COSIMO RODIA

è studioso di LG e della letteratura Novecento. Ha all’attivo diverse decine di pubblicazioni tra saggi, articoli scientifici, racconti e silloge poetiche. Sulla sua produzione narrativa è stata discussa una tesi di laurea, presso l’Università di Bari, dal titolo: “Uno scrittore per ragazzi pugliese: Cosimo Rodia”.

È redattore della rivista scientifica “PAGINE GIOVANI”; ha fondato e dirige il portale di letteratura, arte, musica, costume e società: INTERZONA NEWS.

 

Vasily

(di Cosimo Rodia)

Vasily stringe la mano della Cooperante col dolore

che gli oscura la luna: ha seppellito il suo cane

di pezza e la sirena, lamento di pavone,

non cancella la voce di Olena mentre canta:

 

“Imagine there’s no heaven

it’s easy if you try

no hell below us”.

 

Vasily tornerà a cercare la madre rimasta forse

nel rifugio mentre le case diventavano soffioni alati.

Tornerà per lasciare un fiore sulla tomba

di Chapa tra i cadaveri di Bucha.

Tornerà nella scuola sventrata

per il ferro di cavallo del nonno

serbato nell’astuccio sotto il banco.

Tornerà nel parco arato dai razzi

per piantare nel cratere più fondo

la bianca orchidea della nonna.

Tornerà a occuparsi sulla panca 

con la mamma che ravviva la fiamma:

bella col volto d’alabastro e i capelli di grano!

Tornerà a spalare la neve sul davanzale

e tratteggiare sulla finestra la principessa Lybid

coi fratelli sulle rive del Dnepr.

Tornerà Vasily nel suo letto ad attendere

il maestro soldato: sarà pronto, con il libro

aperto alla pagina interrotta, alla stessa pagina,

per finire, come promesso, con voce suasiva,

la fiaba lasciata a metà.   

I poeti non girano lo sguardo e raccontano le violenze perchè nasca una sensibilità di rispetto umano.

 

 

Maro Benedetti (1955-2020)

 

Da lontano

E la casa mi volava via nel prendere sonno.

Ero con mio fratello così distante dai nostri giochi

della palla, dell’aquilone, della canoa.

 

Era perché non poteva restare niente di tutto questo

che gli occhi facevano i matti. Sorpresi come uno stupido

a cui si dice “che cosa fai”. Non lo sapevo, non avevo febbre,

 

sentivo una carnagione nelle tende le parole in giro

del viso della nonna. Ruotavo la testa per fare la giostra

con i bambini e con i grandi che vedevo e non vedevo:

 

la tasca, il naso, le ginocchia, una mano con la mela

o con la scodella, o con niente, senza braccio,

come da paura, da un cervello ferito in una parte.

 

A letto era un bel cielo dalle finestre di tanti bei giorni.

Venivano da lontano, dalle parole che si dicevano in casa.

Quando pioveva eravamo solo acqua e con il vento aria.

 

Venivano tanti che diventavano subito bambini…

(da Umana gloria, 2004)

 

La poesia rammemora l’infanzia del poeta friulano, lontana ma ancora pregnante e presente.

Il ricordo si snoda in una dimensione sognante, la cui narrazione avviene per visioni: tra un verso e un altro (tra una visione e un’altra) non ci sono chiare connessioni, richiamando in tal modo proprio l’intermittenza dei ricordi. Anche la disposizione strofica in realtà non logica fa pendant con la sostanziale discontinuità narrativa.

Il passato comunque è presentato in un aura fiabesca che avvolge il paese natale: il ricordo è infatti di “bei giorni”, “bel cielo”; ricordi di giochi, del ricordo della nonna il cui volto è riflesso nel colore delle tende.

Come non mancano i segni dell’incertezza, della instabilità di quel mondo rievocato, riscontrabile nelle negazioni ”vedevo non vedevo”, “il cervello ferito”.

Una voce trasparente in cui presente e passato s’intrecciano in una vischiosa compresenza; una voce in aperta opposizione alla tendenza a dimenticare.

(Cosimo Rodia)

 

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