli del ۥ600.

Perché piacciono, dunque, questi romanzi, tipici del genere d’avventura e certamente unici in Italia d’inizio secolo? I romanzi con ambientazioni e incontri inaspettati aprono le porte all’Altrove pensato e agognato; tempeste, giungle, bufere, serpenti, tigri, pugnali, diamanti, oro, sono elementi usati per declinare una nuova realtà, tutta fantastica, in cui però ognuno può proiettare i propri sogni. Rimane che, a fianco al fuoco, mai domo, di produrre una trama e stendere un romanzo, c’è la morale salgariana che la vita è una perenne battaglia, un combattimento che si rinnova di continuo, al termine del quale la vittoria arride a chi non si arrende alle sopraffazioni.

Era probabilmente una speranza personale, solo che stressato da mille incombenze e senza la moglie, Salgari non è stato all’altezza dei suoi personaggi, ai quali, invece, ha riservato il lieto fine e ha assicurato durata non effimera alla posterità.

Anche ne La regina dei Caraibi la causa delle peripezie del Corsaro Nero è una ragione sentimentale, che attiene alla sfera dell’eticità. Ne La tigre di Mompracem le peripezie iniziano quando la Tigre vuole conoscere la Perla di Labuan; ne La regina dei Caraibi il signore di Ventimiglia lascia il feudo italiano, arma una nave, s’imbarca per vendicare i fratelli uccisi dall’avido duca Wan Guld, che bramoso di ricchezze, non aveva esitato a derubarli e ad assassinarli. L’onore di famiglia impone la vendetta, ma la logica del sangue si contrappone alla logica dell’amore. Il Corsaro Nero s’innamora, corrisposto, della figlia di Wan Guld, Honorata. E qui le due forze titaniche ingaggiano una guerra nell’animo del protagonista, che sfiora la soglia della pazzia.  A prevalere è l’amore, e i due dopo varie vicende si riabbracciano e partono per un Altrove, tagliando con il passato, per rinascere. Anche in Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, Morgan con a fianco Jolanda rinuncia alla pirateria.

La regina dei Caraibi è la continuazione de Il Corsaro Nero (1898). Siamo nel 1653 (una cornice storica solo per contestualizzare genericamente alcuni avvenimenti e personaggi veramente esistiti), il Corsaro Nero è nel mare dei Caraibi e in piena tempesta arriva a Puerto Limon con la sua Folgore. Sbarca e con i suoi fidati Carmaux, Wan Stiller e Moko giunge alla casa di don Pablo de Ribeira, l’amministratore del duca Wan Guld, cui chiede sia di Honorata, la fidanzata che aveva abbandonato in mare, suo malgrado, per essere figlia di Wan Guld, sia del duca. L’amministratore l’informa che il padrone è a Vera-Cruz, ma a tradimento li rinchiude in un tunnel, da cui escono grazie all’intervento di Yara, una giovane principessa indiana, a cui Wan Guld, tradendo l’ospitalità per impossessarsi dell’oro, ha ucciso genitori e fratelli. Il Corsaro, libero, è costretto a riparare nella torretta della casa per l’intervento dei soldati. In contemporanea gli spagnoli attaccano la Folgore, ma la nave corsara, in mano al luogotenente Morgan, con manovre audaci si libera dell’agguato; i filibustieri sbarcano e liberano il Corsaro Nero nel frattempo ferito, quindi ripartono per dirigersi a Vera Cruz.

