Da Giovanni Verga[1]  a  Florestano Vancini[2]

Libertà / Bronte, cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato

 

di Italo Spada

 

Trama

La novella (che fa parte del gruppo delle 12 Novelle rusticane) narra ciò che accadde nel paese di Bronte, in provincia di Catania, quando, all’arrivo di Garibaldi in Sicilia, si sparse la notizia che sarebbero finiti i soprusi dei signori (i galantuomini) nei confronti dei poveracci e che la terra dei padroni sarebbe stata divisa tra i contadini. Spinti dal rancore covato da anni di ingiustizie e soverchierie, i rivoltosi si appropriarono dei beni dei signori e si abbandonarono a saccheggi ed esecuzioni sommarie. Toccò ai garibaldini, agli ordini di Nino Bixio, ripristinare l’ordine nel paese con l’immediata fucilazione di alcuni responsabili e con un lungo processo che, conclusosi con pesanti verdetti di carcerazione, rimase incomprensibile ai ribelli che pensavano di avere agito dietro la spinta della promessa libertà.

 

 Due testi a confronto

Libertà Bronte: cronaca di un massacro

che i libri di storia non hanno raccontato
la novella il film
  Un uomo e suo figlio stanno raccogliendo in un bosco legna di frodo. Sorpresi dal padrone e dai suoi campieri, vengono frustati a sangue.

Inutilmente l’uomo, per proteggere il ragazzo, cerca di fare da scudo con il suo corpo.
  Il duro lavoro di donne e bambini nei campi. In una palude, un uomo raccoglie sanguisughe  facendosele attaccare alle gambe.

Donne e bambini rovistano tra i rifiuti.
  Al collegio Capizzi, una scuola tenuta da preti, un professore insegna ai ragazzi che, tra non molto, con l’arrivo di Garibaldi in Sicilia, ci sarà un’unica Italia.
  Nel paese si verificano prime agitazioni dei picciotti.
Sabato: la folla, armata di scuri e falci, grida “Libertà” e si riversa in piazza, davanti al casino dei galantuomini, al municipio, alla chiesa e La folla ingrossa e irrompe in piazza, davanti al circolo dei civili.
irrompe nella stradicciuola.  
  Alcuni galantuomini (cappelli) fanno finta di essere d’accordo con i rivoltosi e gridano anch’essi: “Libertà!”
  Il rettore del collegio Capizzi scrive una lettera a Garibaldi.
  L’avvocato Nicola Lombardo arriva in paese. Si prepara la rivoluzione.
  I cappelli chiedono protezione al governo inglese e decidono di affidare il comando della Guardia Nazionale al notaio Cannata.
  Alcuni rivoltosi fanno una “serenata ai sorci”. Annunciano la rivoluzione.
  Cannata e le guardie sequestrano fucili e mettono in carcere alcuni paesani ritenuti capi della rivolta.
  L’avvocato Lombardo chiede inutilmente la scarcerazione dei detenuti.
  La rivoluzione inizia con la liberazione dei carcerati. Prosegue con il saccheggio delle case e delle cantine. I cappelli, terrorizzati,cercano di nascondersi.
Vengono uccisi don Antonio (un monello sciancato sputa nel suo cappello), il reverendo, il figlio della Signora, lo speziale.  
Sotto gli occhi della moglie, viene ucciso anche don Paolo che ritorna dalla vigna.  
Il taglialegna uccide il figlio del notaio, di 11 anni.  
La morte della baronessa barricata in casa: fugge di stanza in stanza con il figlio ancora lattante e viene uccisa mentre il figlio maggiore (16 anni), tenta inutilmente di difenderla.  
A sera i rivoltosi tornano a casa.  
Domenica: la gente si ritrova in piazza e non sa più cosa fare. Domenica: le donne davanti alla chiesa chiusa. Gli uomini nei campi.
  L’arrivo dei carbonari di Gasparazzo.

L’uccisione di uno sbirro.

L’ingresso in paese dove, nonostante gli appelli dell’avvocato Lombardo, i rivoltosi scovano “i sorci”, uccidono, saccheggiano, vendicano i torti subiti.
  Lombardo invita alla pace e al rispetto della legge, ma Gasparazzo aizza il popolo a farsi giustizia da solo e ammazza il figlio del notaio. Giustizia sommaria di alcuni notabili.
I primi dubbi tra i rivoltosi e le discussioni su come spartirsi la terra.  
  Arrivo in paese della guardia nazionale. Gasparazzo non si arrende e torna alla macchia. Lombardo fa da paciere.
Lunedì: arriva il generale (Bixio) con i garibaldini. Si accampano in chiesa. L’arrivo solitario di Bixio (che viene accolto dai notabili e dal clero), seguito da quello dei garibaldini.
Prime fucilazioni sommarie. L’editto di Bixio: consegnare le armi. Ordine di formare una commissione speciale e di arrestare i responsabili della rivolta, compreso Lombardo. Lombardo si reca da Bixio e si fa arrestare. Vengono portati in carcere anche altri rivoltosi. Bixio ordina che venga restituita la roba ai cappelli e che inizi il processo.
L’arrivo dei giudici e le interrogazioni nel refettorio del convento. L’arrivo dei giudici e le interrogazioni degli accusati e dei testimoni.
Gli uomini accusati di avere fatto parte dei ribelli vengono condotti in città e chiusi in carcere. Viene impartito l’ordine di giustiziare – subito e davanti a tutti – 5 rivoltosi e di tradurre gli altri indiziati a Catania per un regolare processo.
  La donna di Lombardo porta qualcosa da mangiare al suo uomo.
  I cinque vengono condannati.

Tra loro, ci sono l’avvocato Lombardo e il matto del paese. Lombardo prima di morire decide di sposare la donna con la quale convive.
  La fucilazione dei cinque uomini. Il matto viene risparmiato dal plotone, ma non dal comandante che gli spara un colpo alle tempia.
Le donne vanno a visitare i detenuti.

Poi si stancano e tornano a casa.
 
Una ragazza si perde in città e di lei “non se ne sa più nulla“.  
In paese, galantuomini e povera gente fanno la pace.  
L’orfano dello speziale diventa amante della moglie di Neli Pirru.  
Il processo dura tre anni: interminabili sedute, interrogazioni, chiacchiere.  
La reazione del carbonaio tradotto in galera: Ma non c’era la libertà?  
 

 

Riflessioni

È evidente come l’interesse politico e sociale di Florestano Vancini prevalga, in questa sua libera trasposizione filmica della novella di Verga, su quello letterario. Già l’incipit, prima dei titoli di testa e subito dopo, è inesistente nel testo letterario. Come sono inesistenti anche alcune figure (i preti del collegio, il barbiere, il becchino) e le conseguenti microstorie che sono state loro adattate.

Queste “libertà di regista”, tuttavia, più che disturbare, arricchiscono il film di significati. Tra gli sceneggiatori appare anche il nome di Leonardo Sciascia e sarebbe interessante sapere qual è stato il suo apporto nell’adattamento del personaggio del taglialegna, in quello del carbonaro-bandito Gasparazzo e nell’invenzione delle figure della donna dell’avvocato Lombardo e, soprattutto, del matto del paese. Nessuno di questi tre personaggi è presente nella novella di Verga, ma l’infedeltà del film al testo apporta ricchezza alla vicenda narrata.

Gasparazzo, per Vancini, non è solo un feroce assassino, ma un ribelle che, a differenza dell’avvocato Lombardo, non crede nella legge e nella giustizia dei potenti e si rifugia in un banditismo rozzamente coperto da ideali politici e sociali. C’è, pertanto, in questo adattamento del personaggio – una sorta di precursore del leggendario bandito Giuliano che “rubava ai ricchi per distribuire ai poveri” – un cenno storico a quello che accadde in Sicilia, quando, all’indomani dell’unità d’Italia, molti giovani si diedero alla macchia pur di non andare ad ingrossare le fila delle truppe piemontesi.

La figura della donna amante dell’avvocato Lombardo se, da una parte, sembra inserita per dare maggiore risalto all’uomo che ha creduto in un ideale politico e che, scoperta l’iniquità della legge, intende ripagare con un gesto romantico (il matrimonio come ultimo desiderio prima di morire) la fedeltà di chi è rimasta al suo fianco, dall’altra, acquista una sua precisa collocazione di vera donna che, a differenza delle altre (nella sequenza delle testimonianze davanti ai giudici, mentre gli uomini sostengono di “non avere visto niente”, le donne sono spietate nelle loro accuse), non abbandona il suo uomo (nella novella c’è persino chi, come Lia de I Malavoglia, “si perde in città”) e sbugiarda il proverbio che dice “femmina e vento, cambia ogni momento”.

E veniamo al matto del villaggio, che, tra i personaggi “inventati” da Vancini, occupa un posto di particolare rilevanza. Di lui, nella novella non c’è traccia alcuna; nel film, invece, le sue improvvise apparizioni sembrano commentare gli eventi, il suo canto prima della rivolta e la sua ingiusta morte sembrano etichettare i fatti di Bronte come una delle tante follie della storia. Ma chi è questo matto con il pirandelliano berretto a sonagli che annuncia sventure, che segue i ribelli che stanno per essere tradotti in carcere, che partecipa alla razzia appropriandosi di una statuetta di donna nuda, che risponde alle accuse cantando davanti ai giudici, che invoca la Madonna, che crede nei miracoli e muore senza saperne il perché?

Ventisei anni dopo Bronte, un regista rumeno, Radu Mihaileanu, per narrare le follie razziste del nazismo, si servirà in Train de vie (1998) di Schlomo, lo scemo del villaggio, quasi a voler dire che a volte gli stupidi sono più intelligenti di coloro che si credono “uber alles”. E se Vancini, non tanto nel trasportare in film una novella, quanto nel narrare “un massacro che i libri di storia non hanno raccontato “, si fosse servito del suo pazzo per ripetere quello che Nietzsche aveva già detto in Al di là del bene e del male, e cioè che “la follia è molto rara negli individui, ma nei gruppi, nei partiti, nei popoli, nelle epoche è la regola”?

 

 

[1] Catania 1841 – 1922

[2] Ferrara, 1926 – Roma 2008

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