Le azioni si muovono sul quadrante di avvenimenti storici, quali lo sterminio degli indigeni d’America, la rapina dell’oro da parte degli europei; la guerra tra Spagna, da una parte, e Francia, Olanda e Inghilterra, dall’altra, nel secolo XVII. Prima dell’assalto di Vera Cruz, il Corsaro Nero incontra altri pirati della Tortuga: Grammont, nobile francese, Laurente de Graff, olandese, Wan Horn, fiammingo, con cui programma il sacco della città. Ripartono e lungo la navigazione si avvicendano arrembaggi e inseguimenti, finché dopo una serie di peripezie giungono a Vera Cruz; attraversano boschi intrigati, si imbattono in animali feroci e finalmente con l’aiuto di Yari, già schiava della marchesa di Bermejo, trovano Wan Guld, in compagnia proprio della nobildonna; il Corsaro Nero tentenna nel vederlo disarmato e il duca riesce a fuggire; nel frattempo il pirata risparmia la marchesa, ma con il sopraggiungono dei soldati uccidono Yari. La nobildonna, attratta dalla elevatezza del Corsaro, scrive una lettera destinata a Diego Dandorf, affinché dia all’eroe le informazioni volute. Vera Cruz nel frattempo cade in mano ai pirati, eccetto il forte di San Giovanni, dove si reca proprio il Corsaro per incontrare Diego, da cui apprende che Honorata è viva tra i selvaggi della Florida e che il marchese è fuggito a Cuba. Quando Diego capisce che ha di fronte il famoso filibustiere, lo fa catturare e lo imbarca sull’“Alhambra” in rotta per Cardenas di Cuba per consegnarlo a Wan Guld. Morgan con la Folgore si mette all’inseguimento. È sempre una corsa contro il tempo. I pirati prima raggiungono l’”Alhambra”, liberano il Corsaro Nero e, infine, ingaggiano un duello sul mare con Wan Guld. Lo scontro è epico: in piena tempesta, con vento, pioggia, buio e lampi:

 

«Il Corsaro Nero e il duca fiammingo si videro. Entrambi guidavano le loro navi; entrambi avevano il medesimo sguardo terribile. Quella livida luce non era durata che tre secondi; ma erano bastati, perché i due formidabili avversari si guardassero e si comprendessero.

Due grida echeggiarono nello stesso istante sui due vascelli. Fuoco! – gridò il Corsaro.

Fuoco! – urlò il fiammingo. Le due navi avvamparono simultaneamente. La lotta cominciava nell’orribile sconvolgimento del mare: una lotta tremenda senza quartiere. La grossa fregata sembrava un vulcano. Le sue batterie, piene di cannoni, vomitavano senza posa torrenti di palle e di granate e scagliavano  uragani di mitraglia. Ma anche la filibusteria non restava inerte, ogni volta che l’onda la innalzava, i suoi cannoni tuonavano con fracasso orrendo»[19].

In questo scontro titanico la nave spagnola affonda, Wan Guld muore, il Corsaro Nero cade in mare e con i tre amici si affida alla corrente, mentre la Folgore si allontana, danneggiata. Giungono  sulle coste selvagge della Florida. Dopo aver superato foreste, animali selvaggi, luoghi impervi, sono fatti prigionieri dagli indiani d’America, presentati come bellicosi e antropofagi, per via delle violenze operate dagli spagnoli. Quando stanno per essere mangiati, sono liberati, perché la loro regina è Honorata. La principessa incontra il Corsaro Nero e si dichiarano il loro amore; si portano verso il mare; il pirata prende in braccio la ragazza e s’incammina nell’acqua in preda ad un vaneggiamento, mentre vede i fantasmi dei familiari morti: ognuno reclama vendetta; ma prevale l’amore e di nascosto i due innamorati tagliano la coda. Gli amici corsari li cercano senza risultato.          Il romanzo si chiude con le seguenti parole: «Il Corsaro Nero era scomparso, senza lasciar traccia. Solamente sei anni più tardi, quando Morgan era diventato famoso, un capitano fiammingo che veniva dall’Europa gli consegnò un piccolo scudo d’oro, portante nel mezzo gli stemmi del signore di Ventimiglia e di Wan Guld, e asserì che gli era stato dato da un vecchio marinaio italiano»[20]. È la chiusa che lancia uno spiraglio per una nuova storia; un tipico gancio dei romanzi seriali.

La scrittura di Salgari è veloce, dicevamo, poco letteraria, rapida e senza fronzoli, dialoghi serrati e incalzanti, uno stile carico di enfasi e di iperboli, con lunghe elencazioni di aspetti geografici legati alla flora e fauna, elenchi di nomi scientifici presi sicuramente da enciclopedie, tali da costituire comunque una peculiarità. Molti di questi aspetti sono stati valutati negativamente dai critici, al punto da bocciare anziché promuovere Salgari scrittore. Ma ad una lettura più attenta, se guardiamo i passaggi iperbolici, le cose perdono la loro dimensione naturale, per vestirsi di significati evocati. Per cui i riferimenti ai nomi di fiori e piante, oppure ad animali rari e feroci, definiscono pagine vibranti di rimandi, tali da configurare davanti agli occhi scenari ammalianti. Scrive Magris: «Salgari è un minimo, imperfettissimo, sempre scorretto, ma autentico poeta»[21].

Mentre in Italia imperversa la letteratura dannunziana, stilisticamente pregiata e rarefatta, Salgari conquista il grande pubblico con l’avventura, con romanzi seriali, puntando su eroi coraggiosi, innamorati e votati alla difesa della giustizia.

Non so se Salgari fosse ideologizzato, certamente i suoi romanzi costituiscono un’opposizione ai soprusi; Sandokan, il Corsaro Nero, Yari, Jolanda … superano avventure temerarie e sono impavidi, per vendicare violenze compiute dai potenti.

Importante è l’uso della storia come grande contenitore dove avvengono le vicende umane. Probabilmente per agganciarsi alla realtà, per avvicinare i protagonisti ai lettori, Salgari usa date storiche, fatti veri, personaggi esistiti, intrecciati a fatti immaginari.

Il sacco di Vera Cruz o di Panama ad opera di pirati, si sono veramente verificati; come reali sono le figure di corsari temerari come Laurent de Graff, Grammont, il terribile Henry Morgan, del quale il Corsaro Nero fa il suo luogotenente … Solo che i fatti reali sono utilizzati in modo arbitrario, sparigliando date e avvenimenti, come rileva Spagnol[22], curatore dei cicli salgariani editi dalla Mondadori. Vero è lo stratagemma ideato da Morgan di utilizzare frati e monache come scudi umani in La regina dei Caraibi, solo che in realtà l’avvenimento risale ad un’altra data e ad un altro luogo. Da ciò deduciamo che nell’avventura scorre sotterraneamente la storia, ma solo per adeguarsi alla narrazione; potremmo dire che nella storia Salgari trova un semenzaio di avvenimenti utili per la sua fantastica creatività.

Ma ritorniamo a chiederci perché i libri di Salgari sono piaciuti e piacciono ancora. Certamente perché alla base dei romanzi dello scrittore veronese troviamo gli a priori del libro per ragazzi: ovvero, il viaggio, che contiene una formidabile forza attrattiva e una grande valvola di sfogo alle tensioni psicologiche; l’avventura, che è una dimensione tipicamente umana e risiede nella struttura esistenziale dell’uomo in ogni suo momento della vita, ovviamente con caratteristiche diverse a secondo della scansione di esso[23]; e infine la fiaba; a me pare che i libri di Salgari abbiano una forte affinità con il genere fiabesco per una serie di aspetti. Il protagonista salgariano è un superuomo, per dirla alla Eco[24], proprio come nella tradizione fiabesca. Sia Sandokan che il Corsaro Nero, Yanez, Tremail-Naik … attraversano foreste vergini, incontrano animali pericolosi, finanche indiani cannibali; tanti ostacoli che possono essere riassunti nelle funzioni proppiane delle prove da superare. Abbiamo detto, inoltre, che i caratteri dell’eroe sono di essere buono, ma anche coraggioso. I protagonisti buoni, come Sandokan, Yanez, i vari tigrotti, il Corsaro Nero, Carmaux, Morgan… incarnano le virtù della fedeltà e dell’audacia. Scrive D’Amelio: «L’eroe deve essere coraggioso e mantenere una condotta imprevedibile», l’età non è importante  perché è fondamentale la vicenda. L’eroe ha sempre certezze perché se fosse eroso dal dubbio rovinerebbe l’avventura. L’eroe può soccombere ma senza mai dare «segni di cedimento nel carattere o di incertezza negli ideali»[25]; sono i caratteri dell’eroe della fiaba, tagliati su misura per quelli salgariani. Inoltre, nei romanzi non manca l’antieroe, dai caratteri fortemente negativi, per il quale il lettore nutre da subito avversione in egual misura a quanto ne nutre l’eroe. Ancora, tutti i personaggi sono divisi in un sistema duale tra buoni e cattivi, proprio come nelle fiabe. E poi troviamo l’amore controverso, gli aiutanti, il lieto fine con il matrimonio dell’amata, (ne Le tigri della Malesia Sandokan riabbraccia Marianna e partono per ricostruire la propria vita; ne La regina dei Caraibi il Corsaro Nero si allontana con Honorata senza lasciare tracce, per vivere con l’amata; ne Jolanda, la figlia del Corsaro Nero Morgan rinuncia alla pirateria per farsi una famiglia con Jolanda).

L’avventura, il viaggio, la storia di pirati e corsari, le battaglia, i luoghi misteriosi o inaccessibili non possono che sintonizzarsi coi sogni dei ragazzi, per spingerli oltre e viaggiare con l’eroe, aderendo alla sua moralità semplice. Scrive D’Amelio: «L’eroe è un personaggio che riassume la trama, e perciò i ragazzi gli si identificano non perché vorrebbero “essere come lui”, ma perché vorrebbero “vivere le stesse avventure”»[26]. Il ragazzo che cresce leggendo tali romanzi, al di là della forma, esteriorizza i propri processi interiori e li controlla. Giocando ai pirati, immedesimandosi con la lotta che essi ingaggiano con i cattivi e i prepotenti, egli ha la possibilità di mettere a fuoco i vizi e le virtù, ne fa un’esperienza e comprende che è conveniente propendere per le seconde, visto che l’eroe alla fine ha sempre buon gioco. E i libri di Salgari, per il fatto di presentare immediatamente i personaggi per quello che sono e per i valori per cui si battono, non possono che essere o amati o odiati  dai ragazzi sin dalle prime battute; e quando il sodalizio tra lettore ed eroe si realizza, non può che favorire il meraviglioso viaggio verso esperienze fantastiche, stimolando, contestualmente, la crescita umana del lettore.

 

[1] O. Visentini, Libri e ragazzi, Mondadori, Verona 1933, p. 120.

[2] L. Sacchetti, La letteratura per l’infanzia, Le Monnier, Firenze 1954, p. 261.

[3] D. Giancane, I ragazzi e la lettura, Levante, Bari, 2002, p. 193.

[4] L. Santucci, op. cit.

[5] A. Faeti, La valle della luna, in E. Beseghi (a cura di), La valle della luna, La Nuova Italia, Firenze 1992.

[6]  Questi i titoli del ciclo dei pirati della Malesia, in ordine di pubblicazione: I misteri della giungla (1895), I pirati della Malesia (1896), Le tigri di Mompracem (1900), Le due tigri (1904), Il re del mare (1906), Alla conquista di un impero (1907), Sandokan alla riscossa (1907), La riconquista di Mompracem (1908), Il Bramino dell’Assam (1911), La caduta di un impero (1911), La rivincita di Yanez (1913).

[7] Di seguito i titoli del ciclo dei corsari delle Antille, in ordine cronologico: Il Corsaro Nero (1898), La regina dei Caraibi (1901), Jolanda, la figlia del Corsaro Nero (1905), Il figlio del Corsaro Rosso (1908), Gli ultimi filibustieri (1908).

[8] E. Salgari, Le tigri di Mompracem, BUR, Milano 2004, p. 331.

[9] Ivi, p. 24.

[10] Ivi, p. 43.

[11] Ivi, p. 42.

[12] Ivi, p. 44.

[13] Ivi, p. 63.

[14] Ivi, p. 139.

[15] Si veda, ad es., A. Faeti, op. cit., p.

[16] O. Calabrese, Garibaldi tra Ivanohe e Sandokan, Electa, Milano 1982.

[17] E. Salgari, Le tigri di Mompracem, cit., pp. 54-55.

[18] Riportato nella Prefazione, in E. Salgari, La Regina dei Caraibi, Editrice Le Stelle, Milano 1976.

[19] E. Salgari, La regina dei Caraibi, Editrice Le Stelle, Milano 1976, p. 169.

[20] Ivi, p. 213.

[21] C. Magris, L’avventura di carta ci segue per la vita, in AA.VV., L’isola non-trovata. Il libro d’avventure nel grande e piccolo ottocento, Emme, Milano 1982, p. 87.

[22] M. Spagnol, Introduzione a E. Salgari, Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, Mondadori, Milano 1971, p. 28.

[23] R. Massa (a cura di), Linea di fuga, La Nuova Italia, Milano 2000, p. 5.

[24] Cfr. U. Eco, Il superuomo di massa, Bompiani, Milano 1978.

[25] R. D’Amelio, La lettura come esperienza, Levante, Bari, 1988, p. 252.

[26] Ivi, p. 248.

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